21°C
giovedì 28 mar
  • Teste di nicchia

    Quanti sono i palermitani che vorrebbero diversa e migliore la propria città? Siete in grado di enumerare tutti i movimenti, i comitati, i partiti politici, le associazioni, i forum e le compagnie che si spendono, bene o male al momento non importa, perché un ambito, una categoria o un servizio della città migliorino? E stiamo considerando soltanto quelli con una tessera in tasca. Immagino vi siano migliaia di persone che, nella solitudine della loro quotidianità, inveiscano contro tutto ciò che non va; persone che si lamentano in casa con la famiglia, con gli amici al bar, coi colleghi al posto di lavoro (se hanno un lavoro). Due categorie, quindi, di lamentosi: gli affiliati e i solitari. I solitari sono spesso individui che, rispetto agli altri, si muovono con più difficoltà nella società: non partecipano agli eventi, non seguono diligentemente l’attualità, non cercano grandi risposte e non nutrono che piccole o nulle speranze. Per motivi che possono riferirsi a ristrettezze economiche, a gravi pensieri giornalieri, a pesanti scadenze e ad una mancata adeguata formazione, essi non si vedono: forse troppo schiacciati dalla vita, istintivamente disillusi, più facili agli inganni e alle promesse, essi sanno che potrebbe andare meglio, lo sanno d’istinto, ma non credono alla buona fede degli altri, e non sanno cosa di preciso non va, dove sta il problema, come lo si potrebbe risolvere.
    I solitari sono spesso oggetto di compassione o di malcelata derisione per gli altri, gli affiliati.
    Ed è di quest’ultimi che mi preme scrivere. Affiliati, ammanicati, iscritti ad un singolo gruppo associativo, sono, invero, spesso i più soli, i più tristi, talvolta inutili e qualche volta dannosi.
    Sono quelli che una volta venivano chiusi sotto la voce di “borghesia media riflessiva”; quelli che un sociologo americano, Tom Wolfe, ha definito in parte “radical chic”. Li incontri spesso, quotidianamente: ci sono quelli che partecipano alle presentazioni dei libri, quelli abbonati ai teatri, quelli che manifestano per un dato problema, quelli che creano l’associazione, quelli che aprono un circolo ecc. ecc… Si auto-considerano la parte buona, brava, bella, giusta, intelligente della città, la speranza civile e democratica del progresso della stessa; sono la cultura, la conoscenza, la ragione, la sensibilità e l’impegno.
    E non è vero. Non perché le loro intenzioni non siano spesso meritevoli, ma perché il modo in cui il più delle volte si muovono rappresenta quasi un dovere statico, un girare su se stessi, uno slancio isolante, addirittura quasi una macchietta. Nel sociale e nel politico, si muovono, appunto, in gruppi, uno ad uno; gruppi che manifestano le loro idee quasi paternalisticamente agli altri (“Siamo venuti qui a dirti la verità”); gruppi che non sono quasi mai convergenti, che non collaborano, che non tracimano, che non riescono( e spesso non vogliono) a coinvolgere individui al di fuori della loro cerchia, soprattutto se si tratta di “solitari”. Sotto il profilo culturale è ancora peggio. Si comportano come una consorteria, una setta allargata di illuminati che riflette e indugia su se stessa. Presentano libri, album musicali, mostre fotografiche, opere teatrali e simili, anche di interesse universale, chiamando a se gli altri iniziati (gli stessi che magari hanno scritto la prefazione, o ne hanno curato le riprese, o che ne scriveranno la recensione su un giornale); s’invitano tra di loro alle performance di cui sono protagonisti; s’incontrano in tutte le occasioni, soprattutto quelle considerate di più alto valore, compiacendosi di trovarsi. E si lamentano, si lamentano tantissimo, in modo ossessivo. Di che cosa? Degli “altri”, degli altri che sono stupidi o insensibili. Mica come loro. Ho scritto sopra che sono talvolta inutili perché mi sembra un’operazione inutile presentare o condividere qualcosa con chi già sai che lo condivide e non può che dirsi d’accordo con te. Parli del problema dell’acqua pubblica con i compagni del comitato sull’acqua pubblica; presenti un testo letterario o un saggio ai tuoi colleghi che sanno di cosa parli; lanci slogan antimafia in una conferenza di un’associazione antimafia; decanti in un salotto cittadino o in un circolo i piaceri del vino e della cinematografica espressionista ai tuoi compagni di merenda che da trent’anni condividono le stesse passioni. Inutile. Si pretende di contribuire a migliorare o cambiare il tessuto sociale della città (dalla politica all’estetica) senza preoccuparsi di coinvolgere la città stessa, soprattutto quella parte della città che non ha riferimenti, che è stanca, silenziosa, che non può permettersi di andare ad indagare nel dettaglio le ragioni di un referendum né di studiare i motivi per cui quella pellicola riesce ad aprire squarci di coscienza. Una Palermo abbandonata, senza volto e senza nome, che però è la maggioranza, e che dovrebbe essere messa nella condizioni di partecipare, senza pregiudizi. Quei “solitari” che non sono visti o sono malvisti dagli “affiliati”, troppo impegnati a guardarsi tra di loro. Ovviamente esistono le eccezioni, sia nel sociale che nel culturale, ma sono eccezioni (non faccio nomi di personaggi, luoghi o sigle perché sarebbe promozione). Questo manca a Palermo e questo posso dire: è una città sconnessa, piena di voci che si auto-ascoltano e che selezionano chi le ascolta, disunita, spaccata e non priva di beceri pregiudizi (ricordo un post su Rosalio, l’anno scorso, in cui ci si divertiva a ridere del “folklore un po’ volgare” di una famiglia palermitana in spiaggia, categoria “solitari”; altro esempio, operatori teatrali in ambito contemporaneo che non lesinano sdegnose opinioni a forme di teatro più popolaresche).
    Volete, e vogliamo, una città migliore? Apriamoci a questa città, allora, a tutta la città. Chi può, provi a rompere queste consuetudini e allargare le reti che legano tutte le speranze bene o male coltivate da tutti i cittadini. Palermo non potrà mai immaginare un pur minimo cambiamento se chi ha tempo e modo di occuparsene non si aprirà a chi non può, o non sa che potrebbe occuparsene.
    Si rischia di rimanere chiusi in una nicchia, nella propria nicchia, come una testa di nicchia.

    Ospiti
  • 26 commenti a “Teste di nicchia”

    1. Sono sulla stessa linea .
      Questa citta’ deve trovare nuove forme di incontro,sperimentando umilta’ e fiducia,apertura ,affidamento e responsabilizzazione.
      E’ cruciale l’appello all’unita’ ,pena l’inefficacia di ogni buona intenzione.E’ come fare bollire gli spaghetti senz’acqua……..

    2. Straordinario post, merita un commento, che più tardi arriverà! Nel frattempo, benvenuto!

    3. Complimenti post davvero interessante…
      Palermo è NICCHIATISSIMA…
      adesso vedrai i commenti saranno tutti positivi ed ogni lettore penserà che ci si riferisca agli altri…
      come sempre avviene del resto…
      ovviamente non esiste modo peggiore per affrontare il problema…
      🙁

    4. Post davvero interessante, complimenti.
      Mi sono riconosciuto appartenere in prevalenza alla categoria dei “solitari”, anche se vi sono giunto per successivi disincanti e delusioni.
      E comunque, senza ancora aver perso del tutto una certa disponibilità all’impegno civico, continuando a sperare che serva a qualcosa.
      Grazie per la lezione!

    5. egregio autore del post
      se investi un bel po di tempo a cercare post analoghi su questo blog, dalla sua nascita, troverai enorme letteratura sull’argomento: incapacità culturale dei palermitani di connettersi tra di loro, di fare reti connesse tra di loro, e dell’impossibilità quasi genetica, ma sostanzialmente culturale, di scrollarsi di dosso quel maledetto autoreferenzialismo e spiccato individualismo che non permette di fare una vasta massa critica su argomenti comuni alla città e ai suoi abitanti (ca. 700.000).
      Nono so da quanto leggi i post su Rosalio. Credimi, lo seguo da anni e i tentativi ci sono stati da parte di diversi autori cittadini di rompere questo muro tra cittadino e cittadino. Diversi autori hanno inviato la propria strategia, ma sembra che nessuna strategia riesca a funzionare.
      Le Associazioni presenti, i comitati, raramente, certo oggi nel 2011 un poco di più rispetto a 5 anni fa, riescono a unirsi per cause comuni di bene comune, collettivo.
      Sono stato a riunioni di decine di queste associazioni e comitati di vario tipo, non avendo la tessera di nessuno di questi, e quando ho proposto la fusione, la connessione tra diverse realtà culturali aggregative, ho registrato delle reazioni quasi di incazzatura. Ci sono molto pregiudizi nella nostra cultura locale. E non è solo una caratteristica delle aree aggregative cosiddette “radical chic”. Va oltre quelle aree.
      Questo tuo post è l’ennesimo di chi, consapevolmente, si accorge della incomunicabilità tra aree aggregative della città. E se non si comunica, non si può nemmeno immaginare l’aggregazione, l’azione comune per perseguire obiettivi comuni.
      Non so sinceramente come poter uscire da questo stallo culturale e sociale, non conosco l’exit strategy. Tante ne sono state presentate, quasi quasi Rosalio le potrebbe raccogliere in un apposito contenitore al suo interno, utile per le generazioni che verranno, da utilizzarsi per capire la sociologia dei palermitani che hanno tentato con le loro metodologie di cambiare in positivo questa mancanza di capacità di creare aggregazioni e contaminazioni tra gruppi, comitati e associazioni.
      Scusami non voglio sembrarti arrogante, apprezzo quello che scrivi.
      Tu scrivi: “Volete, e vogliamo, una città migliore? Apriamoci a questa città, allora, a tutta la città. Chi può, provi a rompere queste consuetudini e allargare le reti che legano tutte le speranze ….”.
      Dovresti anche proporre come se vuoi dare un contributo più incisivo. Cioè con quale metodologia i palermitani dovrebbero mutare assetto da passivo e non connesso ad attivo ed interconnesso.
      Io non ho una metodologia, quelle che ad oggi ho pensato e detto dentro i gruppi, ho verificato essere state fallimentari, quindi non scrivo post, bensì leggo e cerco di imparare dagli altri. Ma chi scrive oltre a fare la fotografia dell’attuale, dovrebbe indicare un idea di metodologia da applicare concretamente giorno dopo giorno.
      Tu che proporresti per permettere oggi la contaminazione tra gruppi a Palermo e la conseguente interconnessione ?

    6. Eccomi. Allora il termine radical chic viene utilizzato spesso come un insulto. Esso infatti contiene un rimprovero moralista, non si può essere allo stesso tempo radicali e chic, non si può avanzare una critica “di sistema” senza rifiutarlo in toto, vino e caviale compresi. È radical chic Santoro che critica la privatizzazione della scuola pubblica ma manda i suoi figli alla scuola privata. È radical chic chi predica bene ma razzola male e questo razzolare male è sempre un rimprovero morale, un richiamo alla coerenza che sembrerebbe inoppugnabile. Si capisce come accusare l’interlocutore di essere radical chic ottiene sempre lo stesso risultato, quello di mettere in secondo piano “ciò che egli dice” e “critica”, la sua ragione o il suo torto e invece puntare l’attenzione sulla persona, che, per definizione, non ha titolo a criticare, proprio perché “lui per primo”. Questo per dire che ogni tanto i radical chic possono pure azzeccarci.

      È vero, come scrivi, che la città è piena di piccole consorterie e di gruppi molto chiusi: anche su questo blog (e nei nuovi che nel frattempo sono nati), sono d’accordo, è facile trovare degli esempi di autoreferenzialità, complicità di scarsoni che passano il tempo a darsi pacche sulle spalle, retorica televisiva come se piovesse.

      La solitudine arrabbiata che descrivi come alternativa non è però la soluzione anzi a me sembra che sia l’altra faccia della medaglia di ciò che critichi.

      L’antidoto a queste chiusure identitarie è, piuttosto, stare fra la gente pensando di avere qualcosa da dire e da imparare, prendere sul serio il proprio interlocutore (anche quelli che ti sembrano radical chic!), farsi mettere in crisi, lasciare che le proprie certezze possano essere scalfite dall’imprevisto. E provare a scalfire di rimando, criticando, facendo domande.

      Non c’è nulla che manchi di più a Palermo, di persone che facciano domande.

    7. Da affiliato a solitario. E’ un percorso fatto da molti. Rarissimo il contrario. Cominciai a proporre “fusioni” circa sette-otto anni fa, non solo sugli ideali ma anche sulla “vita quotidiana” (sedi in comune, una pubblicistica condivisa, la suddivisione dei compiti per poter essere più presenti, ecc.). Non solo incazzature, come scrive massimo-lg, ma più sottili astii e ipocrisie (ognuno ha poi “un consigliere comunale di riferimento”, un “assessore vicino”, un progetto presentato e così via, per temere che l’operato altrui possa rompere le uova nel paniere o, in sintesi, dover costringere ad una presa di posizione pubblica e definitiva tale da far perdere, appunto, possibili vantaggia “arruffianati”).
      Sono certo che Marco Priulla mi consentirà di “copiare e incollare” il suo testo anche in altri contesti. Grazie

    8. temo che la colpa nn sia dei cittadini impegnati nella politica e in chi si associa.
      c’è, tra questi anche gente onesta, che potrebbe fare qualcosa di buono. ma si deve passare per le elezioni ( giustamente)

      pensate che a palermo un candidato “nuovo”, onesto, con un curruculum credibile verrebbe votato? è successo in altre città ( chissà se faranno bene…)ma pensate che a palermo vincerebbe?

      pochi anni fa una donna onesta, credibile, magari con poca esperienza, ma sicuramente animata dai migliori intenti si candidò a presidente della regione. Io mi ricordo i commenti della maggioranza dei palermitani… “beh…si…è brava ma che deve fare…non ci sa fare…!”

      inutile dire chi era quello che ci sapeva fare e dove si trova ora e con quale condanna. e a dirlo nn erano certo malavitosi…

      sono pessimista. a napoli, in calabria, pur col degrado, la malavita al potere è rimasta una dialettica politica.certo magari i due schieramenti in lotta avevano entrambi personaggi loschi, ma almeno c’era un dubbio si chi potesse vincere…e questo è comunque un bene

      ogni tanto sento dire ai palermitani “ci vorrebbe una rivoluzione”…ma a dieci anni dal 61 a 0 che rivoluzione vuoi fare. un cambiamento ( nn rivoluzione) richiede principalmente una maturità della popolazione. che colpa ne hanno le associazioni? ammesso che ci siano i semi migliori del mondo, dove li vuoi piantare?

    9. Ah dimenticavo non è detto che il fatto che ci siano tante associazioni e tante realtà diverse che lavorino indipendentemente sia un male, anzi per me è un bene. A patto che questi soggetti portino davvero idee diverse e a questa diversità di sigle corrisponda anche una diversità di punto di vista!

    10. Io direi brutalmente che nel nostro contesto sociale trattasi solo e unicamente di classismo e nemmeno di sinistra, no no, proprio per niente, anzi è proprio un classismo borghese! L’ennesimo paradosso di questa città: un classismo di stampo conservatore perpetrato da coloro che si dichiarano “di sinistra”. Menomale che sono anarchico fino al midollo và!! Se la tengano per loro l’oscena borghesia che permette tra l’altro ai propri figli di studiare a Roma piuttosto che a Londra e cazzi e mazzi etc. ALLUCINANTE, DAVVERO ALLUCINANTE!!!

    11. Si vede che l’autore del posto fu allievo mio 🙂

    12. Bello il post. Che però per il 90% della sua lunghezza non fa che limitarsi a dipingere, come sempre, quello che secondo l’autore non va.
      Simpatiche le definizioni e facile “riconoscervicisi” in qualcuna di esse.
      Perché tanto siamo tutti radical chic, qui dentro.
      In quanto ai rimedi… come ben ha scritto massimo-lg, nessuno ne ha più, dopo averne provati a proprie spese alcuni.
      Questo è il grande difetto che accomuna le teste pensanti: ognuno ha le proprie idee e non è facile rinunciarvi per aderire a quelle di altri, che magari sono simili ma non proprio identiche.
      E la politica italiana è un esempio lampante di ciò: miriadi di correnti, movimenti, partiti e partitini così simili uni agli altri che da fuori non si capisce perché non si fondano a fondare forze coese.
      Perché ognuno ha la sua idea, quasi uguale ma diversa.

    13. Interventi molto veri che si fermano inesorabilmente alla considerazione del problema:impermeabilita’ alla collaborativita’.
      A Milano si e’ detto : ci prendono per deficienti,e hanno formato un blocco sociale unico.
      Anche a Palermo….

    14. Insoddisfazione e lamenti dei palermitani: raggiunto nuovo livello XD adesso ci si lamenta anche di chi partecipa attivamente!

      però io penso che bisogna coinvolgere tutti e non lamentarsi di nessuno. Se vedete come si comportano gli americani o gli irlandesi nelle città vedrete di peggio che qua a Palermo! solo bisogna capire che per quanti sforzi noi umili cittadini possiamo fare, sarà sempre inutile se le amministrazioni e la politica non ci aiutano

    15. Intanto ringrazio chi mi ha dato il benvenuto e ricambio il saluto.
      Gasparino e Niria, non parlo di colpe. Io non ho scritto che è un male la molteplicità di voci né che il singolo impegno di costoro sia da non prendere in considerazione. Ho scritto che questa molteplicità di voci non solo potrebbe pensare di fare un coro unitario di voci diverse (più che il comitato sull’acqua, il comitato sulle fogne, il comitato sui mezzi di trasporto, ecc ecc, un comitato o un’assemblea di salute pubblica che le contenga tutte, che si riunisca periodicamente, che sappia sviluppare collegiamente l’analisi dei problemi e la proposta di soluzioni). Altrimenti continueremo a vederci in venti o trenta, dire cose che sappiamo già e fermarci lì, da soli. Io sono un attivista e un militante (non vi dico di cosa), e ho cercato di fare ponte con altre realtà diverse volte, nella possibilità di coniugare aspetti diversi che ognuno dei soggetti aveva fatto propri. Ci sono riuscito una sola volta, ma è durato solo qualche mese. Trovo snervante che l’attivista per la pace non partecipi o non s’interessi a problemi di più spicciola economia; o che chi difende il proprio posto di lavoro non sia altrettanto pronto a farsi sentire quando c’è da difendere quello altrui o da proteggere l’ambiente di Palermo. Nei limiti imposti dagli impegni che ognuno di noi penso abbia, io cerco di farmi carico anche di problematiche che non mi toccano direttamente. Ma, e rispondo a Fabrix, non sono qui per dare lezioni; ho la mia esperienza, ma non sono migliore degli altri in senso assoluto. Cerco di provarci, altri lo fanno, e ci si ritrova ad essere sempre gli stessi.
      Aggiungo, sul piano culturale. Esistono luoghi di ritrovo, pub, wine bar e simili che possono godere di posizioni strategiche nella pianta della città, e potrebbero costituire piccoli centri di irradiazione e di unità, coinvolgendo i propri affezionati o tesserati senza dimenticare chi abita vicino al posto. Francesco, la solitudine arrabbiata non è l’alternativa, non può esserlo; come dici tu, è la stessa medaglia. Io penso solo sia produttivo far coincidere le due facce.
      Incontro altri individui in un circolo qualunque, di quelli che ci vuole la tessera, e ci troviamo a parlare dell’X male. Tutte le persone dentro quel circolo la pensano come gli altri, e sanno cosa si sta dicendo. Domanda: è ipotizzabile organizzare l’incontro, il dibattitto, il momento di informazione in luoghi poco battutti, poco considerati? Fare fronte comune, creare rete, non significa annullarsi e sciogliersi nella massa; significa essere il singolo indispensabile tasto di un pianoforte che vorrebbe un suono pieno.

    16. Memore, puoi farne liberamente l’utilizzo che vuoi 😉

    17. Mi riconosco del ritratto della solitaria, che ha tentato forme associative, per capire, che alla fine non c’erano.
      Sono architetto. Collaborai gratuitamente ad una richiesta fatta dall’Ordine, per collaborare al sito dell’Ordine. L’idea era non male. Decisi di spendere il mio tempo non utile, per questo.
      Mi sono impegnata, per circa due mesi. Il gruppo che pareva essersi costituito si sfaldò quasi subito, per evidenti mancanze di risultati. Tentati di sollecitare le persone. Tutti mi risposero che avevano altre priorità.
      Perdonatemi. Si fa fatica ad associarsi, anche con tutta la buona fede e la buona volontà del mondo.
      Capisco bene il discorso, provocatorio dell’autore del post, ma si dovrebbe avere una seconda vita, per impegnarsi a tuttotondo come cittadino, in questa.
      Questo é il vero problema.

    18. MArco Priulla
      se il primo intervento mi trovava in assoluta sintonia con Te,questo tuo secondo specifica ancora meglio la Tua idea e rende perfetta l’esposizione del pensiero.Io penso esattamente cio’ che tu scrivi e ,di fronte agli sfiduciati o pessimisti,mi rodo il fegato perche’ come tu dici basterebbe davvero poco per creare dall’unione tanti Lilliputiani un enorme gigante capace di enormi azioni di rivoluzione (in senso pacifico) sociale e politica .
      Tu hai delle ottime idee .
      Nei primi gorni di luglio si svolgera’ a San Giuseppe Iato un incontro nel quale politici,esponenti della societa’ civile,cittadini di Palermo parleranno ed esprimeranno i loro pensieri e programmi sulle prossime elezioni palermitane.Tu dovresti venire.Per la semplice partecipazione e’ richiesto solo un minimo contributo.
      Piu’ tardi ti invio qualche nota ulteriore,se permetti.Ciao

    19. Come in una nicchia (che brutto nome, sa di cimitero) sta questo blog, oggi si svolgono 4 referendum su 3 temi non proprio peregrini, di cui 2 proprio concretamente rilevanti sulla vita di tutti, e Rosalio sta nella nicchia dell’iperuranio.

    20. @Orazio
      sui referendum e sullo spazio avuto in queste pagine hai completamente ragione.Sottoscrivo.
      Tuttavia il post di Marco parla di qualcosa di findamentale e ancor piu’ essenziale per i palermitani ,che devono ri -scoprire l’acqua calda:uniti si vince.
      PAre strano ,ma molti non hanno nel cuore e non riescono a concepire la sconvolgente e semplicissima verita’ che espone Marco.

    21. Orazio e il folklorista Rosalio parla di Palermo. Interpellato sulla questione ho risposto: «Ben vengano eventuali post che parlano del referendum se hanno una connessione con Palermo». Nessuno ha ritenuto opportuno scriverne ma li avrei pubblicati. Vi invito a utilizzare l’e-mail per suggerire temi e a rimanere in tema. Grazie.

    22. Grazie mille Folklorista. Inviami pure una mail con le info del caso. Ciao

    23. Complimenti per l’articolo! Rischiando di uscire fuori tema scrivo anche la mia. (abbiate pietà)

      Che sia dovuto (questo nicchismo intendo) al fatto
      che a Palermo le caste (usiamo questo parolone) sociali dividono in modo netto e pieno di tabù
      un individuo dall’altro ?

      Che sia dovuto al fatto che in questa città si ha
      quasi “paura dell’altro”, passatemi l’espressione,
      proprio perchè, caratterialmente, la convivenza civile spesso incontra ostacoli dettati da retaggi del passato (e forse anche del presente!).

      In altre parole: siamo o non siamo una città di associazioni solitarie sol perchè, di fondo, vige
      una certa umana inquietudine di cosa si nasconde nell’altro ?

      Spero di sbagliarmi… e attendo con pazienza qualche altro commento.

      L’argomento è delicatissimo quanto importantissimo.

      grazie
      poorCity

    24. Quoto, quoto e straquoto l’autore del post…. Bravo ! la penso esattamente così. Palermo ha un’altra cultura, mediterranea ! Ben più alta di quella di questi opinion leader dell’associazionismo, che giocano a fare i milanesi trendy nei locali in, e che si sentono giusti e bravi…ancora una volta BRAVO !

    25. carissimi giovani concittadini palermitani
      apprezzo il vs evidente affetto per la ns città e la passione civile espressa da M Priulla nel suo articolo . Ma occorre un pò di realismo . Infatti a prescindere dal suo valore personale occorre riconoscere che il sindaco resta come primo cittadino una espressione nel bene e nel male della sua città . E il palermitano purtroppo come ben dice Pendolina non si sente di appartenere ad altra comunità diversa dalla sua famiglia . Inoltre per fare il Bene Comune bisogna quasi sempre andare contro privilegi e interessi particolari e occorre quindi molta forza , una forza che l’attuale modo di fare politica non può dare a nessun sindaco per quanto ben intenzionato egli possa essere . Infine fino a quando la politica rimane un affare più che un servizio ( anzi la più alta forma di carità secondo Pio XII ) per il Bene Comune ) avremo nella PA sprechi inefficienze ed intrallazzi . Finchè noi palermitani non ci decidiamo a votare chi ci promette di amministrare la nostra città come un buon padre di famiglia che non tollera sprechi e sfaccendati , piuttosto di chi ci promette una carica o un posto le cose non cambieranno . Perchè i nostri politici aspettano da noi questo cambiamento prima di cambiare a loro volta .

  • Lascia un commento (policy dei commenti)

    Ricevi un'e-mail se ci sono nuovi commenti o iscriviti.

x
Segui Rosalio su facebook, Twitter e Instagram