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martedì 16 apr
  • Il giorno dei morti

    Tra i ricordi dell’infanzia ce n’è uno che non dimenticherò mai. Mattino del 2 novembre di 25 anni fa. Appena sveglio, sapendo che era arrivato finalmente il giorno dei morti, mi catapulto in salone dove trovo mio zio che collauda la mitica pista Polistil e mio padre che sistema il robot giocattolo Voltron. E, in più, una cesta con la frutta di martorana.

    Un trionfo di colori e di giocattoli, tutto dono dei “defunti” che, durante la notte, si sono presentati a casa ma con l’avvertimento di mia nonna che non avrei dovuto per nessuna ragione al mondo farmi trovare sveglio, altrimenti mi avrebbero solleticato i piedi. E per me i “morti” erano i due nonni, scomparsi molti anni prima la mia nascita.

    Il 2 novembre, quindi. Il giorno della commemorazione dei defunti che a Palermo diventa una festa per i bambini, un modo per esorcizzare la morte, per farla sentire più familiare e vicina e per trasmettere l’idea che i cari scomparsi non sono poi così lontani.

    Una tradizione non solo nostrana ma che trova un forte radicamento nella memoria collettiva e nel territorio, da difendere e tutelare contro le importazioni estere che, per tanti, sono solo un’occasione per incentivare alla “consumazione”.

    Il riferimento è chiaro: Halloween. Ieri notte, infatti, il clou della festività anglosassone, di origine celtica, che negli Stati Uniti ha assunto il connotato macabro che ben conosciamo. Ma negli ultimi anni importata in Italia e protagonista di serate in discoteca e di scaffali di giocattoli, farciti di zucche, nei grandi centri commerciali.

    Sì, sono un purista/tradizionalista. E dico e dirò sempre: «Halloween, no grazie». L’esterofilia, in questo caso, è una forzatura che tende a celare le usanze storiche del territorio e sintetizzare malamente due particolarità italiane: la commemorazione dei defunti e il carnevale.

    Halloween, infatti, non ci appartiene. In primo luogo, come accennato, perché è diversa l’accezione della morte. Da noi ha un rapporto incessante con la vita, continua nel nero degli abiti delle vedove, nei ricordi da rinnovare perché il solo pensare un defunto lo rende vivo. A noi siciliani fa più paura l’oblio che la stessa morte. E ai bambini, con il dono del giocattolo o con la dolcezza di caramelle e dolci, si vuole incutere la bellezza e la gioia del ricordo di chi non c’è più, suscitando sorrisi e non lacrime.

    Dall’altra parte dell’oceano, invece, nella notte del 31 ottobre la morte coincide con la paura e si traveste di forme mostruose. Scheletri, zombi, vampiri, vestiti sporchi di sangue, ecc. Il gioco è spaventare, non ricordare.

    Quindi, perché non tenerci strette le nostre tradizioni e tramandarle? La battaglia, c’è da ammetterlo, è difficile, ma basta poco: un giocattolo ad un bambino e una frase: «Questo te la porta…».

    (foto di Giuseppe Romano)

    Palermo
  • 6 commenti a “Il giorno dei morti”

    1. Bravo!

    2. Un bel pezzo
      che introduce molte discussioni.
      L’obblio e’ inevitabile,e’ solo questione di 3 o 4 generazioni,
      e poi nessuno si ricorderà di qualcuno.
      Personalmente non mi piace il nero come segno di lutto
      e nemmeno la visita ai cimiteri.
      La morte e’ la cosa più terribile nel pensiero di una persona.

    3. Ah,dimenticavo
      rigettare Halloween
      mette in crisi il mercato delle zucche…

    4. Mi piace molto questo articolo perchè parla di una vecchia tradizione tutta palermitana, che andrebbe invece rinvigorita e incentivata.
      @Santo le zucche sono un alimento e come tale andrebbero trattate, non dovrebbero essere oggetti di giochi e scherzi, il cibo non va sprecato considerando che c’è tanta gente che muore di fame. E poi lasciamo agli americani queste “”americanate””

    5. Credo che in USA ci sia una eccedenza nella produzione di questo genere di zucche.

    6. Concordo in tutto e per tutto, l’articolo mi ha suscitato le stesse emozioni anche se vissute in periodi diversi. Come dimenticare U pupu ri zuccaru nascosto ma in modo che si intravedesse e l’avidita’ nello scartarlo e la quasi sacralita’ nel gustarlo.
      La semplicita’ purtroppo di un mondo che sembra quasi non appartenerci ormai piu’ ma che personalmente ho sempre cercato di rivivere tramandando questa tradizione
      In quanto alla festa celtica // statunitense tutto il rispetto ma non confondiamo nemmeno per un attimo le due cose come lei ha correttamente evidenziato, da bambino il pensiero che i nonni che anch’io non avevo conosciuto tranne una, si scomodassero dall’aldila’ per regalarmi il giocattolo dei desideri, mi riempiva di orgoglio e di gratitudine nei loro confronti, ma e’ anche vero che non bisogna lasciarsi intrappolare dai ricordi e che il tempo scorre e va avanti ed indietro non si torna
      p.s. le zucche utilizzate sono quelle non commestibili, anche qui non facciamo confusione

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