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martedì 23 apr
  • ‘u Picciriddu

    Ci dissi a Eugenio che dopo tanti anni di firriare Palermo Palermo, quasi mille a pensarci bene, non mi sono ancora abituato a questa storia del Natale. Ora vengo e mi spreco: non è conto che noi dell’islam siamo arrivati qua e abbiamo ammazzato a tutti i cristiani. Ma quale: ficimu strate, iardini, palazzi bellissimi. Certo gli infedeli non ci piacevano tanto assai ma chiese non ce na abbiamo abbruciato e i monasteri bizantini non li toccava nessuno. Ai tempi di mio padre Yusuf c’erano trecento maestri che ci insegnavano a leggere e scrivere a mezza Palermo. Forse di più di come succede ora.
    Ma pure noi islamici abbiamo il nostro natale. Si chiama Maoled e la festa è per la nascita del nostro Profeta, il giubileo di Maometto. Non è come la nscita di Gesù che sicuramente se la sono inventata e l’hanno puntata il 24 dicembre come oggi e invece magari chissà quando fu veramente. Il Maoled, invece, è carcolato col caledario della luna e si festeggia il dodicesimo giorno del mese lunare della prima autunnata. Così non cade mai sempre la stessa iurnata come per i cristiani.
    Ma spiegare queste cose ai palermitani non è cosa facile. Poi finisce che, siccome non capiscono allora ci pare che li stiamo prendendo, con rispetto parlando, per il culo e diventano nervosi. E un palermitano nervoso è peggio di un palermitano calmo. Così abbiamo pensato di lasciarci il loro natale senza immischiarci troppo. Ognuno il suo.
    Ora dovete sapere che a me, religione o non religione, mi piacciono le cose belle. Dovevate vedere che cosa era il castello di Maredolce dove abitavo. Una cosa di lusso coi giardini, il laghetto, i piedi di pipittone, di mantrini e di arance amare. Una meraviglia. Ma noi, ammettiamolo, a ora di feste non è cosa nostra. Vuoi perché ci passava la vita nei deserti appresso ai cammelli, vuoi perché abbiamo avuto sempre la testa a viaggiare, vuoi perchè avi di tannu che contrastiamo col resto del mondo, insomma: alle feste ci pensiamo poco.
    I palermitani invece, miiiii…loro si che se ne sentono. Per questo si hanno fatto la nomina che tanti anni dopo che io ero morto, erano il popolo delle tre F, Farina, Feste e Forche. Cioèaddire: quando chi comandava ci sparteva farina per fare il pane, ci organizzava qualche festa, o impicava a qualche dolinguente, loro erano sempre in prima fila.
    Ma per Natale, almeno ai tempi miei, nessuno spartiva niente a nessuno. Non c’era la tredicesima, non c’erano bottiglia e panettone dell’ufficio, non c’erano i regali di patri e matri. Ma c’era la magia.
    Voi lo sapete che per noi è peccato grande fare un quadro di Maometto. Non è come per voi il Cricifisso o il Cuore di Gesù che voi ora mentete pure impiccicato nel cristallo delle macchine. Ma la vigilia di Natale, ai tempi miei, c’era come una magia. Verso le dieci di sera i palermitani si muovevano, uscivano di casa e camminavano lenti lenti verso la chiesa. C’era chi pregava, chi cantava, chi camminava manu manuzza. C’erano le fimmini che arricintavanu i picciriddi sempre tosti e cornutazzi che andavano correndo di qua e di la. C’era scuru allora, non è conto che c’erano i lampioni come ora. Nello scuro i ziti si abbrazzavano, i vicchiareddi si sostenevano e poi si andavano a sedere nella chiesa dove il parrino ci spiegava a tutti che un picciriddu stava nascendo nella stalla con uno scecco e un vistiolo al posto dei termosifoni e che mentre questo picciriddu nasceva una stella granni granni si era posata sopra la stalla e ci segnava il posto a tutti. E correvano pecorari, pescatori e c’era un pecoraro che appena vedeva la stella si scantava per la grande lucentezza. E poi arrivavano tre re importantissimi sopra i cammelli e ci portavano regali preziosi a quel picciriddu nato in una stalla. Aspanu, Micciuoniu e Batassarru, che venivano di lontano lontano.
    Io in chiesa non ci potevo andare perché non era cosa. Magari poi pensavano che mi stavo facendo cristiano e non poteva essere. Anche perchè io sono un devoto del mio Dio, ci mancherebbe. Però mandavo sempre un segretario del palazzo a sentire le parole dei parrini e a scriverle sopra un libro e io poi me le leggevo e mi sembrava come quando ero picciriddu io e mia madre Jasmine mi raccontava le favole delle palme delle oasi che facevano un poco di curtigghiu quando una carovana partiva e un’altra stava arrivando. E quando guardavo tutti quei plermitani che andavano a sentire la favola del Picciriddu, mi affacciavo a una finestra del castello e guardavo il cielo per vedere quando mai neinte si stava avvicinando qualche stella con la coda. Certo lo sapevo che non poteva essere ma tanto che ci perdevo ad affacciarmi? Non è conto che mi vedeva qualcuno.
    E a menzanotte suonavano tutte le campane così che era nato il Picciriddu lo sapeva pure chi non lo voleva sapere e dice che appena nato era già come se ci dicesse a tutti: miii che siete tosti, vi volete stare belli quieti che è troppo bello stare tutti insieme senza aggaddarci ogni cinque minuti? Certo in chiesa tutti ci avevano raccontato i suoi guai, chi aveva malati, chi non aveva il pane, chi si aveva sciarriato con suo fratello, chi aveva un figlio che era dovuto partire. Ma perchè – pensavo – io non ce li ho pure i miei guai? Mio padre che non mi leva gli occhi d’incapo perché pensa che non sono tanto intelligente, mio fratello che non vede l’ora di mettersi al posto mio, quei pezzi di merda dei normanni che già sono arrivati a Siracusa e, chiamali che viene, arrivano a Baaria. Ma in quella notte io restavo affacciato alla finestra del castello e respiravo il profumo dei pipittoni. Magari c’era il cielo sereno e mi sentivo sereno pure io. E ci dicevo al mio Dio: Signore Misericordioso e Onnipotente, lo senti che pace che c’è? Non è bello se per una notte, una sola, non si sente lo scruscio del ferro ma solo il silenzio del Cielo che prima o poi sarà la grande casa di tutti? Certo Lui non è conto che mi rispondeva. Ma io lo sapevo che mi aveva sentito. Poi mi andavo a coricare. E per una notte i fantasmi non mi venivano a trovare. E dormivo. Allora che vi devo dire? Trattatelo bene a questo Picciriddu e cercatelo negli occhi puliti dei vostri picciriddi e in quelli di tutti i picciriddi del mondo. Se guardate bene, lo trovate. Buon natale.

    Il taccuino di Giafar
  • 3 commenti a “‘u Picciriddu”

    1. Un inchino alla tua intelligenza sopraffina che ha la fortuna di sapersi/potersi esprimere attraverso le tue parole.
      Buon Natale anche a te!

    2. E’ proprio vero Billi, io il mio picciriddu (sempre tosto e cornutazzo!!) me lo stringo forte al cuore ma quando arriva Natale è un altro Picciriddu che lascio entrare nel cuore e faccio scorta di amore che mi dura tutto l’anno.
      Buon Natale a te e a tutti quelli che ti vogliono bene. :o)

    3. Questo pomeriggio, inshallah, andrò a messa perché per me Natale è principalmente ‘a nascita di Gesù Cristo.
      Quando ero nico a messa ci andavo a mezzanotte ed era, ogni vota, anno dopo anno, un miracolo meraviglioso. Il Natale si toccava per davvero. Era una rinascita fisica oltre che spirituale.
      Alle vostre famiglie e, inshallah, anche a tutti voi buon Natale.

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