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martedì 19 mar
  • Te lo giuro

    Gli avevano giurato che sarebbe tornata a riprenderselo.
    Lui ai giuramenti ci credeva assai. Perché ogni volta che gli era capitato che qualcuno giurasse poi puntualmente il fatto era successo. Come quella volta che aveva sentito sua madre gridare dietro la tendina te lo giuro, sopra a Saro, se mi tocchi di nuovo non mi trovi più. E infatti, vero era stato, il giorno dopo, l’aveva preso e se ne erano partiti di corsa. Era mattina presto, faceva ancora buio e l’aria fresca dell’alba gli pungeva le guance. Forse voleva piovere pensò.
    Non si era lavato, né aveva potuto pettinarsi i capelli per la premura, che se non se li sistemava la mattina con un poco d’acqua gli restavano dritti sulla testa. ‘U chicchiriddu è, perché sei tosto, gli diceva lei. Però senza rimprovero nella voce, anzi lo abbracciava e rideva. Le voleva bene Saro a questa madre un poco distratta e strafalaria, come la chiamava sua nonna. Lo faceva ridere quella parola, però non gli piaceva il tono di voce roco di sua nonna. Non gli piaceva proprio lei. Sapeva di pomodoro acido.
    Sua madre invece era bionda e quando si sistemava bene era una bellezza. Le gambe lunghe spuntavano da gonne sempre troppo corte. E le unghie erano sempre troppo rosse. Ma a lui piaceva così. E poi aveva un profumo che a lui pareva di cose da mangiare, un profumo come di cacao e burro. Profumo di cose zuccherate.
    Forse era pure un po’ geloso, quando i maschi la guardavano. Ma non lo sapeva. Uno di quinta, una volta, gli disse che lo sapevano tutti che sua madre era una pulla e che andava con tutti. Lui non aveva detto niente, non lo capiva bene che significava e aveva pensato che lo diceva perché sua madre invece non era bionda e non aveva le gambe lunghe come la sua. Erano andati con un amico, uno che ogni tanto passava di sera e magari restava a dormire di là, dietro la tendina a fiori, perché viaggiava col camion e si doveva riposare un poco, prima di un altro viaggio diceva sua madre. Lui dal lettino li sentiva ridere e bisbigliare e pensava, mentre scivolava nel sonno, che avrebbe voluto sapere che cosa si dicevano per ridere in quella maniera e che avrebbe voluto divertirsi pure lui e ridere come quando, a scuola, gli avevano fatto lo scherzo a Paolino di nascondergli lo zaino fuori dalla finestra e lui non lo trovava più e si disperava e loro tutti a ridere come i pazzi e a tenersi la pancia. Però non glielo chiedeva perché ridevano. Capiva che doveva essere una cosa da grandi. Era gentile quell’amico di sua madre, gli portava qualche macchinina ogni tanto e a sua madre addirittura un cellulare gli regalò una volta. Bello, lucido, nero. Con la suoneria che era una canzone di discoteca che piaceva a sua madre e la cantava sempre quando era allegra e gli cucinava la pasta.
    Pure quella mattina partirono col camion. Lui lo sistemarono in mezzo e manco dopo cinque minuti con la testa sulle gambe lunghe di sua madre si addormentò, ipnotizzato dalla pioggia che picchiava sui finestrini e dalla linea bianca della mezzeria che correva velocissima e si spezzava in tanti puntini minuscoli, fino a che non divenne un’unica striscia bianca e lui sognava un gessetto che tirava una linea su una lavagna grandissima che non finiva più.
    Avrebbe dovuto cambiare scuola di nuovo. Avevano una nuova casa, però, anche se non nuova proprio come quella del suo compagno, che aveva le pareti azzure e le barchette disegnate. Però in questa lui poteva avere la sua stanza con la porta che si chiudeva e non con la tendina come in quell’altra. C’era un lettino e una mensola pure. Ci posò sopra due macchinine e basta perché altri giocattoli non se ne era potuto portare, per la premura.
    Ebbe un poco di paura la prima notte a dormire solo: sentiva i battiti del cuore nelle orecchie e pure nella pancia, ma durò poco perché sapeva che sua madre sarebbe tornata e lui avrebbe sentito la porta aprirsi e magari avrebbe visto lei che sbirciava per vedere se dormiva e, senza farsi accorgere, gli avrebbe dato un bacio leggero. Che sapeva di cacao e di burro. Lo sapeva perché glielo aveva giurato. Te lo giuro torno presto, tu dormi.
    E lui ai giuramenti ci credeva assai.
    Invece si svegliò seduto in mezzo al letto tutto sudato e con la bocca secca. Aveva sete. Nel sogno c’era un tappo di bottiglia gigante che lo catturava, in una strada sempre più stretta mentre lui correva correva ma aveva le gambe pesantissime, poi era caduto a terra e il tappo si era posato sopra di lui e dentro era tutto nero e manco riusciva a respirare. Aprì piano la porta, cercò dell’acqua che non c’era e aspettò quella sua madre strafalaria fino all’indomani. Si annoiava un poco, allora cominciò a fare le sue scommesse solitarie. Ora conto fino a 10, si apre la porta e lei entra tutta contenta e mi porta pure i mottini. Contava: uno, due, tre, quattro…dieci. Ma non succedeva niente. Allora contava fino a venti. Ancora niente. Ci voleva un’altra scommessa. Chiudo gli occhi e conto fino a trenta, stavolta. Poi li apro e lei è là. che ride. Uno, due, tre, quattro…non arrivò nemmeno fino a dieci, stavolta. La porta si aprì. Ma non era lei. Era una signora un po’ grassa, con le gambe corte. E con un profumo che non gli piaceva. Come di incenso e di cera. Un profumo salato. C’erano altri due con lei. Avevano dei fogli in mano. Provarono a spiegargli che ora sarebbe andato in un posto grande, con altri bambini, che avrebbe potuto giocare e andare a scuola ogni giorno. Ma Saro non si voleva muovere e provò pure a chiudersi in bagno e ad aprire tutti i rubinetti per non sentire le voci.
    Ci volle un pezzo. Uscì solo perché si fece giurare che sua madre sarebbe andato a riprenderselo. Me lo devi giurare, disse alla donna con le gambe corte. Me lo devi giurare sopra a tuo figlio. Quella glielo giurò. Allora lui ricominciò a fare scommesse per tutto il viaggio in macchina. Se conto fino a cento forse torna entro stasera. Uno, due, tre, quattro…

    Palermo
  • 25 commenti a “Te lo giuro”

    1. Complimenti. Storia bella e toccante.

    2. ho i brividi…

    3. Bellissima storia, narrata egregiamente.
      Mi si chiude il cuore, stò vivendo una storia di un “Saro” ed è tragica, fra poco sò verranno a prenderlo, ma nessuno gli giurerà niente, soprattutto quell’infame di sua madre e quel suo maledettissimo padre.

    4. Brava Maria

    5. Fantastica…veramente emozionante! ancora di più se ti fermi un attimo a pensare e realizzi che purtroppo nel mondo ne esistono anche troppi di bambini come “Saro”…
      Maria sempre bravissima ogni volta mi perdo nella lettura delle tue storie che siano esse comiche o più serie come quest’ultima….

    6. sei grande maria

    7. brava mari..certo che i compagnetti avevano ragione…smack

    8. Che graziooosi!;-) Max che compagnetti?

    9. Bravissima, sempre!

    10. i brividi pervadono tutto il mio corpo…grande maria…

    11. bella storia, riesce a farti entrare direttamente dentro uno spaccato di vita!

    12. Terminato il tuo racconto,sono rimasta immobile e senza fiato..poi l’ho guardata (col nostro sguardo che significa “Sul lettone di Mamma”)e ci siamo “tuffate” e solleticate e prese a cuscinate..e io ho ripreso,finalmente, a respirare!
      Un bacio grandissimo da tutte e due 🙂

    13. maria….porco giuda…questa è veramente tosta..
      confermo la grande teatralita’ dei tuoi post

    14. ottimo ! Ma perchè nella realtà esistono queste donne?!senza più valori e sopratutto mancanti di amore materno

    15. Molto, molto bello…con il tuo permesso vorrei pubblicarlo nel mio sito http://www.pensierinblu.com ci sono poesie, recensioni, autori nuovi, è dedicato a chi ama leggere ed emozionarsi…credo che il tuo racconto ci starebbe benissimo

    16. @Manlio Piazza: permesso accordato!Ancora per poco…;-)

    17. Grazie!!!allora domani vai su http://www.pensierinblu.com e troverai una sorpresa :-))))davvero bello il racconto…complimentissimi

    18. Manlio Piazza la prossima volta sarebbe meglio scrivere un’e-mail personale all’autrice del post. Grazie.

    19. Sigh sigh, piango e aspetto un lieto fine… Brava Maria

    20. Non ci ho pensato al lieto fine…nè ad un seguito, Ninni.Sorry…;-(

    21. L’altro Ninni
      io non simulerei il pianto con un sigh, sigh, ma manifesterei la cosa con un più nostrano “mi vieni i chianciri”.
      Il lieto fine non sarebbe opportuno, banalizzerebbe il tutto.

    22. Sono arrivata in studio e, per abitudine, controllo le mail, poi mi collego “al tribunale” per vedere se ci sono novità e quindi vedo se su Rosalio la Cubito ha scritto qualcosa.
      Oggi hai scritto, ma io ora come faccio a tornare a lavorare? se poi pensi che sono un avvocato e ho incontrato anch’io qualche “Saro/a”!!
      Mi convinco sempre di più che l’essere genitori non equivale ad essere BRAVI genitori.
      Complimentissimi

    23. Grazie Enza e grazie tutti…con tutti ‘sti complimenti mi confondo!;-)

    24. Cara Maria, non mi stancherò mai di leggere i tuoi scritti né di farti avere i miei complimenti!
      Grazie per le emozioni che mi regali.
      Leone

    25. una volta l’anno tengo un “Saro” stretto stretto al mio cuore per un mese e cerco di dargli tutto l’amore possibile. Quando se ne va mi dice nel suo stentato italiano “mamma tu no” che significa non piangere

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