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martedì 19 mar
  • Rosangela

    «Nni ‘stu supermercato su’ tutti fuoddi! Unu nurmali ‘un c’è». Questo pensò fra sé il venditore di sale quando alle 13:30 spaccate, puntuale come ogni giorno, vide entrare nel parcheggio del Carrefour, la Smart guidata dalla signora Rosangela.

    «Pi carità ‘u primu fuodde sugnu iu» aggiunse, sia perché lo pensava davvero, ma soprattutto, per rafforzare quel senso di appartenenza al microcosmo che quella porzione di via Lanza di Scalea rappresentava per lui.

    Puntuale come un orologio svizzero, tutti i giorni alle 13:30, la signora Rosangela si recava al Carrefour e più che far la spesa vi trascorreva un’ora a spingere il carrello lungo tutti i corridoi del supermercato.

    Da tempo ormai non era più una ragazza ma non era ancora una vecchia. Decisamente era: FIMMINA.

    Vestita come una picciotta, spesso concedeva uno scorcio del suo generoso davanzale.
    Mai volgare e capace, nonostante i suoi 50 anni “abbuccati” di far girare letteralmente la testa, perfino a quei giovanotti che le potevano venire figli.
    Lei ricambiava gli sguardi e spesso era pure la prima a taliare. Taliava, senza che nessuno, compreso il taliato stesso, se ne accorgesse. In questo era una maestra.

    Nel 1982 Rosangela era più o meno ventenne. Era talmente bella che suo padre Salvatore, uomo culturalmente collocabile nel tardo Medioevo, aveva più volte valutato la possibilità di conseguire il porto d’armi, tanto s’arraggiava di tutti i masculi che gliela consumavano guardandola.

    Non le era concesso di uscire a passeggiare da sola o con delle amiche e per dirla tutta, non poteva neanche andare in balcone.

    Raramente suo padre le consentiva di accompagnarlo a far due passi per comprare le sigarette.

    Approfittando del fatto che i marciapiedi erano puntualmente sporchi di cacca di cane, a voce alta esclamava: «Accura ‘o strunzu».
    Questa elegantissima frase, era il metodo più raffinato che aveva escogitato per obbligarla ad abbassare lo sguardo, ogni volta che i suoi occhi osservavano qualcosa, superiore al metro di altezza.

    Salvatore faceva il carrozziere.
    Era talmente cavernicolo che in via Noce, strada in cui si trovava la sua officina, la leggenda narrava che un giorno si curò un grosso porro, che gli era spuntato nell’interno coscia, bruciandolo con la fiamma ossidrica.

    Il suo essere rozzo e primitivo, veniva compensato dalla competenza che aveva acquisito nel suo lavoro.
    A Palermo, tutti sapevano che le sue grosse mani nere, erano capaci di rimediare a qualsiasi danno, escogitando anche delle soluzioni che spesso accostavano la sua attività di artigiano a quella di artista.

    A quei tempi purtroppo, come oggi del resto, per trovare un lavoro bisognava avere le conoscenze giuste; Salvatore ne aveva tante. Grazie ad una di queste “impostò” la figlia Rosangela all’Aci.

    La andava a lasciare e a prendere SEMPRE senza saltare un giorno.

    Una sera, erano già trascorsi dieci minuti dall’orario di chiusura e Rosangela era ancora alle prese con la pratica di un giovane che aveva ereditato l’auto del genitore defunto.

    Dalla strada il clacson impazzito della Bianchina, che Salvatore utilizzava per andare a lavoro, suonava ininterrottamente.
    Una strepitante ed infinita “iiiiiiiiiii” correva veloce nell’aria, come l’allarme di una sirena si andava ad “insiringare” nelle orecchie di Rosangela, unico essere umano di tutta l’Aci e dintorni ad aver realizzato cosa stava succedendo.

    All’improvviso il clacson cessò di strillare e Rosangela sbiancò dalla paura.

    Salvatore entrò negli uffici dell’Aci con la stessa furia di un uragano.
    Rosso fuoco in viso e con gli occhi insanguinati.

    «Ti rissi ca quannu suanu a scinniri».

    Urlò più e più volte questa frase in faccia alla figlia, come un mostro assassino.

    Salvatore, in tutta la sua vita, non aveva mai osato alzare un dito contro Rosangela, ma quel giorno fu come se l’avesse ferita a morte.

    La ragazza scoppiò in un pianto dove dolore e vergogna gareggiavano sorpassandosi di continuo.

    Incurante lui, la gelò con un secco: «Camina. Amunì».

    Nessuno dei presenti si intromise.
    «Totò è fatto accussì» era la frase con la quale inevitabilmente veniva tollerata la sua nota impulsività e le sue fissazioni.

    Spingeva il carrello Rosangela per un’ora al giorno. Quando si fermava tra gli scaffali era capace di guardare i pacchi di pasta con lo stesso atteggiamento che si avrebbe, visitando un museo. Ormai era parte integrante del supermercato e testimone della bizzarria umana.

    Malgrado avesse perso la speranza, quel giorno finalmente arrivò. Nel preciso istante in cui si accorse di lui, il cassiere stava meccanicamente passando gli articoli della sua spesa allo scanner.
    Lui era appena uscito dal supermercato e con il carrello proseguiva verso la propria vettura.
    Rosangela doveva andar da lui immediatamente. Non lo perdeva di vista e anche se dentro era tutta un fuoco, fuori sembrava imperturbabile. Veloce si fece due conti e capì che aveva tempo per raggiungerlo .

    Moataz*, l’imbustatore della spesa, non ebbe neanche il tempo di sfiorare la merce.
    Rosangela, “schinfignusa” com’era, non avrebbe permesso a nessuno al mondo, di toccare quello che poi avrebbe dovuto mangiare. Imbustò velocemente, pagò e dimenticò di proposito, 50 cent alla portata di Moataz, che grattandosi ringraziò.

    Gli occhi di Rosangela sicuri, guardavano quell’uomo nel parcheggio che ignaro sistemava i sacchetti nel bagagliaio dell’auto.

    Le distanze si accorciavano ed il cuore le stava letteralmente schizzando via dal petto.
    Erano trascorsi quasi quattro anni da quel giorno in cui all’una e mezza circa, lo aveva visto al Carrefour. Da quella volta, SEMPRE senza saltare un giorno, confidava nella speranza di rincontrarlo; finalmente, si trovavano l’uno di fronte all’altra.
    Disorientato lui, se avesse visto un fantasma, non avrebbe saputo assumere espressione più arica di stupore.
    Rosangela, fimmina, si avvicinò ancora un po’ e lentamente tirò fuori dalla borsa un foglietto ingiallito e glielo porse.
    Lui lo aprì e lesse in quel foglio la più romantica lettera d’amore: “Aci Automobile Club d’Italia. Dichiarazione di Accettazione Eredità Veicolo”.

    Leggi L’Africa al supermercato.

    L’Africa al supermercato

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  • 9 commenti a “Rosangela”

    1. Bel post, come al solito, sig. Scimo’, anche se qua e la’ e’ stato un po’ sovrabbondante di parole.
      Ma un dubbio salta alla mente: se la signora era segretamente innamorata di quell’uomo, visto che aveva i suoi dati, non sarebbe stato molto piu’ facile rintracciarlo a casa sua o degli eventuali parenti?
      Quando si crea una bella trama occorre cercare di renderla il piu’ verosimile possibile.
      Comunque complimenti ancora.

    2. Carissimo David grazie, da parte mia e di Rosangela. La signora Rosangela mi ha detto che la sua osservazione è ragionevolissima ma che stasera le scriverà per spiegarle cosa l’ha spinta a preferire una strada più difficile e meno comoda a quelle che lei nel suo commento ha suggerito.

    3. In seguito al commento del sig. David, la signora Rosangela mi ha inviato una mail nella quale mi chiede di postare quanto segue.

      Egregio sig. David,

      conosco Gaspare da tanti anni, sono per lui come una zia. Recentemente, gli ho raccontato la storia che mi vede protagonista.
      Ovviamente Gaspare ha apportato delle modifiche, senza cambiarne la sostanza.

      Alcuni dettagli pratici sono stati omessi. Probabilmente Gaspare temeva di rovinare l’effetto sorpresa del finale.
      Le spiegherò meglio io.

      Sono nata il 14 febbraio del 1960 proprio il giorno dedicato a chi si ama: la festa degli innamorati, ironia della sorte.
      Lei è innamorato?? Lo è stato??

      Perché le faccio questa domanda?
      Perché nessuno sceglie chi amare, nessuno sa come e quando comincia ad amare.
      Tutto può succedere da un momento all’altro, con uno sconosciuto o con il migliore amico d’infanzia.
      Possiamo amare qualcuno, è non trovare mai coraggio di dirlo. Un esempio letterario è Cyrano De Bergerac.

      Una storia d’amore deve essere accettata così come ce la raccontano, perché ogni storia d’amore contiene la follia e la magia che esiste nell’uomo.

      Ad ogni modo le spiego le ragioni per cui non ho cercato la persona di cui mi ero innamorata:
      1 il contesto in cui lo vidi fu talmente traumatico che il “colpo di fulmine” che sentii fu soffocato dalla vergogna. Man mano che crescevo, man mano che diventavo donna diventavo padrona di me stessa e inspiegabilmente pensavo a quell’uomo con una sensazione di rimpianto e frustrazione.

      2 crede di avere ben compreso i limiti che aveva mio papà, e la mortificazione che ho subito durante la mia vita?

      3 quando quella sera quel giovane arrivò mi sentii a disagio, temevo che notasse il rossore del mio viso e il disagio mi fece andare nel pallone. Non avevo mai lavorato una pratica di successione di autoveicolo e questo faceva aumentare la mia ansia. Inoltre era orario di chiusura , e per finire quando sentii il clacson della macchina di mio padre non capii più nulla.
      Riuscii a malapena a trovare il modulo e il giovanotto ebbe soltanto il tempo di dargli un’occhiata che mio padre entrò. Il resto lo conosce già. Il giovanotto andò via. Solo l’indomani mi accorsi che sul bancone c’era ancora il modulo in bianco.
      Lo presi e lo misi in tasca, poi andai dal mio capo ufficio e mi licenziai.
      Troppa vergogna e troppa paura di rivederlo.
      Mi sentivo attratta da lui. Innamorata ma terrorizzata dall’idea di rivederlo.

      Dissi al capo ufficio che me ne stavo andando e che non sarei più andò tornata. Uscii e feci strada verso casa.

      Per la prima volta senza mio padre.

      Quando arrivai mia madre mi chiuse a chiave nella mia stanza. Temeva che al rientro per la pausa pranzo, mio padre, nonostante non lo avesse mai fatto, mi avrebbe picchiata.
      Perché mi ero licenziata, ma soprattutto perché ero tornata a piedi da sola.
      Mio padre entrò in casa gridando come un animale ferito.
      “Unn’è, unn’è” gridava così forte che tremavano le pareti.
      Prese a pugni la porta con tale violenza che dalla paura guardai la finestra di casa come una possibilità di salvezza, nonostante abitassimo al 4° piano.
      Non ci volle molto. La porta si aprì con una tale forza che sbattè al muro e rimbalzò addosso a mio padre che avanzava come un treno verso di me.

      Mi vergogno ancora oggi quando penso a lui che mi urlava in faccia: “unne t’innisti? A schiniare? A liccare? Unne t’innisti sdisanurata”

      Dietro mio padre la voce forte e tremante di mio fratello Enzo sovrastava quella di mio padre: ” LA DEVI SMETTERE DI ROMPERE I COGLIONI A TUTTI” imbracciava il fucile che mio padre usava per andare a caccia.
      Enzo lo aveva caricato e glielo stava puntando dritto alla pancia.
      Mio padre rimase fermo e mio fratello gli urlò “TI AMMAZZO SE NON TE NE VAI TI AMMAZZO”.
      Mio padre se ne andò in officina ed io non tornai mai più a lavorare all’Aci.

      Mi creda signor David, quel modulo in bianco, dell’Automobile Club d’Italia mi dava conforto, non sapevo spiegarmi il perché ma non lo lasciai mai più.

      Ci tengo a precisare che anche se ci fossero stati tutti i dati, utili a rintracciarlo, non lo avrei fatto. Un pò per vergogna, un pò per timidezza. Figuriamoci con dei parenti. Non mi ci vedevo proprio a chiedere: “per caso lei è la sorella/cugina/ zia di Tizio/Caio? L’ho conosciuto tot anni fa mentre mio padre mi mortificava come non mai. Potrebbe darmi un recapito?” Senza considerare che mi aspettavo come probabile risposta: ” se vuole le do il numero della moglie”.

      Decisi di lasciar fare ancora al destino. Io ho solo cercato di favorirlo.

      Mi auguro che adesso la storia le sia più chiara e soprattutto spero con tutto il cuore di non averla annoiata troppo dilungandomi oltre il necessario.

      Rosangela M.

    4. Come promesso ho inserito la risposta della signora Rosangela. È un po lunga pertanto è al vaglio dei moderatori del forum. Speriamo bene.

    5. Beh, sig.ra Rosangela, lei mi ha lasciato senza parole (e non e’ qualcosa di facile).
      Dal racconto del sig. Scimo’ avevo avuto l’impressione che lei fosse una donna bella e prosperosa, ma non particolarmente di classe..invece mi son dovuto ricredere, lei e’ una vera signora. E’ riuscita con poche pennellate a dipingere perfettamente la sua vita, tra l’altro in modo esemplare.
      Mi spiace per i problemi familiari che l’hanno afflitta in gioventu’, pensavo che certi racconti potessero riferirsi al massimo agli anni 60, e non agli anni 80..
      Per esempio, mia madre mi racconta che durante tutto il periodo di fidanzamento con mio padre non ebbe mai la possibilita’ di uscire da sola con lui, ma sempre accompagnata dall’occhio vigile, ma al tempo stesso annoiato, di sua sorella piu’ giovane, nelle vesti di controllore ufficiale della serieta’ dei futuri sposi.
      Quindi si consoli, non e’ stata l’unica ad esser iperprotetta per iperproteggere l’onore familiare.
      E come dice il poeta, l’amore non ricambiato o addirittura quello mai espresso verso una persona e’ il piu’ bello e duraturo, perche’ non ha la possibilita’ di scontrarsi con le banalita’ e i litigi del quotidiano. Questo puo’ almeno in parte lenire la nostra tristezza per cio’ che poteva essere e non e’ stato.
      In ogni caso, lei mi sembra una donna young at heart, come dicon qui a Londra, giovane nel cuore, e questa e’ la cosa piu’ importante.
      Le faccio i miei complimenti.
      PS. Grazie sig. Scimo’ per avermi fatto conoscere la protagonista del suo racconto: e’ stato bello.

    6. Sig.David sono io che la ringrazio. In realtà è merito suo se ho conosciuto la Sig.ra Rosangela. 😉

    7. Fricano Russo Scimo un trio di cui questo blog non può che vantarsi. In particolar modo dico che centra Palermo in questi chiamiamolo racconti. Potrebbero succedere pure a Pordenone. Ma che fine ha fatto rosalio di una volta

    8. Rosangela mi ha emozionato….le sue parole mi piacciono di più…continua così Rosangela dei miei pensieri

    9. Scrivi bene bravo scimò,

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