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sabato 20 apr
  • In mare e sulla spiaggia

    Faccio il bagno sulla spiaggia di Trabia, nel punto meno affollato del tratto Pilieri-Vetrana. Spiaggia splendida, sabbia dorata, fondali bassi fino a considerevole distanza dalla battima, acqua trasparente e tiepida. Vedo la mia ombra muoversi sul fondo della sabbia nelle movenze che il capriccio e l’estro del momento mi suggeriscono. Posso seguire anche il riflesso di un grumo di schiuma negli istanti del suo formarsi ed apparire. Qua e là un pesciolino colorato guizza come un pensiero improvviso che si perde nel fluire delle immaginazioni. Un legnetto viaggia sul pelo dell’acqua con moto lento, il piccolo segno d’ombra è lì, sulla sabbia morbida, che segue silenziosa. L’ombra è un nulla che segna una presenza, non attenua una solitudine, seppure densa di memoria, di immagini, di desideri.
    Alzo gli occhi sulla superficie del mare su cui si posa il luccichio dei raggi di un sole che indugia sulle cime della catena di Monte San Miceli. Tre adolescenti giocano in acqua a palla con i loro corpi lisci e snelli, i visi delicati dell’età più bella, i movimenti sciolti e scattanti; le loro voci sono ruscelletti di suoni che svolano nell’aria tersa, cessano e rivivono, nella varietà di timbri e di toni, freschi e frizzanti. Più in là un parlottio di giovani, ragazze e ragazze, seduti in circolo sulla sabbia; una di loro disegna ghirigori col suo tenero dito sui granelli biondi: sembra inseguire una fantasia o una melodia coagulata in un ritmo appena percepibile.
    La folla dei bagnanti è una massa impressionante di corpi e di colori che si allunga sulla dolce ansa di una spiaggia che quest’anno offre spazi triplicati rispetto ad un paio di anni fa. Palermo, affamata di mare, vi si è insediata gustando, fino agli ultimi sgoccioli del giorno, il dono della natura che la mite Trabia le porge con gesto amabile senza nulla pretendere; Trabia, indifferente, spontaneamente generosa, che la natura e l’ingegno degli uomini hanno dotato dei beni più ambiti: il mare, un territorio di una bellezza mozzafiato, con pianure, dolci declivi, colline, valli, montagne e acqua, tanta acqua, così rara in Sicilia, e i castelli, quello dei Principi Lanza di Trabia, posto su uno sperone roccioso sul mare, e quello di San Nicola, un tempo della Principessa di Gangi, entrambi carichi di fascino e di misteri, intatti sotto la coltre dei secoli.
    Mi immergo nel tepore delle acque amiche che hanno accarezzato il mio corpo di bimbo. Dopo un breve nuoto privo di eleganze, accolto con sovrana indifferenza da un mare affabile ed invitante, lo sguardo corre veloce sulla sua superficie: lontane barche sostano tranquille, i giovani e le giovani, dai corpi lucidi dipinti dal sole, s’inseguono e si placcano, si abbracciano, si stringono in una frenesia sensuale che in qualche modo cercano di dissimulare, senza riuscirci, nel pieno di una tempesta di pulsioni e di desiderio. Una coppia di giovanissimi rapita, perduta, affiora a pelo d’acqua, indifferente all’altrui presenza; si bacia dolcemente, avvinghiata, nel corpo a corpo più naturale dell’essere vivente. Il sole è ancora abbastanza alto. Seguo l’andamento del crinale dei monti azzurri.
    Immergo il capo. Da ragazzo nuotavo lungamente sott’acqua con gli occhi aperti, toccando le increspature della sabbia e cercando di acchiappare vanamente con le mani i pesciolini sorpresi sotto un sasso verde di muschio. Mi rialzo. L’impatto sulla calca disordinata delle case protese fino alla sabbia ha il sapore di uno sgradevole risveglio, che mi costringe a richiudere gli occhi, quasi ad esorcizzare la cruda violenza dell’immagine. Il verde una volta era intenso, di un nitore di smalto. Ogni otto giorni passava il turno per l’irrigazione dei frutteti che non senza motivo erano chiamati giardini. Le rare casette coloniche affogavano tra gli alberi. Sul promontorio della Vetrana svettava la piramide di tufo della tomba del Marchese Artale. Ad occidente, sulla punta dell’ansa, nel cuore del Golfo. le mura merlate e la grande torre cilindrica del Castello di San Nicola; sullo sfondo, su un’alta scogliera, la prima delle torri saracene della costa di Altavilla Milicia. Volgo lo sguardo sulla maestosità del Monte San Calogero, guardo la quiete distesa del mare.
    Non voglio pensare ad altro.

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