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venerdì 19 apr
  • Il venditore di sale

    A Palermo, in via Lanza di Scalea, posteggiata di fronte l’ingresso del Carrefour c’è sempre una Fiat Punto bianca.
    È un’automobile ma al contempo è anche negozio e casa.
    Dentro ci vive il venditore di sale.
    In qualunque momento ci si passi, potrebbe essere più probabile trovar chiuso il supermercato.
    Lui è sempre là.
    Si muove discreto, non allontanandosi mai troppo dal suo territorio. Quando è mattina presto fa su e giù per il marciapiede alla ricerca di non si sa cosa, ma con l’aria di chi è molto occupato e concentrato nel suo da fare. Non parla quasi mai con nessuno. Anzi c’è chi giura di non averlo mai sentito o visto parlare.
    La sua statura magra e slanciata gli conferiscono un aspetto delicato che nell’insieme ti incuriosisce e ti rattrista. Passando durante il giorno se l’auto sembra vuota sbirciando bene ti accorgi che è sdraiato sul sedile a dormire profondamente.
    Per certi versi sembra indifeso e allo sbando per altri metodico, organizzato e con un preciso obiettivo da raggiugere. Di certo è pacifico e in una qualche armonia con il suo microcosmo.

    Gli anni vanno avanti così, per il venditore di sale.
    I capelli ricci si imbiancano al ritmo dei clienti che vanno e vengono dal supermercato.
    I suoi occhi azzurri invece stanno dietro un paio di occhiali, che ormai da tempo non fanno più bene il proprio dovere.
    Occhi sotterrati in un viso spigoloso.
    Occhi chiari e freddi come un ghiacciaio del polo. Indecifrabili come un pezzo di ghiaccio osservato da una sola prospettiva.
    Occhi che costruiscono un viso, incapace di ridere o piangere.
    Occhi spenti come verrebbe percepito chi è in coma da lungo tempo.
    Occhi accesi come chi, nonostante tutto e tutti, a suo modo lotta per non lasciarsi andare.

    Non si è mai notato che qualcuno vi si fermasse per acquistare o parlare. Tranne quel giorno ad ora di pranzo.

    Due donne avanzavano, entrambe con una strana andatura dondolante. Si dirigevano verso di lui, varcando quegli spazi solitamente a lui riservati. La più grande sorrideva come se fosse emozionata. Un sorriso ad occhi bassi, frenato e inibito dalla paura di mostrare una dentatura terrificante. La più giovane distribuiva equamente i suoi sguardi, un po’ verso il venditore di sale e un po’ verso la sua vicina.

    Arrivate davanti l’automobile, il venditore di sale le andò incontro. Nessun saluto, nessun gesto. La donna continuava a guardare verso il basso come una bimba che vorrebbe parlare ma che non trova le parole. La ragazza invece guardava l’uomo dritto negli occhi.
    La somiglianza dei due visi, contrapposti fra loro, rivelavano inequivocabilmente le rispettive identità: padre e figlia.

    Silenziosi ed imbarazzati si muovevano goffi per nascondere l’imbarazzo, nell’attesa che qualcuno rompesse il silenzio. La donna a quel punto infilò la mano nel sacchetto di plastica che portava con se, porgendo all’uomo un panino avvolto nella carta stagnola. Nessuno disse nulla. Si guardarono per qualche attimo ancora. Il venditore di sale solitamente con una postura ben dritta e rigida si girò e come se la schiena gli si fosse improvvisamente curvata, si arricciò dentro l’automobile.

    La ragazza sbottò a piangere. La donna che aveva perso definitivamente quella smorfia sorridente, la prese sottobraccio. La strinse a se invitandola a camminare. Strette l’una all’altra, testa a testa come una cosa sola, scomparvero in lontananza.

    Ogni giorno due giovani colleghi ad ora di pranzo, durante la pausa dal lavoro passavano di là. Entravano al supermercato senza mai dimenticare di sbirciare il venditore di sale.
    Era diventato un appuntamento curioso e divertente.
    Fantasticavano storie e teorie delle più disparate attribuendogli diversi profili:

    • trafficante di droga;
    • maniaco sessuale;
    • pazzo scatenato;
    • serial killer;
    • vittima della solitudine;
    • semplice disperato.

    Ogni giorno passando davanti l’auto sghignazzavano una frase diversa:
    «Te ne serve sale?».
    «Guarda se oggi ci sono offerte speciali».
    «Con questa concorrenza, qualche giorno sto supermercato chiude».
    «Mi sa che questo in verità è il proprietario del supermercato».
    «Che genio è come vendere farina davanti un panificio o aghi davanti una merceria».

    Quel giorno i due giovani, notarono l’incontro tra il venditore e la figlia. Mentre le due donne si allontanavano istintivamente uno dei due decise di bussare al vetro della Fiat Punto chiedendo: «Mi da un pacco di sale?».
    Il venditore lo guardò sgranando gli occhi per cercare invano di mettere a fuoco il viso di chi aveva davanti.

    «Ne ha sale? Me ne da un pacco?» ripetè nuovamente il giovane mentre il collega si manteneva a distanza, intimorito e parecchio imbarazzato.

    «Non ne ho sale», rispose l’uomo da dentro la macchina.
    Subito dopo aprì lo sportello. Uscì dalla vettura e si parò tutto impettito davanti al giovane.
    «E che vende?» chiese balbettando il giovane, che nel frattempo supplicava Dio di risucchiarlo nell’asfalto.

    «Niente. Non ho più niente da vendere. Del sale è rimasta solo la scritta sul cartone davanti la macchina. Di me non ne è rimasto neanche quella. Vivo da emarginato. Ma non per questo, diversamente dalla maggioranza dei clienti di questo supermercato o diversamente da te. Perché proprio qua? Perché ho tutto quello che mi serve. Il mio orologio è il cancello di questo ingresso. I giorni della settimana sono scanditi dal traffico più o meno intenso del parcheggio del supermercato. Il mio calendario è composto dai volantini pubblicitari e la mia famiglia sono le persone che osservo da qua. Il nero all’ingresso del supermercato che spera di recuperare l’euro dal tuo carrello, le persone che puntualmente aspettano che gli impiegati buttino i cibi scaduti nell’immondizia per recuperarli e anche tutte le teste di cazzo come te, e siete tanti, che passate trovandomi divertente».

    «Ma…».
    «Non chiedermi altro, credo di aver soddisfatto ben oltre quelle che erano le mie intenzioni, la tua odiosa curiosità».

    Il giovane si girò e riprese a camminare. Camminava come farebbe chi teme che con il minimo rumore possa svegliare qualcuno. Il collega che si era mantenuto a debita distanza, ma al punto giusto per seguire perfettamente tutta la conversazione, non riuscì a trattenere un sentito e sincero: «Ma che minchia fai. Sei sempre il solito».

    I due sbottarono a ridere come due adolescenti che avevano fatto una marachella.
    Nei giorni a venire per l’imbarazzo, evitarono di andare al supermercato e in realtà avevano perfino fantasticato e si erano sbellicati su eventuali ipotetiche vendette del venditore di sale, al loro primo passaggio.

    Presto scoprirono che sia la Fiat Punto che il venditore di sale erano scomparsi da quella strada.
    Nessuno seppe più niente di lui.

    Ospiti
  • 7 commenti a “Il venditore di sale”

    1. Senza parole. Con una morsa nel cuore.

    2. Interessante l’idea, ma piuttosto carente l’esecuzione del post.
      Infatti, a parte qualche svarione grammaticale qui e la’, ci sono alcuni punti che lasciano un po’ perplessi, in particolare:
      1-Si inizia dicendo “C’e’ sempre una Fiat..” e si conclude dicendo “..era scomparsa da quella strada”. Ora, siccome e’ tutto un racconto di cio’ che e’ avvenuto nel passato, sarebbe stato meglio iniziare con un “C’era sempre una Fiat..”
      2-In alcuni passi del racconto c’e’ un’eccessivo ricorso alla descrizione di alcuni particolari, che appesantiscono la narrazione. Infatti, a meno che non si sia un grande della letteratura, e’ sempre meglio usare il minor numero possibile di parole, ma scelte con cura: per capirci, meglio una veloce pennellata, che un intero affresco barocco.
      3-La parte tuttavia meno convincente della sua narrazione, sig. Scimo’, e’ pero’ sicuramente le parole che mette in bocca al venditore, che stonano con il personaggio. Infatti, da un venditore ambulante di sale, ci si aspetta un lessico abbastanza elementare: il suo venditore, invece, parla come un laureato in Lingua e Letteratura moderne.
      Ad ogni modo, molto meglio di cio’ che spesso qualche altro autore (?) ci propina qui sul blog.
      Ad maiora.

    3. *un’eccessivo = un eccessivo.
      Sorry.

    4. Il venditore di sale del carrefour di via Lanza di Scalea. Mi sono sempre chiesto cosa venda, in realtà. Perché è chiaro che nessuno, mai nella vita, compra il sale quando è appena uscito dal supermercato.

    5. Caro David, grazie per avermi letto. Faccio tesoro dei suoi stimolanti e utilissimi suggerimenti. Scrivo senza alcuna pretesa, per divertirmi, magari continuando a leggere e a studiare, riuscirò a fare di meglio. Grazie ancora. Gaspare

    6. E’ una storia in stile J.Joyce bella, sono daccordo meglio di altra roba pubblicata qui

    7. Veramente io il sale da quel venditore l’ho comprato, perchè comprarne “a pacchi da 20” è più conveniente e poi, anche se non lo fosse, almeno qualcosa si mette in tasca. Anche io ho parzialmente fantasticato sulla vera attività del “venditore di sale”, ma sono stato più propenso a ritenerlo “occhi & orecchie” di chi vuole controllare il territorio, perchè vede tutto, nota tutto e tu, che sei abituato al fatto che sta lì, non lo noti neppure. Quei due idioti potevi risparmiarteli: pernso che il venditore di sale, proprio per il suo “volere e dovere essere trasparente” non avrebbe impiantato una discussione di siffatto spessore, non credo ne sia capace, ma avrebbe semplicemente venduto il sale e mandato affanculo, mentalmente, gli incauti.
      Anche se galoppante, non penso sia il caso di usare la fantasia per supposizioni sulle disgrazie altrui….ma questo è un mio parere.

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