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giovedì 25 apr
  • La casa di piazza Europa

    Sono tornato, sai. Ho chiesto al portiere di farmi salire un attimo. “Per amarcord” gli ho detto. Lui ha pensato a un calciatore francese. E mi ha spalancato la dogana dei ricordi. Mi sono fermato davanti al campanello. C’è un altro nome, adesso. Ma quel campanello io lo riconosco. Il mio dito rammenta i suoi lineamenti a naso. Le mie orecchie non hanno dimenticato il tintinnio stridulo. Bisognerebbe commissionare uno studio metafisico per sapere quanta anima si lascia sulla superficie di un normale campanello d’appartamento, nel corso di una vita. Quanto pesa l’indice di un ragazzino che torna sudato da una partita in strada? Quanto il pollice in fibrillazione di un adolescente che ha dimenticato le chiavi, dopo una notte d’amore? Se il campanello fosse una capocchia di infinito potrebbe registrate tutto. Ma è troppo minuto e liscio. Le emozioni gli scivolano addosso.
    Sono tornato, dunque. La porta blindata è socchiusa. Non ho nemmeno bisogno di spingerla. Eccomi. Che buffo, sai. Casa mia – cioè casa tua – è come era allora, nonostante il nome diverso sulla targhetta. All’ingresso comincia un lunghissimo tappeto grigio. Un tapis roulant. Un Virgilio impolverato per guidare i passi del ragazzo di una volta, diventato straniero nel cuore del suo stesso cuore. Non andare subito a destra, suggerisce il tappeto. Il gioco dell’oca prevede un salto in cucina. C’è una nebbia fitta da minestrone in corso. Aguzzo gli occhi. Il forno accanto alla parete smaltata. Il rubinetto col lavandino per la salamoia delle olive. Mi sembra che non ci sia altro. A parte il balcone, in fondo, con vista sul cielo e sul campetto dello Scipione. Mi affaccio al cospetto del tramonto. E avverto lo stesso ago rovente di malinconia nello stomaco. Lo stesso di allora, intendo. Grida semitonali di piccioni. Molliche di pane scuro. Una pianta spinosa con le foglie tese per abbracciarmi. Mattonelle cotte dalla luce di troppe estati. Vado avanti. In sala da pranzo c’è il piccolo televisore in bianco e nero. Danno Furiacavallodelwest. Forse, dentro questa bolla magica, perfino il funzionario addetto ai programmi Rai non è cambiato. La sigla di Heidi portava una goccia gelida di neve delle Alpi tra gli alberi sciroccati di piazza Europa. Non sopportavo Candy Candy e tifavo per i suoi perfidi fratellastri. Mille volte ho chiesto a Goldrake di prendermi e insegnarmi a volare, nella sua immensa scia d’oro. Avrei voluto possedere anche io un’alabarda spaziale e darla in testa alla prof di matematica. Sul balcone ci sono i gerani. Sulla parete, batte un orologio a pendola. Lo ascoltavo di notte col cuore in apprensione. Temevo vampiri, fantasmi & lupi mannari. La pendola mi sembrava un messaggero di cose terribili. Serro le palpebre per vedere meglio. Mi circonda la nebbia di prima. Le dita della foschia mi prendono per un braccio e mi conducono altrove come un delicato e perfetto maggiordomo intessuto di niente. La mia stanza. C’è il tappeto color giallino vomito. C’è il letto a cassettiera che dividevo con mio fratello. C’è l’armadio con i giocattoli. Dall’anta blu usciva una disordinata cascata di Lego. E ti sommergeva, se non ci stavi attento. C’è un Super Santos e mi pare che ridacchi il folletto dispettoso… Non avevo poster appesi, né foto di gite scolastiche in cui specchiarmi. Era il mio modo per non vedermi. Sullo scaffale, i libri. Sfioro con riverenza la Storia Infinita. Si racconta del regno di Fantàsia e delle mille porte di comunicazione con la meraviglia. Anche un armadio, in certi momenti, può essere un’autostrada aperta fino alle ali celesti di un Fortunadrago, scriveva Micheal Ende. Non ci credevo, ma ogni tanto aprivo con circospezione l’anta blu. E il Lego mi annegava in un lago di mattoncini colorati. E adesso, lo sai, devo affrontare il tuo studio, il tuo regno inviolabile, in fondo al corridoio. Cosa troverò? Forse un reparto di rianimazione con le vetrate affumicate e ombre e camici in trasparenza. E il tuo elettrocardiogramma sempre più fioco. Forse un prato spelacchiato pieno di corse infantili. Ti facevo vincere nei mesi dell’agonia perché la tua tosse mi spaventava. Mi sentivo in colpa. Forse non troverò niente. Il Nulla ha lasciato il regno di Fantàsia ed è arrivato pure qui col suo rombo premonitore. Per divorare e inghiottire ogni sorriso nella sua oscurità sospesa. Entro. Tu non ci sei più. C’è solo la tua vestaglia a rombi sulla poltrona. C’è l’odore della tua pipa, ma lontano, come fluttuante da un’altra galassia. E ci sono io da bambino. Anzi, c’è il mio corpo magro di quei giorni sistemato su una sedia. Pare Pinocchio nell’ultima scena. Abbandonato, con le braccia sui fianchi, gli occhi di vetro e la bocca immobile. Com’ero buffo quando ero un burattino…
    È troppo. Vado via. Attraverso il mio passato a ritroso per non cancellare il mio presente. Ecco l’ingresso, di nuovo. Il portiere mi fissa pensieroso: “Hai visto?”. “Ho visto”, gli dico. E lui: “Quando vorrai vivere, torna pure a trovarci”. Tra le mani non regge la solita schedina. Sfoglia un libro per ragazzi “La storia infinita”. Lo saluto in fretta e mi tuffo a candela nel sole accecante del mattino. Fuori mi aspetta il mio Fortunadrago, parcheggiato in seconda fila.

    Ospiti
  • 11 commenti a “La casa di piazza Europa”

    1. Parcheggiato in seconda fila? allora il vizio non te lo levi? ;-))
      bella storia,come al solito…

      Turiddu

    2. Ho vissuto la tua stessa esperienza lo scorso dicembre, era 18 anni che non tornavo a Palermo, e da turista ho voluto rivedere la casa dove sono nata…purtroppo mi sono fermata al citofono non ho avuto il coraggio di chiedere di salire…ma mi e’ bastato…un tuffo al cuore, voci di bambini..tanta nostalgia..a condividere tutto questo il mio compagno di vita dal cuore padano!

    3. Bravissimo Roberto, anche ame succede sempre la stessa cosa con una differenza,mentre tu hai la grandissima fortuna di poterla vivere ogni giorno ce vuoi la tua piazza europa,io da emigrante,un pò meno.

      Ognuno di noi ha la sua Piazza Europa,la mia si chiama,via colonna rotta/corso alberto amedeo/capo. Il triangolo del popolino,dei ragazzi di quartiere,navissi ri cuntari,a partire dai carrozzini creati con le ruote a Palline( i famosi cuscinetti) per farci fotografare dai turisti stile bambini di kabul,fino al ritrovamento di reperti archeologici nella valle del papireto,anfore monete e quant’altro.
      Prprio quest’ultima estate,sono tornato in vacanza,il classico rituale,bagno di ricordi e di abbracci nel mio quartiere,la classica cartata di frittola al capo ne mimmuzzu,e la solita acchianata al civico 6 di via colonna rotta,a me casa,affittata ad un pensionato,uomo saggio e grande costruttore di velieri.
      Zu Totò,o gioia mia,che scinnisti? Amuni u cafè? No zu totò una cosa veloce che devo portare i “Romani Figli ” al mare,ciartu i picciriddi hannu ragiuni,pica i po fare vagnari na da fugnatura chi chiamanu mari a roma….zu Totò,posso affacciarmi un momento dalla solita finestra? E ma dumanni? Eccola a semi arco,la apro ancora lei,di legno,mi tuffo su la maestosa Porta Nuova,ne posso ammirare le sue sfaccettature,i suoi bellissimi mosaici,i suoi particolari ( posso essere orgoglioso sono uno dei pochi palermitani che ci sia entrato dentro)..sotto scorrono fiui di macchine,auto parcheggiate in 5 fila,molti negozi che io ho vissuto non ci sono più….ma loro i miei putti che rappresentano le 4 stagioni sono ancora li,i putti figli di non si sa ch,madre ulivo,padre intarsiatore? non si sà,c’e’ chi dice Giacomo Serpotta,c’e’ chi dici del Marabitti,intanto sono li,io li accarezzo,li sento e gli voglio bene,come due figli come i mie due figli,sono la mia Palermo,i mieri ricordi.

    4. Roberto e Nat, cosi’ diversi, cosi vicini nelle emozioni. Adesso capisco come possa sentirmi amico di entrambi.
      Appena rientro a Palermo, a fine missione da Haiti, provero’ a profanare i miei ricordi. Sono figlio della Noce, Via Angelo Poliziano n.35.

      Cordialmente

    5. E adesso la pubblicità. http://www.youtube.com/watch?v=A6Hm1F1tHb4

      Ci trovate un cortometraggio, parole mie, mmagini di Giovanni Villino. Sono gradite le pernacchie.

    6. Roberto,bello,ma forse un pò troppo triste,e forse la musica…….

    7. Quella ce l’ha messa Villino 😉

    8. Villino è sempre allegro… non si smentisce mai… Jhonny!

    9. “Morte a Venezia” di Luchini Visconti a confronto è “Il commissario Lo Gatto”… senza offesa…;)

    10. Ciao Roberto,
      ho letto solo adesso la tua “casa di piazza europa” e mi sono molto emozionato.
      Anche io provengo da quella piazza e ogni tanto ripenso ai paesaggi mutati nel corso degli anni, alle persone che popolavano quel luogo e che ora non ci sono più, agli esercizi commerciali che hanno cambiato proprietario uno per tutti il Bar.
      Io mi ricordo di te bambino con il supersantos che hai citato sottobraccio, ricordo il tuo papà e la tua mamma carissima amica della mia.
      Ricordo il campo di calcio dove ora sorge
      la chiesa e le mitiche partite “polverose” che si svolgevano in quel meraviglioso luogo.
      Mi viene un dubbio, non sarà che tutti questi ricordi sono il sintomo dell’età che avanza troppo velocemente (ho raggiunto già i 40 !), ma anche se così fosse non me ne curo.
      Ricordare mi fa stare bene e se trovo qualcuno che mi “aiuta” ad aprire qualche cassettino da troppo tempo sigillato io non posso che ringraziarlo !!

    11. Sono io che ringrazio te, caro Nino, amico mio. E mando un abbraccio fortissimo a te e ai tuoi.

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