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e-mail: antoniocarollo36@libero.it

Biografia: Antonio Carollo è nato a Trabia (PA). Vive a Viareggio. Già segretario generale del Comune di Viareggio e, poi, della Provincia di Lucca. Ha pubblicato Mattinale, prefazione di Antonio Porta, Edizioni Tracce, Pescara, selezionato per la poesia al Premio Letterario Viareggio, 1985, Cenere e libro, prefazione di Stefano Verdino, Campanotto Editore Udine, 1989. Prossimamente uscirà La voce di una sera, edito dai Quaderni del Battello Ebbro. È incluso nelle antologie Conoscenza ed Evanescenza. Antologia di poeti degli anni Ottanta a cura di Franco Cavallo, Società Editrice Napoletana, 1986, Zeta, il nuovo in poesia a cura di Lamberto Pignotti, Campanotto Editore, 1986, La trasparenza della voce. Poesia italiana contemporanea a cura di Ubaldo Giacomucci, Edizioni Tracce, 1990, Dalla Torre Matilde alle Vette Apuane a cura di Angelo Gianni e Manrico Testi, 1996. Suoi testi sono apparsi sulle riviste Tam Tam, Offerta Speciale, Anterem, Altri termini, Tracce, Arenaria, Erba d'Arno, Sinopia. Ha pubblicato recensioni su libri di Vincenzo Pardini, Lorenzo Viani, Franco Galletti, Francesco Belluomini, Luigi Pirandello, Eduardo De Filippo, George Steiner, Roberto Saviano, Umberto Guidi. Suoi interventi compaiono su La Nazione, Europa. Girodivite.

Antonio Carollo
  • In mare e sulla spiaggia

    Faccio il bagno sulla spiaggia di Trabia, nel punto meno affollato del tratto Pilieri-Vetrana. Spiaggia splendida, sabbia dorata, fondali bassi fino a considerevole distanza dalla battima, acqua trasparente e tiepida. Vedo la mia ombra muoversi sul fondo della sabbia nelle movenze che il capriccio e l’estro del momento mi suggeriscono. Posso seguire anche il riflesso di un grumo di schiuma negli istanti del suo formarsi ed apparire. Qua e là un pesciolino colorato guizza come un pensiero improvviso che si perde nel fluire delle immaginazioni. Un legnetto viaggia sul pelo dell’acqua con moto lento, il piccolo segno d’ombra è lì, sulla sabbia morbida, che segue silenziosa. L’ombra è un nulla che segna una presenza, non attenua una solitudine, seppure densa di memoria, di immagini, di desideri.
    Alzo gli occhi sulla superficie del mare su cui si posa il luccichio dei raggi di un sole che indugia sulle cime della catena di Monte San Miceli. Tre adolescenti giocano in acqua a palla con i loro corpi lisci e snelli, i visi delicati dell’età più bella, i movimenti sciolti e scattanti; le loro voci sono ruscelletti di suoni che svolano nell’aria tersa, cessano e rivivono, nella varietà di timbri e di toni, freschi e frizzanti. Più in là un parlottio di giovani, ragazze e ragazze, seduti in circolo sulla sabbia; una di loro disegna ghirigori col suo tenero dito sui granelli biondi: sembra inseguire una fantasia o una melodia coagulata in un ritmo appena percepibile. Continua »

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  • Rusidda Ciuriddu

    Sentimmo un leggero bussare sulla persiana. La mamma stava asciugandomi il viso sudato con un fazzoletto. Mi stava dicendo: «Vedi come ti sei conciato? Tutto sudato e sporco di polvere. Non puoi giocare più calmo?, senza fare le corse? Ora ti devo lavare di nuovo la faccia e le gambe, e fra poco ti sporchi ancora, vero!». Ero rientrato in casa per bere, trafelato; non ricordo se il gioco che avevo interrotto fosse una gara di corsa o il correre a scapicollo dietro un cerchione di bicicletta; la mamma mi aveva beccato mentre bevevo avidamente dal rubinetto di cucina, cioè proprio nel momento di maggiore esposizione al pericolo, perché con lei in giro bisognava entrare sempre con circospezione, non fare rumori di sorta, approfittare dei momenti di sue assenze temporanee dal soggiorno e dalla cucina, altrimenti, zac!, mi afferrava per un braccio, mi asciugava il viso e me lo metteva sotto il rubinetto strofinandomelo con una mano, che non era tanto morbida, poi mi spolverava pantaloncini e camicia per finire col pulirmi le gambe con un asciugamano bagnato facendomi gridare spesso dal dolore per le ginocchia quasi sempre sbucciate.
    Quei colpetti le fecero girare il capo verso la porta. Lasciò in pace il mio viso. Aprì la porta. Apparve la figura ben conosciuta di Rusidda Ciuriddu: due occhi grandi e liquidi contornati da una fitta ragnatela di rughe, la stretta fronte rugosa sormontata da una selva disordinata di capelli grigi, il naso piccolo, la bocca vizza e sdentata, un cappellino di stoffa a fiori simile a quelli dei bambini di pochi mesi, una vestina lunga fino ai piedi, spiegazzata e disegnata anch’essa a fiori, ultimo strato di un infagottamento formato da sottane e altre vecchie vesti; dal braccio sinistro le pendeva un cestello di paglia rotto in più punti. Continua »

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  • Giornalisti, uffici stampa e questioni irrisolte

    Per più giorni ha tenuto banco nelle cronache siciliane il caso dei ventuno giornalisti dell’ufficio stampa del governatore che accettano supinamente di cassare le critiche negative dalla loro rassegna stampa quotidiana. Giornali di carta e online, blog e network hanno sceverato molti aspetti e conseguenze di quanto è accaduto. Mi faccio una domanda: è compatibile la posizione di questi signori con la carta dei doveri dei giornalisti? Far parte di un ufficio stampa significa eseguire gli ordini del proprio datore di lavoro. La cosa risalta ancor di più se questi è un esponente politico che detiene il massimo di potere nell’ambito territoriale di competenza. Dove è andata a finire l’immagine del giornalista sotto forma di cane che morde il potere? Nel calderone delle cose che non vanno metterei anche i casi di certi giornalisti adusi programmaticamente a travisare o a ignorare fatti e notizie, proni soltanto dinanzi al verbo della propria parte politica. Queste sono solo due delle questioni in campo. Continua »

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  • Un fatto ineluttabile

    Dieci chilometri di strada. Meno male, durante il tragitto la mia Mercedes mi concede un po’ di tregua dal solleone. Parcheggio vicinissimo alla Posta. Strano, non trovo mai posto, oggi è tutto libero; mi viene un sospetto: ci sarà divieto di sosta?, ma è sempre ingombro! Tiro dritto, sono le 12:25, tra cinque minuti lo sportello chiude. La porta è aperta, il condizionatore dell’aria è rotto da mesi. Però la cosa è confortante: non c’è nessuno, niente ressa, niente muraglia di gente in attesa per ore; un solo sportello per novemila abitanti. I miei paesani sono degli eroi; degni di una medaglia al valor civile. Nessuno s’è mai ribellato. Tranquilli tranquilli aspettano il loro turno senza un segno d’insofferenza; chiacchierano tra di loro tra torrenti di sudore: per me quel chiacchiericcio sarebbe una miniera di notizie se non fosse per il mio bassissimo grado di sopportazione.
    Oggi è sabato, chissà, la gente si preparerà per la festa della domenica? Non so, sono troppi gli anni passati lontano dal mio paese, non ricordo più le abitudini. Continua »

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  • Nina

    Un capriccio di mio padre. La comprò in Calabria, insieme al calesse e ai finimenti. Me la ritrovai in stalla, tranquilla, mangiava paglia della mangiatoia. Era leggermente più piccola rispetto alla stazza di un normale cavallo, grigia, robusta, occhi vivi, una coda fino a terra, una folta criniera. Si girò a guardarmi. Avevo il cuore in gola. Mi ricordò Ciccio, il mulo bianco morto di vecchiaia sei anni prima, sepolto sotto un albero d’olivo al Brauni. Quello era lento sotto il peso dei suoi logori vent’anni. Questa giumenta invece era vivace: i suoi movimenti decisi, i colpi di coda sui fianchi e la schiena, a fugare qualche mosca, energici. Mi avvicinai, per toccarla, si mosse, facendomi capire di stare lontano. Mio padre mi aveva detto, stai attento, non ti conosce, può inquietarsi. Però era così bella, volevo carezzarla e abbracciarla al collo, ma mi fermai.
    Lei mi guardava con la coda dell’occhio continuando a mangiare. I finimenti di cuoio erano appesi ad un grosso gancio al muro, la testiera, il sellino, i tiranti laterali con pettorina e codiera, il sottopancia, le redini e una lunga frusta con un bel manico morbido. Continua »

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  • “Tempo niente”, la breve vita felice di Luca Crescente

    Tempo niente. La breve vita felice di Luca Crescente di Roberto Alajmo, Laterza, è un libro prezioso su un uomo e un magistrato esemplare. Ci fa pensare che uomini come Luca fanno bene alla nostra vita. Un libro (a parte i pregi letterari) di notevole valore civile, un servizio a questo scalcinato paese, specie per i giovani che si affacciano alla maturità degli studi o alla scelta del proprio lavoro futuro.
    Scrivere una biografia non romanzata per un narratore, abituato alla libertà dell’immaginazione, deve essere un’esperienza sui generis. Il biografo è legato alla documentazione, le testimonianze, il racconto di altri, gli indizi. Non può andare oltre, pena l’incredibilità. Per la verità qui non si tratta di una biografia, per così dire, canonica, piuttosto, di un ritratto nitido di una persona che in modo naturale ha mescolato la normalità del quotidiano, famiglia amici, alla serietà e al coraggio del magistrato antimafia (è stato membro della DDA di Palermo), esposto a pericoli mortali. Continua »

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  • Studentessa impegnata e insegnanti severi

    Ha destato una certa eco a Palermo il sei in condotta comminato ad una studentessa quindicenne dagli insegnanti del suo istituto per l’attivismo svolto in occasione della recente protesta scolastica. Lo scrittore e giornalista Roberto Alajmo ne ha fatto oggetto su La Repubblica di un lucido intervento.
    Da parte mia una breve riflessione. Forse il sei in condotta non pregiudicherà l’esito dell’anno scolastico della ragazza; comunque costituisce un serio avvertimento per uno studente, o studentessa, che sente molto l’impegno e partecipa attivamente alle azioni della protesta scolastica.
    Credo che gli insegnanti non abbiano valutato appieno l’opportunità e i possibili effetti di un simile provvedimento (peraltro in odore di discriminazione) sulla psicologia dell’allieva, sì in possesso di una certa personalità, ma fragile per la sua età.
    Il concetto di educazione da inculcare e da applicare nelle scuole ha molte sfaccettature; purtroppo l’ordinamento scolastico attuale non incoraggia e non guida gli insegnanti nel loro rapporto educativo con gli allievi. Fior di studiosi, Umberto Galimberti tra questi, addirittura negano l’esistenza stessa (non per colpa deli insegnanti) di questo rapporto nella scuola: dicono che essa istruisce ma non educa. Il voto in condotta teoricamente può essere uno dei mezzi educativi in mano agli insegnanti, ma se a monte c’è il vuoto di formazione di una coscienza umana e civile dell’allievo e non è erogato con grande oculatezza rischia di trasformarsi piuttosto in una punizione sterilmente dannosa.

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  • Palermo calcio, un rilancio possibile

    Sul Palermo io non sarei pessimista. Certo, la botta del 7-0 con l’Udinese è stata forte. Diverse le cause. Una potrebbe essere il deterioramento del rapporto Maurizio Zamparini-Delio Rossi; tutti sappiamo quanto sia importante lasciar lavorare l’allenatore; un presidente interventista spesso porta a frizioni che sarebbe bene tenere lontane da quell’organismo ipersensibile che è una quadra di calcio. Un altro elemento di fragilità credo sia la giovane età della squadra. Rossi ha avuto il grande merito di portare questi giovani talenti verso il punto più alto delle loro potenzialità tecniche ed agonistiche; ma la maturità è un qualcosa che si conquista sul campo, giorno dopo giorno e non ammette balzi improvvisi. Il crollo psicologico in soggetti non corazzati da grossa esperienza può trovarsi dietro l’angolo. Però i giovani fanno presto a recuperare.
    Zamparini, a mio avviso, licenziando Rossi ha commesso un errore: non ha tenuto conto della proficua intesa esistente tra allenatore e squadra; intesa che sarebbe stata preziosa per il riscatto psicologico e per la riconquista della mentalità vincente da parte dei giocatori, per il momento abbacchiati ma in possesso di risorse integre. Continua »

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  • Una tranquilla passeggiata

    Termini Imerese, giorno di mercato. In prossimità della stazione ad un quadrivio senza semaforo, oltre che senza rotonda, un ingorgo d’auto inestricabile. Finalmente cessa il concerto di clacson e le macchine cominciano a sfilare; si fa un po’ di vuoto sulla strada, un cane anzianotto e grassoccio, con una rotonda pancetta, marroncino, scende dal marciapiede e con calma, senza degnare di uno sguardo il mondo circostante, attraversa la carreggiata. Io rallento, quasi mi fermo, lo guardo con simpatia; mentre la gente gira freneticamente in cerca di chissà cosa, lui si gode la sua passeggiata, forse fidando troppo sulla condiscendenza della gente. Ho pensato al mio Thomas, bastardo di pastore maremmano di media taglia, condannato a stare in casa e in giardino, perennemente. Qualche giorno prima della partenza per la Sicilia però ha fatto il furbo: approfittando di un attimo di distrazione, nell’aprire il cancello s’è infilato nella fessura come una furia. Per carità, c’è da giustificarlo, è giovane, i sensi bollenti, la ricerca di una femmina impellente. Non credo che sulle strade si sia comportato con la pacifica lentezza del suo collega di Termini, l’odorato l’avrà spinto a cento all’ora, non avrà avuto tempo per tranquille passeggiate. Disappunto, apprensione e fastidio: per la mia disattenzione, per la paura di ritrovarlo morto sotto un’auto, per la stizza di dover pagare la contravvenzione che non è meno di 80 euro. Continua »

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  • Il maestro Gattuccio

    La scuola consisteva in un’aula ricavata da uno stanzone a pianterreno di una casa in corso La Masa nei pressi di piazza Lanza, chiamata Favara, ai piedi della parete a picco della montagna, dove c’erano l’abbeveratoio, il fabbricato dell’acquedotto, il monumento ai caduti e il palco sopraelevato. Due giganteschi platani e quattro alte palme riempivano l’ambiente di verde e di vita.
    La mattina, in attesa dell’apertura della scuola, ci radunavamo sul palco per giocare a campo e sfida. Al segnale d’entrata del compagno che stava di vedetta agguantavamo le nostre borse e via di corsa a scuola, sudati e trafelati. Il maestro Gattuccio non scherzava, al suo arrivo bisognava essere tutti seduti e in silenzio. Usciva da casa alle otto e trenta. La scuola era a dieci passi. A volte lo inseguiva la cameriera, Ciccina, bassina e cicciottella, dalla capigliatura folta, che cercava di dargli le pillole: «Aspetti, professore…le medicine…». Lui tirava diritto, scocciato. Non sempre le riusciva di consegnargliele, allora entrava in aula poco prima del maestro, posava il flaconcino sulla cattedra e filava via accompagnata da una salva di ciccì-cicciò ciccì-cicciò. Un attimo dopo entrava il maestro e scattavamo tutti in piedi. Le sue prime parole erano: «Seduti e silenzio!». Continua »

    Palermo
  • Raccomandazioni

    La mamma porgendomi un paniere disse: «Ti sei lavato la faccia?», feci cenno di sì, «Qui in questo tegamino c’è la pasta, in quest’altro c’è una frittata, poi c’è un pezzo di formaggio, un po’ di olive, tonno sott’olio e pane. Il pomodoro e la frutta li trovi in campagna. Al ritorno questo paniere lo riempi di pomodoro maturo, perché devo fare la salsa; ci metti pure qualche cocciu di pomodoro per insalata, un po’ di pesche e susine e qualche lattuga. Non tornare col paniere vuoto. Quando finisci di mangiare lava i due tegamini e poi li riporti. Non ti macchiare la maglietta, anzi prendine una vecchia dal cassetto del canterano della mia camera del Cozzo Corvo; la sera per il ritorno ti rimetti questa qui che ora indossi. Non ti voglio vedere con la maglietta sporca!». Mi guardò bene sul volto: «Non ti sei lavato la faccia, sei un bugiardo». Mi prese per un braccio mi portò in cucina, aprì il rubinetto. Il getto di acqua fredda mi fece rabbrividire. Mi strofinò il viso con una certa energia. Secondo lei così lo sporco andava via meglio; il fatto è che non faceva differenza tra guance, naso e bocca. «Ahi, mi fai male, il naso no». Forse non s’era accorto che non ero più il ragazzino di quattro-cinque anni. Mi asciugò. «Guardami negli occhi, ce la fai a sollevare le aste del carretto?». «Mamà, l’ho fatto tante volte». «L’hai fatto tante volte, però l’anno scorso nel sollevare quelle del carretto degli zii sei caduto bocconi per terra e ti sei spaccato un labbro. Non so cosa gli ha preso a tuo padre; ti manda da solo in campagna. Non capisce che sei un bambino». «Un bambino? Ormai sono grande. So fare tutto». Continua »

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  • Teresa non s’arrende

    Incontro Teresa nella sua casa dei “Piani”. È una donna di settant’anni. Indossa un vestito blu a fiori, fermato da una cintura bianca, un velo di rossetto sulle labbra, la pelle fresca e chiara. Il suo aspetto è quello di una donna distinta; i colori appropriati, il sorriso le dona dieci anni di meno. Mi accoglie, insieme al marito Tonino, 82 anni ben portati, corpulento, una bella pancia, in camicia celeste e pantaloni lunghi. L’appartamento, al primo piano, è luminoso, ha tre porte che danno sul terrazzo. Al pianterreno una famiglia di palermitani, riunita a mangiare attorno ad un tavolo zeppo di piatti, fa un gran baccano con le posate, il chiacchiericcio e le risate. Prima di entrare in casa mi soffermo sul terrazzo per uno sguardo al panorama. La casa sorge oltre la strada statale, a cinquanta metri dal mare. La striscia dei giardini ai margini della spiaggia è una serie ininterrotta di ville. Quest’anno il mare è stato generoso: ha depositato sulla spiaggia una grande quantità di sabbia per la felicità dei bagnanti. Anche tra gli antichi frutteti, a sud della casa, sorgono ville e villini; ciononostante il verde prevale ancora e la vista di questa grande piana rimane gradevole. Ad est lo sguardo arriva allo stabilimento balneare della Vetrana ed, in fondo, alla punta della Rocca di Cefalù. Sulla striscia di sabbia, lunga un paio di chilometri, dalla Vetrana ai Pilieri, si affollano i bagnanti che bivaccano, giocano a tamburello, si rincorrono, si tuffano, i giovani, e nuotano con vigorose bracciate, a beneficio delle ragazze che a gruppetti chiacchierano in acqua o sulla spiaggia, apparentemente noncuranti.

    Teresa è l’unica componente, rimasta in Sicilia, di una famiglia emigrata in America. Continua »

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  • Termini Imerese, sulla pelle di 2500 famiglie

    La Fiat va a gonfie vele; è in testa nella crescita delle vendite; aumenterà la produzione di auto in Italia da 650.000 a 900.000 unità; incasserà una montagna di eco incentivi, ma chiuderà lo stabilimento di Termini Imerese perché, a detta dell’a.d. Marchionne, ogni vettura ivi prodotta gli costa 800-1.000 euro in più rispetto a quelle che escono dagli altri stabilimenti italiani. Dal punto di vista dell’economicità il discorso non farebbe una grinza. Ma come si fa a credere agli asseriti maggiori costi se in tanti mesi il signor Marchionne non si è preoccupato minimamente di far seguire alle sue strombazzate asserzioni uno straccio di tabella comparativa dei costi di produzione delle auto in Italia? Sbandieramenti funzionali alle decisioni già prese, senza consultazione con il governo e i sindacati (questa del 22 dicembre è stata la presentazione del piano industriale, non una trattativa). Con ciò non dico che i maggiori costi non ci siano: le distanze sono quelle che sono; penso semplicemente alle innumerevoli furbizie che nel mercato vengono continuamente messe in atto. Continua »

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  • Perline

    Stamattina vado alla posta per pagare delle tasse. Presento il prescritto modulo e la card Bancomat. La sportellista traffica un bel sul computer (per il tempo che ha impiegato avrà copiato senz’altro tutti i dati figuranti sul modello, mah…), Alla fine mi dice che le dispiace ma il computer non accetta i dati trascritti e che sicuramente il commercialista avrà sbagliato; a mo’ di ciliegina aggiunge che al suo sportello non si può pagare col Bancomat. Il colpo è duro: figurarsi, il mio commercialista ha lo studio in Toscana, io non ho soldi in tasca sufficienti; la mia pressione arteriosa avrà fatto un balzo. Le dico, signorina guardi che questo modello è uguale ad altri precedenti tre con i quali ho pagato le altre rate. Ha un attimo d’incertezza. Si rivolge al collega dello sportello a fianco, che gentilmente prende in mano il modello e la card, mi consente il cambio di sportello, batte una decina di volte sulla sua tastiera, si paga con il Bancomat e mi consegna ricevuta e card. Fatto? Dico io. Avanti un altro, risponde. Continua »

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  • Mario

    Mario e le terribili immagini di quel che gli successe in tenera età in una limpida giornata di giugno occupano un posto speciale nei miei ricordi… Era un ragazzino curioso e intraprendente. Aveva capelli ricci e folti, color castano chiaro; la bocca regolare, una fossettina sul mento ben disegnato. Nel gioco era vivace e pieno di iniziative. Spesso era lui a trascinarci in avventure spericolate, come il giro di corsa per le vie del paese spingendo con un filo di ferro, ‘u carruzzinu, cioè un cerchio di ruota di triciclo, e, per i più fortunati, un cerchione di bicicletta. “Chi arriva primo alla Chiesa e ritorno: pronti, via!”. E giù a rotta di collo sulle strade sgombre e senza traffico ma quasi tutte sterrate e in qualche punto pietrose. Nella foga qualcuno inciampava e finiva lungo disteso, ma si rialzava immediatamente, una pulitina ai ginocchi con la mano per togliere la polvere o levare il sangue e via con più veemenza a recuperare il ritardo. Mario aveva perennemente i ginocchi sbucciati e pieni di crosticine. Del resto come tutti noi… Continua »

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  • Alla posta

    Saluto mia moglie: “Vado alla posta”. Tre minuti e sono a San Nicola L’Arena, alle prime case. Per attraversarla mi ci vogliono altri quindici minuti. Il divieto di sosta da un lato è regolarmente ignorato. Le macchine, nei pressi del forno, sono parcheggiate a casaccio, ben distanti dal filo del marciapiede, ogni conducente, che si ferma o riparte col sacchetto del pane in mano, apre e chiude la portiera senza badare a niente (viaggiare fuori tiro di questa specie di arma impropria!). Dove il parcheggio è da entrambi i lati e lo scambio dei veicoli, per la carreggiata più larga, è agevolato spunta la seconda fila: altra sosta, altra pazienza, altro forno crematorio per chi non ha a bordo l’impianto di condizionamento. In più bisogna stare attenti a quel che succede a destra lungo la linea delle macchine in sosta: qui si va per le spicce, si apre lo sportello, si mette in moto, un’occhiata indietro, e via, senza il minimo riguardo per la macchina che sopraggiunge. Arrivo all’altezza dell’ufficio postale. Inutile cercare un parcheggio lì, so bene che devo andare a più di un chilometro dal paese. Ma non è questa la preoccupazione. Continua »

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  • Il paesaggio e la questione eolica

    Nei giorni scorsi si è svolto a Palermo, a Villa Malfitano, un convegno internazionale dal titolo L’attacco al paesaggio. La questione eolica, organizzato da Italia Nostra. Da osservatore alla lontana mi permetto qualche notazione. Nessuna divergenza tra i relatori; qualche frecciatina verso Legambiente. Linea di contrasto intransigente contro gli impianti eolici. Vittorio Sgarbi ha invocato l’intervento di Napolitano per fare rispettare l’articolo 9 della Costituzione ove è detto che l’Italia tutela il paesaggio. Raffaele Lombardo ha approfittato per far conoscere il piano energetico ed ambientale della Regione Sicilia. Valery Giscard D’Estaing, presidente emerito della Repubblica Francese, ha condannato senza appello le pale eoliche, che devastano il paesaggio, ed ha indicato nell’energia solare l’obbiettivo da perseguire; nel frattempo bisogna pensare al nucleare (ha detto da buon francese che fa gli interessi del suo paese, aggiungo io). Le conclusioni del convegno mi trovano d’accordo. È vero che l’installazione di questi impianti sta assumendo una dimensione affaristica preponderante, con evidenti infiltrazioni di carattere malavitoso. Il pericolo dell’alterazione irreversibile del paesaggio è piuttosto evidente. Legambiente dice che bisogna pianificare oculatamente e creare dei parchi eolici in luoghi prescelti ecocompatibili. Ma siamo in Italia. Chi si fida? Meglio dire di no fin dapprincipio. Tanto più che la quantità di energia eolica prodotta sarebbe alquanto modesta rispetto al fabbisogno nazionale. Andrebbe intrapresa una grossa campagna di ricerca per l’utilizzo dell’energia solare e dell’idrogeno. Da questo orecchio però il governo non ci sente. Ha preferito impegnarsi sul nucleare, discutibile e controverso, siglando un accordo con Sarkozy. Continua »

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  • Le macchine ci rubano la vita

    Percorrevo via Puccini con la mia fida bicicletta. All’improvviso un acuto stridore di gomme d’auto in frenata, dietro le mie spalle, ha bloccato istintivamente la mia corsa e mi ha fatto girare indietro. Un bambino di 3-4 anni era a pochi centimetri dal paraurti di una macchina, mentre con un grido lacerante la mamma lo afferrava e se lo stringeva al petto coprendolo di baci e gridando parole, insieme, di disperazione e di conforto. Un attimo, e una signora attempata irrompeva dalla porta di casa urlando e chiedendo che era successo al bambino. Alla guida della macchina c’era una signora cinquantenne; al suo fianco un uomo più giovane che immediatamente è sceso dalla macchina ed è andato ad aprire la portiera della guidatrice. La signora era inerte sul sedile, sotto shock. Dopo un po’ è uscita lentamente dalla macchina e si è appoggiata sul cofano di un’auto lì parcheggiata, piangendo a dirotto. Il giovane la confortava amorevolmente. Il bambino era sempre stretto al petto della mamma che continuava a baciarlo dicendo: “Mi è scappato! Non è successo niente! Niente!”. Io guardavo impietrito la scena. Mi è venuto un groppo alla gola. Sarò vecchio, ma due lacrime mi sono scese sul viso. Bastava un attimo, e il bimbo poteva essere morto. Io buona parte della mia infanzia l’ho passata giocando sulla strada. Gli idolatrati mostri meccanici non se n’erano ancora impadroniti. Le macchine ci rubano la vita.

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