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sabato 20 apr
  • Nessuno in Italia si commuove più per il Sud

    Per la trasmissione Parallelo Italia di Rai Tre stiamo girando il nostro paese da Nord a Sud. E abbiamo parlato con politici, intellettuali, imprenditori, sindacalisti, lavoratori, pensionati, ragazzi. I dati che ieri lo Svimez, storico centro studi sul Mezzogiorno, ha fornito, mi hanno lasciato senza fiato. Il lavoro nel Sud è ai livelli del 1977, quando io cercavo un’occupazione. Le nascite sono declinate al livello di metà Ottocento, gli anni di Garibaldi, dei Mille e dell’Unità d’Italia. Ci sono 700.000 disoccupati in più dai giorni della crisi 2008, tra le donne la disoccupazione è più alta che in Grecia e, per dirla semplicemente, il nostro Mezzogiorno se fosse indipendente sarebbe nei guai assai più di Atene. Poche aziende di eccellenza non bastano a risollevare un quadro fosco. Meno turisti che le Baleari, in Sicilia spesso meno che in un centro della Riviera Romagnola. La classe politica dirigente divisa, litigiosa, mediocre. I migliori giovani con la valigia appena possono verso il Nord, l’Europa, gli Usa, l’Australia. Nessuno parla di questa emergenza, in tv è difficile importa, l’ex premier Romano Prodi dice «nessuno in Italia si commuove più per il Sud», come se ci fossimo tutti rassegnati, al Nord con scetticismo, al Sud con rabbia. E tutto questo al netto della malavita organizzata che non cede di un pollice.
    Di chi è la colpa? Spesso si ricordano le cause lontane, lo sfruttamento e la cupidigia dei Borbone, un Regno d’Italia che con i Savoia ha perpetuato la pratica neocoloniale, mancanza di risorse, l’emigrazione, arretratezza culturale, il logoro “familismo amorale” di Banfield (quando manca lo Stato, o è ostile, è naturale, al contrario di quel che credeva Banfield stringersi alla comunità più prossima, la famiglia: Grossman spiega che lo stesso accadeva nell’Urss di Stalin). Spesso si cita, a ragione, il freno velenoso imposto dalle mafie.
    Eppure, dopo 70 anni di riforme agrarie, investimenti a pioggia da Roma e Bruxelles, welfare, assunzioni pubbliche, spesa ingente per infrastrutture che -come dimostra l’artista Andrea Maso nel suo studio su “Incompiuto siciliano” non vengono ultimate-, queste spiegazioni, scuse direbbe qualcuno, non bastano più. C’è nel Mezzogiorno una rassegnazione a non entrare nei ritmi, spesso brutali, del mondo contemporaneo, che i nostri antenati, capaci di integrarsi con successo ovunque nel pianeta, non avrebbero condiviso e avrebbero criticato. Rassegnazione tra i giovani, scetticismo, cinismo e narcisismo tra gli intellettuali, che non spronano, non indicano speranze e obiettivi, ma si crogiolano nei soliti clichés sull’Old South. Tra politici e imprenditori, nella cosiddetta classe dirigente, di nuovo con rarissime, preziose, eccezioni, la gestione grottesca dello status quo impoverisce il Sud di ripresa, di futuro, di sogni. Nell’opinione pubblica, tra i cittadini, il peso di una crescita economica che manca da oltre una generazione induce rabbia, risentimento, populismo che se la prendono con “la Casta”, ma non innescano alcun progetto di rinascita. Se il Sud vuole uscire dalla nuova povertà in cui ricade deve attrarre investimenti, tecnologie, servizi, lavoro digitale, la ricchezza del nostro tempo. Hong Kong, Singapore, la Corea del Sud, Bangalore in India, il triangolo industriale del sud degli Usa a Raleigh, erano in partenza altrettanto, se non più poveri del nostro Sud. Ma sono cresciuti non abbarbicandosi al passato con nostalgia e paure, ma abbracciando il futuro e il presente come i nostri antenati seppero fare. Il Sud che ho visto non è il Sud in cui sono cresciuto, e solo una riforma morale ed economica immediata può cambiarlo. Il tempo manca, presto potrebbe essere troppo tardi.

    (in collaborazione con riotta.it)

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  • 24 commenti a “Nessuno in Italia si commuove più per il Sud”

    1. E dopo l’antimafia di facciata, ecco il sicilianismo di facciata. E Riotta è uno dei suoi massimi esponenti: siciliano, emigrato, in malafede (perché ignorante non può essere). Riotta sa benissimo che non si possono attirare investimenti esteri se in Sicilia non funziona niente. E Riotta sa benissimo che in Sicilia non funziona niente perché senza soldi non si fa nulla. E Riotta sa benissimo che i soldi non ci sono perché lo Stato Italiano preleva ogni anno dalle casse della Regione Siciliana oltre dieci miliardi che provengono dal gettito fiscale e di natura patrimoniale. E Riotta sa benissimo che questi soldi vengono prelevati in barba alla Costituzione, ma soprattutto in barba allo Statuto di Autonomia che, mi dispiace per gli ignoranti o per quelli in malafede, non è un privilegio ma è stato anche inserito nella Costituzione. E Riotta sa benissimo che solo l’applicazione TOTALE dello Statuto può salvare la Sicilia. A condizione esclusiva che sia amministrata da gente che vuole gli interessi della Sicilia. E se pensate che sia questo il problema, ossia trovare gente onesta, non state a lamentarvi: create un vostro partito e candidatevi. Perché se le cose vanno male in Sicilia è anche per colpa della vostra ignoranza e della vostra ignavia.

    2. “C’è nel Mezzogiorno una rassegnazione a non entrare nei ritmi, spesso brutali, del mondo contemporaneo”…

      Perché Riotta, che cita il cinismo degli intellettuali, non prova a portare nel dibattito pubblico quell’aggettivo, “brutali”, che forse dice più di tutte le inutili parole utilizzate nell’articolo? Ritmi brutali, fondati su una calvinista distorsione cognitiva tipica non “del mondo contemporaneo” ma degli anglosassoni, quella che gli studiosi chiamano FOMO – “fear of missing out”. Ritmi brutali nei quali, appunto, popolazioni meno nevrotiche non vogliono entrare, imposti dal colonialismo culturale, finanziario e, dove serve, militare. Ritmi brutali a cui si sono rassegnate le regioni che Riotta cita in chiusura, che evidentemente a lui da bravo wannabe british piacciono, anche se oggi è meglio dire “sono inevitabili, non c’è alternativa”. Forse perché Riotta non li deve subire.

    3. Amdrea (non è un refuso?!),
      ti quoto in pieno.

      Ma c’è un però: se abbandoniamo la FOMO, non possiamo poi lamentarci di essere tagliati fuori, appunto, da un certo processo di innovazione, oggi perlopiù incentrato sui temi del digital divide e, quasi in apparente contrapposizione, delle infrastrutture per la mobilità.
      Se vogliamo creare lavoro in Sicilia, dobbiamo puntare su quei trend che oggi sono in grado di generare lavoro, grazie anche alla possibilità di delocalizzare o all’immaterialità del “prodotto” da una parte, e all’eccellenza ed alla peculiarità qualitativa dall’altra.
      Mi riferisco, su un piano di alta formazione, a professioni quali l’IT, la ricerca scientifica e tecnologica. Su un altro piano, ma non meno importante, all’agroalimentare in genere, orientato alle colture di eccellenza ed alla produzione di semi-lavorati per il mercato mondiale, ed all’ambito dei servizi turistico-culturali.
      Sono tutti campi con ampi margini di crescita, ed in grado di generare anche tanta domanda interna, per le grandi correlazioni che è possibile prevedere (ciascuno può trarre benefici dai servizi che l’altro offre e viceversa).
      Ma per far questo, occorrono reti di comunicazione (digitale e di trasporto) efficienti, burocrazia snella e a servizio del territorio, capacità di internazionalizzazione.
      Tutti fattori che l’attuale classe politica siciliana (ed italiana) interpreta a secondo della fascia di appartenenza, che potrei così riassumere:
      1) politico con formazione di cultura superiore, ergo affiliato a qualche lobby o loggia e, in alcuni casi, ad una “famiglia”, quindi si fa comunque quello che conviene al gruppo di appartenenza (non alla comunità);
      2) politico che a stento parla l’italiano (a prescindere dal titolo di studio), ma in compenso sa contare molto bene. L’unico interesse è quello dell’arricchimento personale, della cerchia di amici e parenti e della “famiglia”.
      Altre categorie minori non hanno peso o sono ancora perse appresso ad utopie che mai (più) vedranno la luce.

      Come uscirne, atteso che i cordoni della borsa sono in mano a questi personaggi (ed ai loro danti causa nazionali e non)?
      Ad oggi, a parte l’impegno diretto in politica di chi vuole cambiare questo status quo, per chi ne ha la possibilità economica, ci sto ragionando.
      Forse un movimento trasversale, non populista (stiamo già dando), e multi-disciplinare potrebbe portare avanti un programma concreto di reset di istituzioni e mercato siciliano.
      Ma qual è il malato che, senza una giusta informazione su dove lo porterà la malattia, accetta il taglio del braccio piuttosto che provare a “tirare a campare” con i palliativi proposti dal medico di turno?

    4. Tutti interventi giusti, visti da chi vive in una realtà come quella siciliana, e non sta al nord a criticare e basta.
      Tutti ottimi spunti di riflessione, ma poche soluzioni, anche perché chi vuole fare viene stonato da una classe dirigente (imprenditori e politici) che non fanno altro che ricoprire di terra le prospettive del futuro, che per altro loro stessi hanno messo in una fossa.
      Io non so cosa fare per rimettere la situazione quantomeno in chiave positiva, però vedo che se crolla un pilone dell’autostrada e le amministrazioni ci mettono mesi solo per vedere chi se ne deve occupare, mettendo in ginocchio la mobilità di una regione, e poi arriva un partito che tassandosi costruisce una bretella per aiutare a risolvere il problema, allora penso che di amministratori responsabili ci sono, sono solo al posto sbagliato, quindi faccio una domanda, ma che pensate di fare?

    5. E’ difficile commuoversi o provare pena per la Sicilia. Che è in grado di sprecare o fare sparire QUALSIASI somma di denaro venga assegnata ad essa. Prima era la Cassa del Mezzogiorno, poi i fondi europei. Miliardi e miliardi spariti nel nulla senza che la regione ne abbia tratto il mimimo beneficio. E’ difficile provare pena o comprensione per un paese nel quale l’unica regola che viene rispettata è “se ci si può mangiare sopra, bene, altrimenti meglio niente” tanto che buona parte dei fondi non vengono nemmeno spesi.
      E’ difficile comprendere un popolo che, se glielo chiedi, sa benissimo di chi sono le colpe e che poi, puntualmente, continua a votare sempre le stesse persone o la stessa tipologia di persone.

    6. Si, scusa Thor, è un refuso.
      Se è per questo, con una Turchia da 100 milioni di abitanti e il baricentro della circumnavigazione globale tornato a Suez, penserei anche ai porti (sicuro che alla Germania, soprattutto per gli scambi con la Cina, continueranno a convenire i porti del nord?). Ma io vorrei che nei popoli del sud nasca soprattutto un nuovo modo (o forse antico…) di pensare la vita, il lavoro, gli scambi economici. Non ne posso più di questo tecnicismo nevrotico e di questa ansia da prestazione tipico delle anemiche società che devono confrontarsi con una natura avara.

    7. Primo: la criminalità organizzata che invade e soffoca sul nascere ogni possibile evoluzione in senso commerciale, imprenditoriale, industriale.
      Secondo: organizzazione zero e approssimazione in quasi tutto.
      Terzo: tanta ignoranza e non parlo della cultura accademica ma della voglia e o possibilità di imparare a fare le cose in modo diverso e innovativo
      Quarto: mancanza assoluta di un qualsiasi senso di orgoglio che ci impedisca di scivolare nella melma e farci del male da soli.
      Quinto: abboccare ad ogni tornata elettorale e votare persone che a ben andare sono solo mediocri.
      Sesto: essere convinti che è quasi qualcosa di genetico, un assurdo atavismo.
      Settimo: non avere capito che il cambiamento non si realizza in grande dall’oggi al domani ma è frutto di una sommatoria di buone e piccole azioni.

    8. Concordo con Andrea e con Isaia, bisogna svegliarsi e trovare nelle proprie forze e nelle proprie caratteristiche di popolo, le motivazioni di una rinascita che non ci sarà se continua a vigere la legge gattopardiana del “tutto cambi perché nulla cambi”, la vera rivoluzione dovrebbe essere morale e culturale, ma ho paura che la gente ignorante e menefreghista, sia la parte dominante in Sicilia.
      Me ne frego di chi dice che la maggior parte delle persone non sono mafiose, che la maggior parte delle persone non aspettano la manna dal cielo per poter campare, dimostratelo chi siete, se non siete mafiose, aiutate i commercianti a denunciare il pizzo, se volete un lavoro, denunciate il mondo clientelare del lavoro in Sicilia, volete la città pulita, non sporcatela. La rivoluzione culturale deve essere la priorità di chi vuole cambiare il mondo, ma il mondo si cambia iniziando aiutando una persona a cambiare il modo di pensare

    9. Certo,la città e’ sporca non solo intorno ai cassonetti dappertutto insufficienti e quindi trasbordandi,ma anche lungo i marciapiedi ,senza soluzione di continuità.Qui è il cittadino che sporca,da irresponsabile!

    10. Il quadro è questo, ma evidentemente la situazione sta bene ancora a troppe persone, specie a quelle che rivendicano in virtù dello Statuto altri soldi da trasformare in sprechi, abusi e privilegi: si chiama mentalità parassitaria ed è il problema culturale di molti siciliani, non tutti fortunatamente.

    11. Am/Andrea: Mi associo a quanto scrivi. E’ evidente che Gianni Riotta non è costretto a subire la «brutalità del presente», e pertanto accettare lo stato di fatto e conformarvisi gli appare un male tra i minori dei tanti necessari. E’ in buona compagnia comunque, specialmente tra «quelli che contano» o aspiranti tali, spesso caratterizzati da un patologico e sconcertante difetto di empatia…

    12. Concordo con Tony Troja e An/Amdrea

    13. Non concordo con quello che ha scritto Sandrino

    14. Caro Riotta, la Palermo nella quale lei è cresciuto (la stessa Palermo nella quale sono cresciuto anch’io) non è poi molto diversa da quella di oggi. I suoi caratteri sono sempre quelli, fissi, inamovibili. Il degrado col tempo è di certo aumentato (a partire da quello morale) ma, soprattutto, è più visibile rispetto ai agli anni del cortile Cascino, in virtù della diffusione dei moderni mezzi di comunicazione che nemmeno si immaginavano quando entrambi eravamo ragazzi. Lei auspica una riforma morale, accanto ad una economica. Ma chi dovrebbe farle? Dov’è la classe dirigente (politica, imprenditoriale, industriale) che dovrebbe indicare la strada da percorrere? E poi, a chi dovrebbe indicarla? A persone che sono convinte di vivere nel migliore dei mondi possibili (per cui non si capisce cosa dovrebbe spingerle a cambiare)? O a quelle che vivono abbracciate ad un passato mitizzato (che nella maggior parte dei casi nemmeno conoscono), nell’illusione di esserne eredi? O a quelle che individuano sempre all’esterno la causa di tutti i mali? (ma da chi è stata amministrata la Regione Siciliana nei suoi quasi settant’anni di vita?). Sicuramente sono tanti i siciliani che soffrono per come è amministrata la loro regione, ma altrettanto sicuramente sono tanti quelli che proprio grazie a come è amministrata la loro regione godono di privilegi che non sarebbero possibili con un’amministrazione efficiente, equa, giusta. Credo proprio che manchino le condizioni per pensare, credibilmente, ad un futuro della Sicilia diverso da quello al quale inevitabilmente è destinata dal suo passato.

    15. Da quando è stato reso pubblico il rapporto SVIMEZ i soli commenti pertinenti che ho letto in tutto il web siciliano e nazionale sono quelli del Signor Alessandro Piergentili, il quale ha esposto la sua lucida analisi nella pagina Facebook di Donato Didonna, blogger e anche autore in questo sito Rosalio.
      Diversi articoli sul tema, nel web e giornali locali, meritano poca attenzione, esprimono una visione locale, intesa come luoghi comuni e analisi parziale e provinciale, non hanno visione globale del fenomeno, soprattutto non esprimono conoscenza del rapporto causa-effetti. In questi ultimi giorni si leggono anche varie “analisi”, di politici, giornalisti, sociologi (anche improvvisati), qualche economista, NAZIONALI, spesso tra di loro ci sono PURE pedine funzionali al sistema che ha portato la Sicilia ed il meridione al default; alcuni inconsapevoli, forse qualcuno di loro fornisce analisi parziali ad hoc, ovvero dirigono le attenzioni solo sugli effetti (e eventuali rimedi AGLI EFFETTI, non alle cause, che servono… allo status quo). Nessuno di loro analizza le cause reali del default che hanno origini lontane (ma nello stesso tempo recenti, relativamente ai tempi della storia), ovvero l’economia dello squilibrio che è nelle fondamenta di questo finto paese (quindi per questo PRESENTE, anche se ha avuto inizio 155 anni fa), che affinché sia attuata è NECESSARIO che da una parte ci sia l’utile-idiota meridionale dove il 90% di TUTTI i consumi (ai quali si aggiungono banche, assicurazioni, petrolieri, costruttori di veicoli, ovvero tra i principali usi e consumi) APPARTENGONO all’altra metà che produce. L’assenza di infrastrutture, e il circolo di denaro disposto in maniera scientifica (quel tanto che basta, per non morire, ma anche per finanziare la metà che produce indicata) sono anch’essi “fondamentali” nell’economia basata sullo squilibrio… ed anche i cosiddetti contributi, finanziamenti, assistenzialismo, sono funzionali al metodo, e finanziano i consumi, quindi la produzione del nord (e le banche “forestiere, cioè nazionali” che gestiscono il denaro), e poco importa se – en passant – si paga qualche mazzetta che comunque rientra nel circuito… (come sberleffo recentemente è venuta a dirlo Unicredit che i consumi del sud finanziano la produzione del nord; Unicredit che fa parte dei beneficiati dal sistema dello squilibrio, che vengono a sfruttare la Sicilia e il meridione). Il male peggiore prodotto dall’avvento di questo finto paese – il similpaeseitalia, imposto con truffa e violenza, e lager per chi non era d’accordo – è che ha generato in Sicilia il metodo della “combine”, il parassitismo, gli stipendifici, e soprattutto una classe di incapaci che si spacciano per politici e gestori, in cerca di “sistemazione”, ignoranti dei sistemi di gestione evoluti, ma funzionali al sistema perverso imposto dal similpaeseitalia; conseguenza inevitabile come gestione alternativa in assenza di conoscenza della gestione “normale” e data l’inapplicabilità della “normalità” poiché contraria all’economia dello squilibrio. Cosa che non avverrebbe in una società normale, dove non troverebbero posto né loro né il sistema “combine” e della furbizia. Ma loro sono il frutto del sistema dello squilibrio, anche se “complici” per interesse e co-responsabili, non sono loro le cause né potrebbero essere partecipi tra gli ideatori ed esecutori, non ne posseggono i mezzi.
      Fare il reset, creare infrastrutture, economia reale, lavoro reale, produzione, attrazione di capitali… E come si crea impresa e si attraggono capitali con un sistema infrastrutturale portato volutamente a livello del terzo mondo? Inoltre è impossibile creare sviluppo allo stato delle conoscenze attuali di coloro – locali – che sarebbero preposti all’amministrazione poiché disconoscono i metodi e conoscono solo improvvisazione e combine, e soluzioni bricolage nel migliore dei casi; molto improbabile che avvenga se a livello dello stato prendessero in mano questa rivoluzione dei sistemi poiché è dimostrato che il similpaeseitalia è tra i più corrotti e incapaci del pianeta.
      INFINE, mi stupisce la sorpresa di quelli che sono sorpresi. Mi chiedo dove vivevano quando il default era in fase di “costruzione”. Non mi stupisco, invece, come detto, di tutti gli “analisti” che fanno i “sorpresi” ma in realtà erano funzionali al sistema, alcuni beneficiari e pedine a contatto e ad uso degli ideatori ed esecutori del sistema che ha portato al default. MA veramente qualcuno pensava che a forza di trasferire denaro, spendere in eccesso per lavori inutili inventati, parassitismo e stipendificio pubblici, a parte qualche iniziativa individuale, o parte di risparmio – per i pochi che ce l’hanno – messo a “dormire” anche per questioni ambientali e che va a finanziare aziende “forestiere”… veramente qualcuno pensava che a forza di non produrre MA togliere e trasferire denaro il default non sarebbe arrivato?
      O a forza di fare espatriare – nel quadro dell’economia dello sqiuilibrio, quindi voluto, per andare a creare plus valore nei posti produttivi – le persone qualificate ed i cosiddetti “cervelli”, formati col denaro locale, e contestualmente importare tutte le miserie del mondo che abbassano rating e attrattiva, (quando non danneggiano l’economia regolare mettendo in atto una serie, ora lunga, di attività illegali, e altre regolari ma poco controllate e concesse in modo sproporzionato che esportano capitali); o concedere spazi eccessivi a tutti gli operatori “forestieri” venuti a vendere produzione e trasferire denaro, in cambio di pochi posti precari che compensano a malapena solo quelli che eliminano.

    16. P.S. 1 – “il nostro Mezzogiorno se fosse indipendente sarebbe nei guai assai più di Atene”
      Certo. Dopo che ti ho spezzato emtrambi le gambe, o accetti che ti metta sulla sedia a rotelle e ti trasporti con gli inconvenienti del caso, o te ne stai a crepare da solo sul tuo letto; immobile. Con l’aggravante, nel caso della Sicilia, che è sottoposta a leggi europee votate con la complicità di alcuni italiani, che penalizzano, per esempio, produzione ed esportazione di prodotti agricoli, a vantaggio di altri paesi extra-europei ( che non avvantaggiano nemmeno i lavoratori degli altri paesi… ), addirittura le varie filiere ne impongono l’importazione.
      P.S. 2 – al tempo dei Borbone il Regno delle Due Sicilie terza potenza europea quindi mondiale… d’altronde è per questo che gli inglesi rivali di esso finanziarono delinquenti dello stampo dei savoia e di garibaldi per distruggerlo, e stoppare la sua evoluzione e industrializzazione avviata, trasferendo ogni ricchezza e infrastruttura al nord. Qualsiasi analisi che si limita agli effetti eludendo le cause non è valida, soprattutto in questo caso, dove si tratta di situazione continuativa – proseguita in seguito dall’erede similpaeseitalia – quindi presente.

    17. Correggo:
      1) MA veramente qualcuno pensava che a forza di trasferire denaro PER IMPORTARE IL 90% DI TUTTI I CONSUMI
      2) tra i danni generati dall’appartenenza al sistema similpaeseitalia aggiungo la formazione socio-culturale e dei comportamenti bizzarri rispetto alle società avanzate (che “contano” nel mondo attuale) e la conseguente concezione – sottoculturale – della gestione pubblica; ed anche dei rapporti sociali in special modo nel campo del lavoro e dello sviluppo della società (a favore del benessere individuale), dai quali sono stati banditi meritocrazia e valorizzazione delle risorse

    18. GIGI: il problema è: come sconfiggere con questi argomenti logici e soprattutto aderenti ai fatti dal 1860 in poi, una narrativa che imposta e martellata per un secolo e mezzo ha ormai completamente usurpato la realtà storica?

    19. talasciando il mondo politico locale,Che nel mentire ha una sua logica,non capisco Come gli intellectuali locali possono mistificare le vere ragioni del tracollo del Sud é nel caso spécifico la sicilia.
      Dal ” plebiscito” in poi la SICILIA é chiaramente una colonia,dall italia ha un credito di 5 miliardi Che probabilmente non vedremo mai piu….d altronde l articolo 37 era un cavallo di battaglia di crocetta….

    20. Un mio amico mi ha chiesto se nel mio commento non sono contenute idee sicilianiste.
      Ne approfitto per precisarlo: NO.
      L’ho scritto chiaramente, tra l’altro: tra i maggiori danni causati dall’annessione forzata al similpaeseitalia quello di avere generato una classe politica e dirigente che avendo dovuto attuare sistemi paralleli a quelli della “normale amministrazione”, sistemi paradossali visti dalla prospettiva dei paesi sviluppati, di fatto disconosce i sistemi di amministrazione pubblica evoluta, conosce pseudo-rimedi bricolage, e un sistema di funzionamento e di rapporti sociali più vicini al mondo dell’assurdo che a quelli dei paesi sviluppati. In queste condizioni l’indipendenza gestita da loro porterebbe al disastro peggio che in Grecia. Quindi nessun sicilianismo in queste condizioni.
      Piuttosto, ho voluto precisare che se si vuole analizzare e correggere il default siciliano si devono individuare le cause e risolverle, non gli effetti.
      Le cause del default siciliano sono individuabili nel fatto stesso di appartenere all’italia e alla sua economia basata sullo squilibrio iniziata 155 anni fa, che è CONTINUATIVA, quindi è PRESENTE, economia dello squilibrio della quale non ripeto i meccanismi già scritti nel commento sopra, e che non potrebbe essere attuata se il meridione fosse un partner-competitor interno. Riconoscerlo non è sicilianismo, mi sembra realismo.

    21. GIGI: ben detto, ma fare passare il messaggio, persino presso gli stessi siciliani, tralasciando Riotta & friends che evidentemente conoscono bene l’argomento ma per qualche ragione preferiscono ignorarlo allegramente, sembra impossibile…

    22. Luigi Casella, mi sembra di avere capito la tua allusione… che se fosse vera, conoscendo le indubbie competenze di alcuni professionisti ai quali ti riferisci, si tratterebbe non solo di volere ignorare i fatti e il rapporto causa-effetti ( e gli attori principali che li determinano ) ma di manipolazione delle menti al fine di dirigere le attenzioni verso gli aspetti superficiali e gli effetti visibili, per evitare di comprendere la cause.
      Lascio in sospeso la tua allusione…
      Per concludere sul sicilianismo erroneamente interpretato dall’amico che ho citato: pretendere di partecipare al mondo globalizzato nel rispetto della valorizzazione delle proprie risorse, pretendere di parteciparvi con pari opportunità (l’accesso al credito, per esempio, o meno vincoli, imposizioni, impedimenti che favorisco altri paesi o operatori finanziari), pretendere da uno stato che le infrastrutture siano al pari di quelle della parte produttiva del paese, non lo ritengo sicilianismo ma dignità e rispetto di sé stessi… è persino scontato.

    23. Giusto e sacrosanto, così come io do per certe, in persone che non casualmente occupano certe posizioni, furbizia e malafede, piuttosto che stupidità e ignoranza…

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