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mercoledì 24 apr
  • Pregiudizio e omofobia al “Pride”? Che brutte parole!

    Ogni anno ci risiamo. Accanto ad una pioggia di asterischi fuxia si alternano banalissimi luoghi comune. «Amor omnia vincit» dicevano i latini. Ed è così che con orgoglio si sono riempite, come un fiume in piena, le strade della città per la parata del Palermo Pride. Un corteo umano, con oltre 40mila persone ha sfilato a festa per l’occasione. Il monito? «O si è felici o si è complici».
    Ma ritorniamo al “luogo comune”. Ogni anno, appunto, i giorni di pride si trasformano in un’occasione unica per esprimere il peggio di alcuni mammiferi umanoidi (scusate la provocazione, ma preferisco non usare il termine persone). Mi capita di ritrovarmi in giro, durante il corteo. Di assistere allo scambio di battute tra alcuni. «Talìa quanti ricchioni; ma io unn’è ca ‘unn’accetto, è ca mi parunu malati; ormai ca su tutti addà banna; pi mia pozzuno fare nszocu vogghiono ma ‘i loro casi; iddi si pozzuno accuppiari ma ‘i picciriddi hanno ‘a stari cu na matri e nu patri». Preferisco non ascoltare più e godermi i colori. Ascolto elucubrazioni specchio di banalità e preconcetti. Si rivolgono al mondo in modo goffo e grottesco, credendosi aperti e comprensivi, moderni e consapevoli del problema. Riempiono le loro frasi di “se” e soprattutto di “ma”, di giustificazioni politically correct per paura di essere scambiati per “omofobi”. Omofobi? Che brutta parola!
    Ma abbiamo davvero bisogno di una parata per garantire l’uguaglianza? Eppure pensavo che l’amore fosse un sentimento universale, che andasse al di là di sesso, colore della pelle, identità.
    Io durante questa festa arcobaleno ho visto di tutto: amore e diritto in primis, riscatto, orgoglio e dignità. Palermo oggi ha rivelato un volto nuovo, libero, senza stereotipi, felice delle sue contraddizioni. Me li immagino i signorotti dai pensieri “politicamente corretti” chiacchierare dinanzi una tazza di thè inglese sulla lobby ebraica e su quanto i “negri” siano geneticamente inferiori ai bianchi, specificando ovviamente che la loro affermazione non è figlia di razzismo. Li immagino come borghesi degli ’30 noncuranti di cosa questi eventi portino con sé.
    Giornate come quella del pride dovrebbero essere un’occasione per la città, per le città, per il paese intero. Io ho visto gente sfilare con orgoglio, e non parlo di omosessuali, gay, lesbiche, trans o “froci”, perché nel momento stesso in cui li declino, li ghettizzo. Parlo di gente comune. Parlo di vecchietti e vecchiette che sotto il sole cocente di una giornata di fine giugno, arrancavano un passo per volta. Parlo di bambini che battevano le mani a tempo di musica. Di ragazzi, come me, come noi, che sfilavano con bandiere arcobaleno per dar voce ad un unico e solo sentimento: l’amore vince su tutto. Ho visto famiglie intere, generazioni diverse a confronto, condividere un’esperienza unica. Quella dove i pregiudizi si infrangono semplicemente stando insieme, conoscendosi.
    Le idee o le “opinioni” – come chi giudica spesso tende ad usare come alibi – sono, forse erroneamente, occultate dal velo del “libero pensiero”. Ed è così che in un attimo si lascia spazio a insinuazioni, insulti, offese, declassamento, “tolleranza”. Il cambiamento delle coscienze è per definizione un processo lento, ma inevitabile. Quasi mezzo secolo fa, l’American Psychiatric Association (Apa) prese atto dell’assenza di prove che giustificassero la classificazione dell’omosessualità come patologia psichiatrica, così cancellandola dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, o Dsm, il suo elenco di malattie mentali. Bene. Già anni fa l’Organizzazione mondiale della sanità decise di non considerare più patologico l’orientamento omosessuale.
    Harvey Milk diceva che «se non ti mobiliti per difendere i diritti di qualcuno che in quel momento ne è privato, quando poi intaccheranno i tuoi, nessuno si muoverà per te. E ti ritroverai solo». In fondo, omofobo, maschilista o razzista sono figli della stessa sottocultura alimentata dal pregiudizio. “Pregiudizio”, che brutta parola (bis)!

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  • 5 commenti a “Pregiudizio e omofobia al “Pride”? Che brutte parole!”

    1. Giustissime le affermazioni sull’uguaglianza, riscatto, dignità, amore ecc. ecc. Ma ancora non riesco a capire, per affermare i diritti che si rivendicano, l’utilità che possa avere una parata del genere.
      Molta gente non la vede di buon occhio non per i temi trattati, ma per lo sperpero di contributi pubblici (che ci sono), e che oggi servirebbero per cose più terra terra: tipo comprare pane, latte e pasta alle famiglie povere di questa città e di questa Regione.

    2. ..secondo me ogni persona ha il diritto di vivere come vuole nel rispetto delle regole comuni e della decenza comune. mi piacerebbe vedere una parate che si batte per l’eguaglianza di esseri umani fatta da persone vestire normalmente e non come personaggi da circo seminudi. Mi duole, come siciliano, vedere il gonfalone della città o della regione rappresentato in queste manifestazioni che sono solo folcloristiche e che di fatto, così, ne snaturano la ragione ed il significato.

    3. Sperpero di contributi pubblici? Pane e latte alle famiglie?? Rispetto delle regole comuni e della decenza comune??? A Palermo????
      C’è molta più “decenza comune” in una sfilata del Pride che in altri momenti di condivisione, tipo Pasquetta alla Favorita, Ferragosto a Mondello o festeggiamenti per il Palermo in A al Politeama.

      Vi scandalizza così tanto guardare due piume e due culi una volta l’anno?

    4. Non è che mi scandalizza,
      Mi da’ fastidio la parata
      e mi danno fastidio
      quelli che la vanno a vedere!
      La Grande Indecenza.

    5. è come se gli americani di colore,negli Stati Unidi d’America degli anni 60, avessero fatto una sfilata vestiti da scimmie piuttosto che le serie manifestazioni che la storia recente ci ha tramandato.

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