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martedì 19 mar
  • Finezze linguistiche per parlanti ziccusi

    Non è che è stata colpa mia. Era il chiodo che sporgeva dal muro ad altezza sbagliata, e io che sono un poco testa ‘ntall’aria ci sono andata a ‘mpinciri giusto giusto colla manica del cardigan nuovo di Carolina, a maglie larghe, dorato, perfetto per la primavera.
    Addio cardigan: la manica si sdillabbra, si spana. Gran camurrìa, penso, mentre rifletto su come spiegarci la sorte del maglioncino a Carolina, che è di Milano. La manica mi è rimasta impigliata? Non è proprio la stessa cosa. Perché ‘mpinciri contiene l’idea di uno scontro con un ostacolo imprevisto, e impigliarsi no. Tipo: ‘mpincivi nel gatto che era sdivacato a centro di stanza e sono caduta.
    Mi capita a volte questa situazione, che le parole italiane non mi bastano proprio a rendere l’idea che ho in testa, e quelle siciliane invece sì.
    Per esempio: stuiare.
    «Stuiati la facci! Stuiati li peri prima di trasiri dintra!».
    Stuiare può essere pulire, assorbire, asciugare; è, in pratica, strofinare una superficie sporca o bagnata con un altro oggetto. Se non c’è un corrispettivo italiano, c’è però un cugino prossimo ed è il francese essuyer («Et elle sortit, en essuyant ses pieds sur le seuil»…- «E Emma Bovary uscì stuiandosi i piedi sulla soglia», scriveva Flaubert).
    Niente da fare, il siciliano è tutta un’altra storia. E come rendere altrimenti raffinatezze tipo ziccusu, stuffusu, ‘ntamatu, tascio, grevio? Come dire: curò, non scotolare la tovaglia sul balcone della signora Concetta?
    Per non parlare di cummattiri, perla intraducibile che vuol dire qualcosa come avere a che fare, ma in modo faticoso o impegnativo, più per dovere che per passatempo. (Che fai per ora?- cummattu con mia nonna che è malata – cummattu ogni ghiorno ch’i babbiavi vint’anni chi cummattu cu’ me’ mugghieri).
    Nel tentativo di apparire più allittrati, potremmo cadere nella tentazione di italianizzarlo in combattere. Meglio evitare; i risultati potrebbero essere discutibili. Del tipo:
    «Ma tu, che mestiere fai?».
    «Io combatto con gli animali».
    «Minchia! E che sei, torero?».
    «No, pecoraro».
    Qualche volta, tenersi sul siciliano è la scelta più saggia.

    Palermo, Sicilia
  • 3 commenti a “Finezze linguistiche per parlanti ziccusi”

    1. – Talé chiddru pare Giogg Cluny…
      – Se. Vabbé. Ci passò e un ci’mpinciu…

    2. Fatto vero :

      Ragazza tiski toski chiede a un ragazzo, che fa tuo padre?
      Risposta: Mio padre combatte con la babbalucella.

      Il padre andava a raccogliere le lumache a Tagliavia con la Lapa

    3. Letizia, era tanto, troppo tempo che non mi inchievu le orecchie delle tue performance!
      Il probbrema è sempre uguale: Ho difficoltà a fermarmi con le risate che mi fa fari; puro divertimento ca mi sciddica fino all’ugniu u pieri! Un fraterno abbraccione!

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