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mercoledì 24 apr
  • Quaderno di Palermo 31

    Avvalendomi della recente approvazione del registro delle unioni civili dalla Giunta del Comune di Palermo, vorrei parlare dell’omosessualità, una questione in questo momento così attuale e tanto scomoda. Perché in una città ancora chiusa non soltanto su questo aspetto, ma che piano piano sembrerebbe si stia aprendo (la mia migliore amica palermitana da qualche tempo mi dice che le cose stanno cominciando a cambiare), in una società, quella sicula, dove quasi tutto succede come in qualsiasi parte del mondo, ma dove tante cose rimangono perpetuamente trattenute sulla punta della lingua (soltanto gli occhi muti hanno il diritto di sapere), il gesto della Giunta comunale è quanto meno gratificante e innanzitutto speranzoso per tanti abitanti palermitani. Ma sarebbe d’obbligo e anche doveroso far riferimento a tutte quelle persone che stanno dietro sia al Sicilia Queer Film Fest, nato se non mi sbaglio tre anni fa, sia all’organizzazione nella capitale siciliana del Gay Pride nazionale per questo mese di giugno. Si direbbe che tutte queste iniziative stiano finalmente contribuendo ad alleggerire l’atmosfera regnante.

    In un momento in cui il fenomeno dell’omofobia in Italia non si ferma e addirittura il presidente Napolitano pochi mesi fa ha dovuto fare delle dichiarazioni contro simile comportamento, l’atto di civiltà della Giunta palermitana dischiude in tanti di noi la speranza verso un futuro di convivenza, di rispetto e di uguaglianza. Un altro amico palermitano mi diceva già l’estate scorsa che almeno in questo senso Palermo è sicuramente un luogo molto più tollerante di Roma, per esempio. Ma se parliamo di tolleranza nella nostra città, sappiamo bene quanta strada deve essere ancora percorsa per poter vedere un giorno nella sua poco permeabile società una partecipazione omossessuale più articolata, voglio dire più sciolta, integrata, reale, come sta succedendo ormai da alcuni anni in parecchie città occidentali. Perché diciamo la verità, Palermo può anche sorprendere gratamente per la maniera particolare che ha di integrare gli immigrati, i quali sono già diventati un popolo multicolore nelle sue strade sempre gremite e vive. Si sa che questa città, e l’intera isola, hanno condiviso per secoli lo stesso spazio con culture diverse, con altre tradizioni, infine con altre civiltà. Ed è un vero piacere per noi stranieri, arrivati con altri presupposti di provenienza, sentire di appartenere a questo spazio. Ma se questo è piacevole e straordinario, non lo è invece il fatto che per secoli e secoli e anche adesso la diversità sessuale non sia la benvenuta in una società che continua a non voler sapere niente di quello che non abbia a che vedere con quella norma stabilita dalla tradizione, dove – a prescindere dalla legittimazione della Chiesa – la sola famiglia possibile è quella formata da un uomo e una donna che si amano. Come se gli uomini e le donne che amano diversamente non fossero anche loro persone umane con dei sentimenti, non facessero parte di una tradizione, di una cultura, di una civiltà. Come se uno non avesse il diritto di vivere naturalmente e allo scoperto davanti a tutti come fanno gli altri senza essere stigmatizzati. Non c’è nessuna necessità di ricorrere agli artisti, a politici o gente comune sia del passato che del presente per poter giustificare l’ingiustificabile, cioè il rispetto verso l’altro, che dovrebbe essere scontato come l’aria che respiriamo, come il pensiero diverso di un amico, un compagno di lavoro, un amante. La cosa bella è che questo pensiero dissimile il cittadino in questione lo può esporre e spiegare, in definitiva, lo può esprimere e farsi ascoltare. E questo pensiero qualcuno può capirlo, accettarlo e farlo suo e questo scambio, a pensarci bene, fa grande una civiltá. Ma sembra che sia ancora difficile accettare non solo che uno ama o desidera una persona dello stesso sesso, ma in particolare che dentro la sua stessa società faccia una vita normale, quotidiana e senza vergognarsi.

    Parvenza.

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