14°C
venerdì 19 apr
  • Il suicidio

    Lui è stato salvato all’ultimo. Aveva le vene dei polsi segate e vagava come un allucinato. I carabinieri lo hanno trovato appena in tempo. Lui – diciannovenne che decide di farla finita per una delusione amorosa e per la bocciatura a scuola – è un volto anonimo tra coloro che sono scampati. Che hanno visto Caronte in faccia, senza solcare fino in fondo il fiume nero del suicidio.
    Già, il suicidio. Basta la parola per far sobbalzare vecchi redattori di giornali con i capelli bianchi e ricordi di antiche guerre di mafia. Si scriva e si parli di tutto, però il suicidio… Forse perché il morale della truppa va conservato in buono stato e perciò il sangue fresco di macelleria deve appartenere agli altri, giammai alla mano che offende e si offende. Ufficialmente, Perché «altrimenti scatta l’emulazione». Eppure, i casi non mancano. I media tacciono, se i particolari non sono clamorosi o se il carnefice-vittima è figlio o padre di nessuno. Secondo una statistica ufficiale, nel 2006 quarantotto persone si sono tolte la vita, in città. Il trend è in crescita. Gli esperti ritengono verosimilmente che si tratti del cocuzzolo della montagna. E che i caduti siano molti di più. A Palermo – nell’indifferenza generale – operano meritoriamente quelli del «Telefono Giallo». La presidentessa dell’associazione che ha creato il servizio ha perso un figlio suicida. Da allora ha cominciato la sua buona crociata contro il male oscuro (per maggiori informazioni: www.afipres.org), nell’assenza delle istituzioni. Nonostante le tabelle indichino un’impennata dei suicidi, il silenzio è completo, squarciato solo da qualche voce coraggiosa. Probabilmente, la contraddizione della vita che si uccide è un serpente troppo aggrovigliato e velenoso. Il senso di abisso disorienta.
    Ma le ombre bianche di quelli che hanno attraversato il fiume, guadano implacabilmente le nostre giornate piene di ombrelloni. Solo per citare il caso più recente: un uomo si impiccato a una villetta di viale Michelangelo, appena l’altroieri. Il suicidio sommerge steccati di pruderie e imbarazzo. E conserva una sua malvagia poesia letteraria che è il peggior incentivo. Tempo fa, in redazione arrivò l’immagine di una donna che si era lanciata oltre un ponte. Il volto tumefatto, un piede scalzo, i capelli sparpagliati sulla riva sabbiosa. Una cartolina del disfacimento. Fu ovviamente deciso di non pubblicare la foto, seguendo una giusta regola di decenza. Io l’avrei mostrata nelle scuole.

    Quello che resta nel taccuino
  • 41 commenti a “Il suicidio”

    1. Caro Roberto, con questo Tuo Post, hai riaperto vecchie ferite di tanti anni fa. “Resto in anonimo nonostante dalla mia e-mail Rosalìo capisce chi sono per il ricordo della privacy di chi non c’e’ più”. Ricordo adolescente 2 suicidi eclatanti per amore…. Un ragazzo si spara in campagna ed un altro s’impicca e sempre per amore. Non riesco a capire come il lume della ragione possa perdersi così. Intanto delle giovani vite spezzate, allora 18-20 anni, non ci sono più; le loro famiglie son rimaste disperate ed i più cari amici, quelli veri, vivono nel ricordo di quei bei momenti feriti da questi tragici eventi e magari col rimorso di un qualcosa che avrebbero potuto fare per evitare quessti gesti, insensati. Ma la cosa più pietosa in assoluto è il ricordo di una giovane ragazza suicida che a quei tempi, avendo perso il giovane fratello per un male incurabile, ha pensato bene, per amor fraterno, di raggiungerlo in Paradiso con un lancio nel vuoto. La mente umana…..la ragione….l’intelligenza…..tutto svanisce in pochi attimi…. Riflettiamo tutti, la vita è un bene prezioso va salvaguardata. Aiutiamo il prossimo, aiutiamoci da soli con tutte le forza che abbiamo, ma salvaguardiamola.
      .
      Buon ferragosto a Tutti/Tutte Voi.

    2. M.G., grazie. Il sucidio è una patologia dell’anima. Il problema di chi ascolta, in questi casi, è spesso la confusione tra persona e sintomo. Si offre una pillola alla malattia, senza raggiungere con una carezza chi c’è dietro. La terapia seriale fa, spesso, più male che bene. Il tema è crudele, ma – a mio parere – va affrontato, perchè in ognuno di noi c’è un pozzo senza fondo che, a tratti, può sembrare perfino affascinante. Ecco perchè avrei mostrato quella foto nelle scuole. Per debellare l’insana idea che il suicidio sia il termine del dolore, quando invece lo moltiplica all’infinito.

    3. ma io forse conosco la vicenda della ragazza suicida dopo che gli era morto il fratello! vorrei sbagliarmi ma credo sia avvenuto nel mio quartiere anni fa…ma non sono sicuro.
      possiamo comunicare in privato ?

    4. caro roberto,
      leggo sempre con attenzione i tuoi articoli sul gds e quello che scrivi su rosalio. Sono un collega e non ci penso due volte a farti i complimenti per quello che dici e scrivi.
      Fare riflettere chi legge non è semplice. Trasmettere sensazioni e emozioni è una qualità che in pochi hanno. E tu sei fra loro.
      Sono perfettamente d’accordo con te quando dici che quella foto doveva essere fatta vedere nelle scuole.
      Anche e soprattutto a quei ragazzi che pensano di avere il mondo fra le mani e corrono in moto senza casco.
      Grazie roberto.
      Martino Grasso

    5. Ciao Martino. Un abbraccio

    6. Caro Puglisi, scrivo anche io su questo tema, perché un mio amico, con cui spesso uscivamo in tacca, come si dice, all’età di circa 35 anni, si é buttato giù dal balcone della sua casa del 7° piano.
      Un evento che ci ha lasciati tutti sgomenti. Tutti gli amici che lo conoscevamo. E’ non é un suicidio adolescenziale, questo, ma il segno di un malessere che non abbiamo saputo vedere. Nessuno, neanche le persone che gli erano più vicine.
      Ritrovatrici in molti al suo funerale, ci siamo tutti chiesti, come abbiamo fatto a non capire, abituati come siamo tutti, che le lamentele, o le dichiarazioni di difficoltà siano fatto comune e condiviso, che siano ormai solo una forma e non più una sostanza autentica.
      Questo mio amico aveva parlato a molti della sua insoddisfazione verso il proprio lavoro (era titolare di cattedra di educazione artistica alle scuole elementari), di cui ultimamente si lamentava moltissimo, come se costituisse al tempo stesso una risorsa necessaria, e d’altro canto una condanna. Molti di noi gli dicevano, Stefano, ma almeno tu un lavoro ce l’hai, pensa a noi che siamo sempre precari. Tutti abbiamo sottovalutato il suo malessere, che fra l’altro nascondeva bene, facendo battute e risate, ora capisco, per orgoglio e per accontentare chi gli diceva il contrario non capendolo.
      La sua morte ci ha lasciato una ferita aperta nel cuore. La consapevolezza di non aver capito e di non aver impedito.
      La consapevolezza che spesso siamo trascinati dalla vita talmente velocemente da essere incapaci di ascoltare veramente chi soffre.

    7. “per un ricordo triste”
      Grazie Roberto
      pequod

    8. ….non credo di parlare di fantascianza…. ma fino a quando gli scienziati non riusciranno a conoscere bene i marchingegni di quella parte del ns. cervello sconosciuta, purtroppo, non capiremo mai il perchè delle cose, da dove scattano delle molle che scatenano effetti devastanti.
      Pequod mi associo a Te. Anch’io ho tristi ricordi di un lontano passato che, in nome del ricordo, per me è sempre presente.

    9. Caro Maurizio, capisco la tua impostazione ma non sono d’accordo. E’ la grande contraddizione di tanta psichiatria: trattare il sintomo e dimenticarsi della persona, occuparsi del cervello e scordare l’anima. E’ una terapia che provoca un supplemento di angosciosa solitudine.

    10. Roberto, sono ignorante, ma credo che una parte del ns. cervello è ancora sconosciuta…….il lume della ragione se perduto è scatenato da un qualcosa di sconosciuto e penso anche ai più grandi sapienti. Gli strizzacervelli come curano???? Distruggengo con terapie talvolta malvagie….. ricordi Jack Nicolson ed il film : qualcuno volò sul nido del cuculo……credo era questo…

    11. Io sul punto sono d’accordo con te. Dicevo soltanto che non basta il medico – o colui che si relazioni esclusivamente come tale, elargendo pillole e consigli dall’altitudine della sua scienza – a guarire la patologia psichica (e – al di là degli episodi estremi – devo ancora incontrare qualcuno che non desideri guarire dalla fatica di essere se stesso). E’ necessaria la medicina per lenire il disagio, ma ci vuole di più. Ci vuole una relazione umana (cosa che qualche terapeuta si ostina a non capire).

    12. il medico, il terapueta, lo psicologo….. tanti bei mestieri. Ma sono fatti con coscienza?? Con amore per il prossimo? O solo e soltanto per ingrassare le tasche??? Io a tutto questo non credo più; mi spiace ! Che il proprio self-control possa prevalere sempre.
      Buon ferragosto Roby a Tutti quanti e sopratutto a chi, oggi, lavora come me….

    13. OGGI leggevo un articolo dù Rapubblica ,parlava di “EROINA”(quella vecchia droga,passata di moda, che ha portato via ,negli anni 80,tante persone di una generazione “maledetta”)
      … e parla di morte… “oggi parlare di morte secondo Baudrillard,fa ridere di un riso forzato e osceno,è pornografia…
      in questa tranquilla giornata agostana con la città finalmente vuota un saluto ai “vivi rimasti”.
      pequod

    14. Anche io lavoro Maurì. Ciao. Ps. Io credo che tutti i mestieri – anche lo scopino – necessitino di un po’ d’amore.

    15. ALLEGRIA!

    16. …anzi, come Mike, A-LLE-GRII-AAA!

    17. Uno sfottò dedicato dall’amabile signor De Curtis a coloro che sono morti nell’indifferenza. E a coloro che soffrono.

    18. Egregio Signor Puvglivsi, Lei sa bene che la mia ALLEGRIA non è indirizzata a chi soffre ma a Lei e al suo famoso club.
      Ho visto gente vincere la sofferenza e le malattie gravi con la cosidetta forza di volontà, energia positiva e pure con l’allegria e l’ottimismo, ne ho visti altri, che nomino con discrezione, pudore e assoluto rispetto, perdersi per compiacersi nella sofferenza.

    19. De Curtis, altro che compiacimento. Qui c’è una discussione seria su un problema sociale serio. Infatti, il tenore degli interventi è stato di un certo tipo. Lei ride del dolore degli altri. E questo – purtroppo – è evidente a tutti. Continui a ridere – se le va – senza cercare astruse arrampicate sugli specchi.

    20. Vi invito a utilizzare l’e-mail per discussioni personali che non riguardano il post e i lettori di Rosalio.

    21. Sono anni che contemplo [quasi] quotidianamente l’opportunità di togliermi la vita e sebbene sia oltremodo convinto che sarebbe una vera liberazione, a frenarmi, giorno dopo giorno, è la consapevolezza che un gesto simile provocherebbe un dolore incomprensibile alle persone che mi vogliono bene. Così desisto, perché, ahimè, loro non capirebbero. Non capirebbero il gesto e non capirebbero i motivi, che raccontati a voce alta non pare affatto possano logorare l’anima come invece riescono a fare. E finiscono col paralizzartela, la vita, a rendertela meravigliosamente priva di senso. Per chi non ci finisce dentro, è difficile capire come cose apparentemente banali come una delusione d’amore, un lavoro in cui ci si sente intrappolati o l’incapacità di relazionarsi come si vorrebbe possano infliggere squarci profondi nella rete che costituisce la nostra realtà.
      A poco servono le foto mostrate nelle scuole. Chissenefrega se dopo morti diventiamo viola o neri. Non è il “poi” a fare paura, ad essere non tollerabile. E’ “l’adesso”.
      Qualcuno esperto della materia potrebbe obiettare che fino a quando ci si preoccupa del dolore degli altri, finché si mantiene un punto di vista “altro da sé” l’eventualità del suicidio rimane remota. Probabilmente è vero. Ed è anche vero che l’istinto di sopravvivenza è un buon deterrente.
      Così, alla fine, si finisce con lo sperare in un deus ex machina, in una qualche causa esterna, un incidente ad esempio, che possa attenuare il dolore degli altri e liberarci dal nostro, di dolore.
      Nel frattempo, gli anni si susseguono, identici a se stessi e l’unica soddisfazione che rimane è quella di avere un “buon” rapporto con la morte, in generale. Il che però alle volte ti fa apparire “insensibile” o “cinico”.

    22. Ciao Giuseppe. Nessuno è immune dalla pena quotidiana, dalle cose terribili e banali che accadono. Nessuno è immune dal pensiero-vertigine del suicidio. Perchè l’idea del suicidio contiene una morbosità che affascina. E’ la stessa attrazione che alcuni bambini provano per la presa della corrente. Ci si delizia col terrore di una fine tanto vicina eppure si resta ben oltre la soglia. Intanto, un consiglio: parla con un buon psicologo. Dici tu: ecco il solito buon samaritano da tre soldi, mica non sono pazzo. Neanche io. Ma quando ho avuto bisogno di un orizzonte migliore di quello che avevo, non ho avuto problemi a fare quattro chiacchiere con persone che univano la competenza professionale all’umanità. Forse non siamo normali. Forse nessuno è normale. Forse chiedere aiuto, quando hai bisogno di aiuto, non è viltà. E’ coraggio. Hai enumerato ottime buone ragioni contro il suicidio. Te ne fornisco un’altra. Il suicidio NON è liberazione. Il respiro di sollievo lo puoi dare, se sei ancora vivo, se RESPIRI. Solo continuare a vivere LIBERA dal male. Se muori, non ci sei più. Uccidi la tristezza, ma ti precludi per sempre l’accesso alla felicità che è – credimi – alla portata di tutti. Un abbraccio. E se ti va scrivimi a robertopuglisi@libero.it

    23. Grazie, Roberto. Ma avendone uno in famiglia, posso dire che gli psicologi sono come la medicina omeopatica.
      Affinché funzionino, bisogna fare un atto di fede cieca e soprattutto bisogna essere disposti a farsi aiutare.
      E mi permetto di dissentire sul fatto che la felicità sia alla portata di tutti, se non a livello meramente concettuale.
      Ma una discussione sulla felicità esula dal topic di questo post.
      Ma non è detto che manchi occasione, in futuro.

    24. Io credo che tutto sia un atto di fede: anche alzarsi la mattina. Se ti va, ne riparleremo. Per il momento: la felicità (quella umana e imperfetta delle cose e dei sentimenti, non quella assoluta dei sogni perfetti) è a portata di tutti. Ma bisogna volerla. Ciao.

    25. Giuseppe, io al contrario di Puglisi, non credo negli psicologi, credo negli amici, nela fatto di non avere timore a raccontare , non ad estranei, ma ad amici veri, le ragioni del proprio malessere, senza avere il timore del giudizio. Un vero amico non ti giudica, ti sta vicino, se sente la tua difficoltà, e se tu non la dissimuli. E spesso credimi, servono cose sciocche, come uscire, andare in giro, andare al mare, reimmettersi nella vita comune. fare cose semplici, un passo alla volta, senza pensare di rivoluzionare tutto e subito.
      Capire le redici del problema (ed in fondo credo che intimamente tutti le conoscano molto bene).
      Sugli psicologi nutro molti dubbi, poiché avevo due amici psicanalisti ed un paio di amici psicologi, da cui più che compresa, mi son sempre sentita vivisezionata, anche uscendoci solamente come amica. Prima non c’erano, e c’erano più matti? Non credo, credo ci fossero risorse umane e sociali diverse, forse più affidabili, a quel tempo.
      La cosa più vera che posso dirti é che non serve ingigantire i problemi, che tutto trova una soluzione, a condizione che uno sia disposto a trovarla accettabile. Che a volte rincorrere sogni inarrivabili, o irrangiungibili, diventa patologia, o pretendere di soddisfare giudizi di altri su te, che forse non cambieranno mai, é altrettanto impossibile. A volte, la cosa più logica é decidere forse, di prendere un’altra strada (che non é sicuramente quella dell’autoestinzione), che alla fine lasci fuori certi problemi.
      un abbraccio. Non esserci non é sicuramente una soluzione. E’ solo la fine delle soluzioni e la fine di tutto.

    26. Ci sono psicologi-atri che studiano il sintomo e dimenticano, colpevolmente, tutto il resto. Sono vittime della tecnica. Da costoro meglio stare alla larga. Ma credo che sia altrettanto inutile estendere il pregiudizio a una categoria, indiscriminatamente. Io conosco anche persone molto in gamba che sanno unire l’empatia dell’amico alla lucidità del terapeuta.

    27. Uma, sono sostanzialmente d’accordo con quello che dici, ma è anche vero che ci sono forme di “mal de vivre” che non sono risolvibili a colpi di amici. In quei casi direi che l’ausilio di un professionista (e delle giuste medicine, perché in quei casi c’entra sempre anche la chimica del cervello) è fondamentale.
      Nel mio caso, se di caso si può parlare, la faccenda non è invalidante. La mia vita è apparentemente normale.
      E’ solo che… molto molto spesso le regole del gioco della vita sembrano incomprensibili, per quanto ci si sforzi.
      E spesso si è tentati di uscire dal gioco perché il gioco spesso sembra seguire il Teorema di Ginsberg, ovvero:
      1. Non puoi vincere.
      2. Non puoi pareggiare.
      3. Non puoi nemmeno abbandonare.

    28. E’ lungo ma ne vale la pena
      Umberto Galimberti.
      Scoprire Il dolore dell’anima.
      Perché la psichiatria organicista, quella che impiega i farmaci per intenderci, utilissimi, anzi inalcuni casi indispensabili per alleviare le condizioni di chi soffre, non ascolta con una certa continuità e frequenza le parole che sgorgano dalla sofferenza e che riproducono in mododrammatico le condizioni d’esistenza di ciascuno di noi, e in modo vertiginoso alcuni abissi che solo l’arte, la poesia, la musica, la mistica fanno dischiudere, chiedendo spesso il sacrificiodell’artista, del poeta, del musicista, del mistico?
      Solo la psichiatria fenomenologica, che in Italia non si insegna in nessuna scuola di specializzazione, si presta a questo ascolto, per andare incontro alla speranza di chi soffre,sciogliere i vissuti di colpa che incatenano, perforare i muri della solitudine quando nessuna parola la raggiunge, nessun gesto la incrina, fino a quel taedium vitae che tutti, per brevi attimi, avvertiamo come nausea dell’esistenza. Perché non avviene un’integrazione di questi due orientamenti psichiatrici? Perché la pratica farmacologica sopprime l’ascolto, disumanizza l’uomo, riducendolo ad un “caso” da rubricare in quei quadri nosologici, dove e’ l’efficacia del farmaco a decidere la diagnosi, mettendo a tacere tutte le parole del dolore che la follia urla e le nostre anime sussurrano. E così disimpariamo il vocabolario emozionale, anche se sappiamo che tutte le parole dimenticate diventano opachi silenzi del cuore, che aprono quei percorsi bui e insospettati di cui ci accorgiamo solo quando approdano a gesti tragici. Perché la follia sta diventando solo una faccenda medica e non più un evento umano? Perché la categoria della “malattia” deve occupare tutto lo spazio, fino a oscurare la profonda parentela che esiste tra l’eccesso dell’anima e la sua normale condizione? Perché subito un medico o un farmaco quando la malinconia di un adolescente o la sua angoscia, almeno all’inizio, stannoimplorando solo un po’ di ascolto? Davvero non abbiamo più fiducia in uno sguardo comprensivo, in una parola che sa corrispondere all’abisso della disperazione? Davvero non abbiamo più tempo in quest’epoca che ci vuole tutti insensatamente gioiosi, e se non riusciamo, almeno mascherati da quella fredda razionalità che non lascia trasparire nessun moto d’anima? E allora se proprio nessuno ci ascolta, se noi stessi, complici di questa mancata comunicazione, imbocchiamo quella strada che ci porta a tacitare l’anima, per poi offrirci, disarmati, alle sue profonde perturbazioni che neppure sappiamo più riconoscere e tantomeno nominare, se il silenzio intorno a noi e dentro di noi s’e’ fatto cupo e buio, apriamo un luogo di conoscenza,una terra amica, dove possiamo constatare che le “malattie dell’anima”, prima che una faccenda medica o farmacologica, sono condizioni comuni dell’esistenza umana.

    29. E mi permetto un’altra citazione, stavolta poetica
      ………………………………

      Di chi siano questi boschi credo di saperlo.
      Ma la sua casa è in paese, così
      Egli non può vedere che mi fermo qui
      A guardare il suo bosco coprirsi di neve.

      Troverà strano il mio cavallino
      Che mi fermi qui, senza case intorno,
      Tra il bosco e il lago gelato
      La sera più buia dell’anno.

      Dà una scrollata al suo sonaglio.
      Per domandarmi se ho sbagliato:
      Il solo altro suono è il lieve fruscio
      Del vento, dei soffici fiocchi.

      Bello è il bosco, scuro e avvolgente,
      Ma io ho promesse da mantenere,
      Miglia da fare prima di dormire,
      Miglia da fare prima di dormire.
      Robert Frost

    30. Io non voglio suicidarmi, non ci ho mai pensato seriamente. Però a volte mi capita una cosa strana: ho paura di pensarci, e sopratutto ho paura che un giorno posso perdere il controllo di me e fare qualche cazzata bella e buona. Cioè, in definitiva: avrei paura a suicidarmi! Ma secondo voi è normale avere paura di una cosa che sai che non faresti nè ora nè mai??

    31. Sì, è il meccanismo della presa di corrente che affascina e atterrisce. Sono giochi mentali morbosi, senza conseguenze pratiche (per fortuna)

    32. Sull’argomento posso solo citare una mia direi istantanea esperienza con gli psicanalisti (a parte quelli con cui ogni tanto uscivo, che credetemi fanno esperimenti sulle persone, e psicologi che credo stavano peggio di me). Per farla breve, in un periodo di grossa difficoltà, mi ero decisa ad avere un colloquio con uno degli psicanilisti di grido, qui a Palermo.
      Presa la decisione, che é come dire, ammetto di avere un probloema che non riesco a risolvere, esxsendomi prima consultata con la moglie di un amico, guarita da duemila strane fobie di cui pativa da tempo, vado.
      Così, colloquio preliminare, espongo le cose, il tipo mi dice ok, per ora non ho disponibilità, se ne parla fra tre mesi. Io mi dissi, tre mesi? Ma lo sa questo qui quanto mi sia costato arrivare qui, pensare che avessi bisogno di un aiuto, esterno alla mia cerchia di amici o parenti?
      La mia amica, mi aveva avvertito, ti farà ostruzionismo, perché vuole vedere se tu sei veramente determinata ad avere un aiuto del genere, in quel caso fagli capire che ne hai bisogno. Così ho fatto, ed il tipo mi disse, tra un mese, allora posso liberarmi. Me ne andai digustata, onestamente. Ma devo soddisfare l’ego, o non so cosa di questi presunti analisti dell’anima? considerando la fatica che mi é costata solo per decidermi a mettermi in quest’ordine di idee? Ho pagato le mie 80 euro per 1 ora, e non sono andata più.
      Ecco, oltre ad altre cose (degli amici analisti, di cui vi dicevo), da dove nasce la mia idiosincrasia, e ps., per Puglisi si tratta di analisti e non di neurologi (che tendono solo a curare farmacologicamente), anche se farmacologicamente circa 6 anni fa, ho curato, solo con le indicazioni del medico di famiglia, una forma di attacco di panico (mai sperimentata prima nella mia vita, e dovuta ad un eccesso di stress), che si é risolta farmacologicamente con una cura di ansiolitici di tre mesi, presi via via in forma decrescente. Io non amo la dipendenza da farmaci, quindi, sono stata più che attenta a seguire le prescrizioni. Attachi di panico passati. A volte tornati, brevemente e molto episodicamente (diaicamo 3 in 4 anni), in qualche situazione di stress acuto, ma ormai li conosco, e li controllo senza bisogno dei farmaci.

    33. La questione è molto semplice: non si può ridurre una categoria a una esperienza personale per quanto multipla. Potrei dirti che conosco psicologi assai diversi nei comportamenti dalle persone che menzioni tu. E allora? Questo giustificherebbe una visione rose e fiori? La realtà mi pare assai più banale. Ci sono quelli bravi e quelli scarsi.

    34. Non so Puglisi, ho sviluppato una certa diffidenza sulla categoria, me ne scuserai.

    35. Anch’io ho avuto la tentazione di suicidarmi, specialmente oggi che torno da tre settimane di ferie e non riesco a connettermi con la realtà. Non sono i post di Puglisi a provocarmi la voglia di suicidarmi, anzi, leggo che sei un esperto in materia, Puglisi puoi dare qualche consiglio anche a me?

    36. Grazie Roberto! Appena adessoho avuto conoscenza del contenuto Rosalio blog
      ed ho partecipato emotivamente alle comunicazioni varie pervenute. Sofferenza, solitudine, angoscia, mal di vivere,denominatori comuni di chi vive la tentazione del suicidio …. Grazie per la sensibilità ed il senso di solidarietà e di professionalità nell’affrontare le varie tematiche, dando un contributo alla conoscenza ed alla prevenzione stessa.
      Un’ultima cosa: e la sofferenza dei “sopravvissuti” ? Qualcuno ha mai avuto un pensiero verso di loro? Sono una “sopravvissuta”,attendo.

    37. Ciao cara Livia. La sofferenza di cui parli è terribile. E’ una condanna a morte scontata sull’anima ogni giorno. Ci sono sensi di colpa e fantasmi e strani animali che tornano a galla per strozzare gli attimi di serenità. Ma capisco che tu sei una persona che sa reagire. Le domande della vita sono terribili e cadono in continuazione. E schiumano a sorpresa anche quando pensi di averle sepolte per sempre. Quello che conta – nel nostro mondo fragilissimo – è la risposta che continui a dare. Un abbraccio

    38. Questo post ha raggiunto il suo scopo: far parlare di un argomento spinosissimo. Qualcuno ha avuto il coraggio di mettersi in gioco e forse la riflessione è stata utile. Penso che qualche utente di questo blog dovrebbe chiedere scusa – non tanto a me – ma al dolore delle persone che ha volontariamente offeso, senza umanità.

    39. Gentile Sig. Puglisi,questo post non è spinosissimo… è una mazzata allo stomaco senza preavviso per chi come me ha è stata dall’altra parte della barricata, quella parte che ha visto sparire una persona solo per “odio cieco”, per quel senso di vuoto dell’anima che niente e nessuno riesce a colmare. La notte che Rosalio ha pubblicato il post, tremavo mentre lo leggevo, ero appena tornata da una piacevole serata con i miei amici… e all’improvviso ho ripercorso una vicenda tragica che spero un giorno di DIMENTICARE (e non semplicemente “rimuovere”). Non credo che serva a molto un post… nè una campagna di sensibilizzazione… credo che serva quanto una candela in una stanza buia.. ma meglio che nulla, no?? Riguardo al ruolo che può avere uno psicologo… credo che la terapia può avere successo solo se si lavora in 2! E questo prevede professionalità da una parte e impegno dall’altra. Di psicologi “scarpari” ce ne sono tanti in giro… ma se si è tenaci (ed anche inquattrinati, perchè una terapia costa parecchio!) alla fine si trova quello a propria “misura”! Guarire è possibile… basta solo volerlo… basta solo mettere in pratica 2 preziosi strumenti: il perdono (a cominciare da se stessi) e la speranza.

    40. In occasione della giornanata mondiale per la prevenzione del suicidio , 10/9/2007, l’OMS ha ricordato che ogni 30 secondi nel mondo una persona is toglie la vita, e che circa 3000 persone ogni giorno is siucidano.
      Il rischio dopo un primo tentativo aumenta di almeno cinque volte rispetto ad altri.
      Per ogni siucidio avvenuto si deve calcolare che almeno venti tentano di suicidarsi.
      Se non si può prevenire in senso assoluto il suicidio, se ne possono prevedere i rischi e stabilire dei programmi di intervento sui rischi.

      A tal fine. L’A.F.I.Pre.S. MARCO SAURA onlus – Affiliato I.F.O.T.E.S. (International Federation of Telefonic Emergency Services)è lieta di invitarLa ad un cocktail-incontro in occazione della

      “GIORNATA MONDIALE DELLA PREVENZIONE DEL SUICIDIO”

      che si terrà presso i locali di BIOTOS in via XII Gennaio n°2 Palermo
      IL 21 SETTEMBRE 2007 ore 16.00-19.00.

      L’evento è realizzato con la collaborazione di:

      – AZIENDA USL 6 – DIPARTIMENTO SALUTE MENTALE – Modulo 1

      – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO – Facoltà di Medicina e Chirurgia –
      U.O.C. Di Psichiatria e Scuola di Specializzazione in Psichiatria

      Spero possiate partecipare, Livia Nuccio

    41. Un saluto affettuoso alla signora Nuccio, Cara Iol, in ,inea con te. Il tuo è un messaggio pieno di vibrazioni dolorose ma non solo: c’è anche speranza e amore. Io penso che ognuno di noi può essere una candela accesa in una stanza buia.

  • Lascia un commento (policy dei commenti)

    Ricevi un'e-mail se ci sono nuovi commenti o iscriviti.

x
Segui Rosalio su facebook, Twitter e Instagram