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giovedì 28 mar
  • La palazzina di via Maqueda

    C’è un palazzo di tre piani proprio di fronte ad una chiesa, in quella via che scende dal Teatro Massimo fino alla stazione e che a piazza Vigliena si interseca formando una croce con l’altra, quella che va da Porta Nuova a Porta Felice.
    Il primo piano è disabitato, le case sono vuote; al secondo ci sta una vecchia da un lato ed un parrino dall’altro, ma pure loro non ci sono mai.
    Vice’ ha affittato il buco che hanno ricavato abbassando il tetto di un appartamento creando una stanzetta umidiccia e fredda, senza riscaldamenti ma molto economica.
    Effetti collaterali della separazione, gli hanno tolto ogni cosa; figlio, casa, dignità e tutto il resto.
    L’inverno non vuole finire, dall’unica finestrella passano gli spifferi, la stufetta elettrica non funziona; esce nel pianerottolo, si fuma una sigaretta, che nottataccia.
    Ha i brividi.
    Lei è uscita all’improvviso, si è spaventata quando l’ha visto tutto imbacuccato e la marlboro in mano; non si è nemmeno resa conto di non indossare la parrucca.
    Janet è nigeriana, da anni vive in città, ma solo da un mese in questa vetusta palazzina.
    Per puro caso si trova a casa, di notte lavora.
    Lo ha detto al capo, gli ha chiesto un giorno libero e quello ha detto si; in fondo se lo merita, Janet è una che rende.
    – «Come ti chiami» – esordisce lui battendo i denti.
    – «Ma che hai, stai male?».
    – «Dimmi come ti chiami».
    – «Janet».
    – «Vuoi dormire con me Janet»?
    Lei lo guarda stranito, pensa di aver capito male ma poi ripetendo mentalmente le parole che ha sentito realizza di aver sentito bene.
    – «Stasera non lavoro, mi dispiace».
    Vice’ butta la sigaretta in terra spegnendola con la suola delle scarpe.
    – «Non intendevo quello, voglio scaldarmi. Sto congelando».
    Lei rimane a bocca aperta, cosa gli sta dicendo l’uomo che gli sta dinanzi?
    Ne ha di clienti gentili, ma nessuno gli aveva mai chiesto niente del genere.
    I denti di Vice’ compongono una melodia tipo telegrafista notturno smorzati solo dalla risposta di Janet.
    – «Va bene».
    Lei gli apre la porta di casa propria, una stanzetta poco più grande della sua con un letto a due piazze ed un cucinino a vista che condivide con una collega.
    Con un gesto risoluto solleva le coperte e si distende, Vice’ tremante si rifugia tra le sue braccia cogliendola di sorpresa; Janet ha un fremito che gli le corre lungo la schiena, non avrebbe mai immaginato di provare un’emozione del genere.
    La coperta si chiude sui due, Vice’ continua a tremare facendo tintinnare la rete che sostiene il materasso finché, dopo un paio di minuti, il calore della nigeriana gli entra dentro come fuoco vivo, lo ristora, lo riscalda, gli da dà benessere.
    Vice’ non trema più, Janet lo stringe forte tra le braccia come faceva ogni notte col cane nel suo villaggio natale prima che i suoi genitori la vendessero a quei mercanti.
    Lo abbraccia forte, sempre più forte finché lui si addormenta, come un uccellino nel nido.
    Fuori è la bufera, Janet accarezza la schiena di Vice’ e piange; lacrime di gioia gli solcano il viso, in vita sua ha avuto centinaia di clienti ma non aveva mai dormito con un uomo.
    – «Dev’essere questo l’amore» – pensa, mentre le palpebre diventano pesanti e si chiudono conducendola in una capanna dove vive con la sorella, prepara il riso, lavora nell’orto.
    Si è addormentata così, sognando la libertà.

    Ospiti
  • 4 commenti a “La palazzina di via Maqueda”

    1. Eh, sig. Barcellona, a mio parere un post a due velocita’.
      Il contenuto e’ da 8, perche’ ha un sapore quasi neorealista alla De Sica, l’immagine di due persone ai margini della societa’ che, unendosi anche solo per una notte, trovano una felicita’ insperata. Complimenti.
      La forma invece, ahime’, e’ da 4, perche’ ci sono inutili barocchismi ed anche puri errori grammaticali. Due esempi:
      1-“..C’è un palazzo di tre piani proprio di fronte ad una chiesa, in quella via che scende dal Teatro Massimo fino alla stazione e che a piazza Vigliena si interseca formando una croce con l’altra, quella che va da Porta Nuova a Porta Felice..”. Stiamo disegnando una mappa di Palermo o stiamo scrivendo un breve racconto? Sarebbe bastato, ad esempio: “..C’è un palazzo di tre piani proprio di fronte ad una chiesa, nel cuore antico di Palermo..”.
      2-“..Janet ha un fremito che gli corre lungo la schiena..”. Perche’ “gli”, essendo Janet una donna? Oppure: “.. lo riscalda, gli da benessere..”. Non pensa che avrebbe dovuto scriver “dà”?
      Non sprechi una buona idea con una forma sciatta, e’ il mio consiglio, se vuole.
      PS. Dov’e’ finito, sig. Scimo’? Non ci fa piu’ leggere altri capitoli della saga sul centro commerciale di via Lanza di Scalea? Mi mancano.

    2. Sig. David io trovo i suoi commenti molto stimolanti. Così come ho trovato piacevole la lettura di questo breve racconto. Ovviamente qualche svista ci può stare. Il contenuto lo trovo anche io da 8 per capacità di coinvolgimento e per la tenerezza che sprigiona. A presto spero.

    3. Oh, sig. Scimo’, mi fa piacere ritrovarla e spero anche di legger, ed eventualmente criticare, qualche suo racconto, prossimamente.
      Si dice che Rosalio e’ il blog intellettuale per antonomasia di Palermo, ma ultimamente tra arancine, caponate, gnocche seminude et similia la sua reputazione e’ un po’ in pericolo.
      Urgono quindi racconti e piccole prove letterarie che elevino il blog all’Empireo intellettuale che è la sua collocazione naturale.
      Mmmmhh, forse ho un po’ esagerato.

    4. Vi invito a rimanere in tema e vi ricordo che questa non è una chat. Grazie.

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