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e-mail: letizia.lipari@hotmail.it

Biografia: Ha abitato per sette anni tra Palermo e Alcamo, durante i quali ha preso una laurea in Lettere classiche, e sta (quasi) per prenderne una magistrale in Scienze dell'antichità.
Si diverte a scrivere cimentandosi in forme di volta in volta diverse, dal reportage, al pezzo umoristico, alla narrativa.
Ha una passione per la scrittura di gruppo.
Legge di tutto, ovunque e comunque.
Ha trascorso l'ultimo anno in Francia e adesso passa le giornate in cerca della prossima meta.

Letizia Lipari
  • Betlemme anno zero remake

    Betlemme anno zero remake

    Il quartiere nostro? Un quartiere fantasma, ché la malavita ci bagnava il pane.

    I politici della città non sapevano trovarlo manco sulla cartina, si scordavano di venire da noi magari in periodo di elezioni. Camminando per strada gli occhi li dovevi tenere aperti così, ché i pezzi di balconi ti franavano sulla testa – l’edicola votiva della Madonna era diventata il tiro al bersaglio dei ragazzini che si esercitavano con la pistola. Continua »

    Palermo
  • Sicily

    A place called Sicily

    Quando finisci il turno al ristorante e ti prende la nostalgia di qualcosa che somigli al cibo di casa. E allora ti infili nell’antro unto del take-away turco-scozzese, ti avvicini al bancone, chiedi: «A medium size vegetarian pizza«. Poi ti prende un poco di vergogna e aggiungi: «Without pineapple, please«.
    È allora che un uomo con una bottiglia ti barcolla addosso spargendo birra tutto attorno. Ti dice: sorry. Ti chiede: «Where are you from?».
    «I’m from Italy».
    «Oh, Italy. Where about?».
    «Sicily».
    «Sicily? Oh my god, you’re from fucking mafia!».
    Se è vero che in vino veritas, episodi come questo mi fanno pensare, mi fanno chiedere: cosa ne sanno i britannici della Sicilia? Come se la immaginano? Davvero la prima associazione e sempre con la mafia?
    Provo a discuterne con Simone, quando alla fine della serata ci sediamo, io e lui, davanti la porta del ristorante dove lavoriamo, a guardare il cielo di Edimburgo ancora chiaro alle dieci di sera, quando l’aria è tiepida e l’odore di carne arrostita che si spande dalla cucina rievoca le scampagnate di casa nostra. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • egousi soup

    Nigerian home restaurant

    Martedì sera io e quella pazzerella di Bea, che mischina si fece nove ore di treno per venire a gustarsi le prelibatezze made in Sicily. Tu immagina: il terzo piano di una casa di Ballarò, quelle della zona del mercato. Una di quelle case mezze cadenti, che a vederle da fuori le dai per disabitate. Non ci sei stata mai a Ballarò dopo la chiusura del mercato, di notte? Scuro, acqua lorda a terra, lattughe marce, pesci scafazzati. Un Cristo flagellato in vetrina tra fiori e lampadine, che ti talìa con gli occhi spalancati. Tutto attorno case che fanno Sarajevo 1993, pirtusi di proiettili, vetri rotti, panni stesi. Una casa di queste.
    La mia amica Mercy ci accompagna a un portoncino di legno, suona. La porta si apre, ma luce nella scala non ce n’è. Beatrice comincia a inquietarsi: oh ma nun è ca mo c’accireno?
    Biih, e che ti pare, che stiamo a Napoli? stai tranquilla e mettiti dietro a me, faccio luce col cellulare.
    Sopra ci aspetta una signora nera mastodontica.
    Welcome! Continua »

    Palermo
  • Tartaruga alla palermitana

    Tartaruga alla palermitana

    I tempi quando il mare era pulito che pareva vetro lustrato – chino di pesci, tanti che se ci infilavi una mano ti pareva di muovere le dita dentro a una pentola di brodo. Allora c’erano pure le tartarughe marine, a frotte – trovavi i segni sulla sabbia, la mattina – qualche volta il piede ti sprofondava in un nido e avevi fatto la frittata. Ora saranno sessant’anni che non ne vedo, sono sparite, dicono, morte strangolate dai fili di lenza e dai sacchi di immondizia. Un peccato che viene da piangere e non smettere più.

    Anni ’50, mio padre ci vestiva bene per andare a parlare con certi amici suoi marinai – aveva fatto il marinaio pure lui, prima della guerra andavano a Zuara, in Libia, a prendere i tonni. Ci andavamo in due, ché quattro camicie non c’erano. Il pititto allora ci non passava mai. Mio padre poche cose sapeva fare bene, e il padre di sicuro non era di quelle che ci riuscivano meglio. Ma la zuppa di tartaruga che faceva lui non me la scordo più fino all’ultimo giorno che il Signore mi manda su questa terra. Continua »

    Palermo
  • Finezze linguistiche per parlanti ziccusi

    Non è che è stata colpa mia. Era il chiodo che sporgeva dal muro ad altezza sbagliata, e io che sono un poco testa ‘ntall’aria ci sono andata a ‘mpinciri giusto giusto colla manica del cardigan nuovo di Carolina, a maglie larghe, dorato, perfetto per la primavera.
    Addio cardigan: la manica si sdillabbra, si spana. Gran camurrìa, penso, mentre rifletto su come spiegarci la sorte del maglioncino a Carolina, che è di Milano. La manica mi è rimasta impigliata? Non è proprio la stessa cosa. Perché ‘mpinciri contiene l’idea di uno scontro con un ostacolo imprevisto, e impigliarsi no. Tipo: ‘mpincivi nel gatto che era sdivacato a centro di stanza e sono caduta.
    Mi capita a volte questa situazione, che le parole italiane non mi bastano proprio a rendere l’idea che ho in testa, e quelle siciliane invece sì. Continua »

    Palermo, Sicilia
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