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giovedì 25 apr
  • Quaderno di Palermo 5

    Quando uno ha davanti a sé una faccia, una facciata, una scena (mi riferisco rispettivamente all’abitante, all’abitazione, all’abitudine, cioè a tutto quello che costituisce una dimostrazione di vita, come accade e viene rappresentata in ogni città del mondo), e poi riesce a conoscere da dietro quello che esse nascondono, da una parte si produce una situazione di perplessità in conseguenza del risultato ottenuto – uno si dice: “Mi sono ingannato” -, dall’altra il mistero che si era creato all’inizio pure crolla e quello che era diventato enigmatico dentro la tua mente scompare, come tanti bei palazzi di Palermo che sono pericolanti, fermi, vuoti e ne conservano soltanto la carcassa. Siccome uno nella sua esistenza vive tra tante cose pure di impressioni, al primo approccio sia la vostra città che voi tutti sembrate veri, naturali, autentici, originali. Poi, mano a mano che uno vi conosce gli sovviene l’idea che tutto sia finto e di essere capitato in un grande melodramma. Ma, più tardi, con il tempo uno arriva alla conclusione che soltanto può essere così, che è l’unica realtà possibile in questo luogo. Una realtà dove il palermitano mai potrà essere una persona semplice, tanto all’interno come di fuori. Egli ha bisogno di uno strumento enorme per compiere la sua vera funzione: apparire. E per fare questo si deve travestire con grande sfoggio perché non si basta da solo, non sa mostrarsi nudo, elementare. Forse si potrebbe affermare che due fiumi paralleli scorrono in ogni abitante di questa città, uno dentro e un altro all’esterno, ma che quello che conta è il corso di fuori, cioè il rumore che fa l’acqua che invisibile fluisce all’interno.
    Quando il rispecchiamento di qualsiasi realtà si sgretola, sciogliendosi la sbiadita immagine che era rimasta sulla superficie quella prima volta che con tanto entusiasmo mi ero affacciato parecchio tempo fa, si capisce che soltanto ne rimangono frammenti, scheggie, macerie. Quindi ora mi trovo davanti alla realtà schietta e nuda e anche crudele. Diciamo che ho i piedi per terra e che addesso guardo, sento, accetto la vostra città come è, con tutta la sua scarsezza da un lato e con tutta la sua bellezza rimanente dall’altro. Ecco la verità che scende dal tuo immaginario impossibile perché fatto di un ideale ormai esaurito e senza più spazio per il ritorno. Perché dietro di te perdura una scia fatta di sogni, di chimere, di sensazioni. Perciò uno continua andando avanti e assumendo quella Palermo, più che inventata, intuita sia da tante cose che rimangono in vista – pietre, pizzo, paura -, sia da un presente che ha tanta difficoltà a sboccare nell’avvenire – sviluppo, scadenze, sgomberi -. Perciò davanti al tramonto di un giorno di maggio uno si lascia andare dentro lo spazio e il tempo di questa città e senza ormai guardare indietro prosegue per la sua strada, nonostante questo sentimento di stagnazione che avvolge lei e tutti i suoi abitanti, compreso me.

    Immobilità.

    Ospiti
  • 2 commenti a “Quaderno di Palermo 5”

    1. saggezza popolare antica:
      la mia vecchia tata (che da qualche anno non c’è più), proveniente da un piccolo paesino dei nebrodi, pur avendo vissuto tanti anni a palermo, nei confronti dei palermitani ha sempre mantenuto un sano distacco che riassumeva nel seguente proverbio:
      “fora mpimpitimpè
      dintra un si sapi chi ccè”
      trad: fuori “eleganti”
      dentro non si sa cosa c’è.

    2. Eccezionale!!!!!!!!!!Può voler dire tutto o….niente!

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