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Biografia: Pasquale Hamel, Siculiana, 1949.
Laurea in Giurisprudenza e Filosofia presso l'università Cattolica del Sacro cuore di Milano. Esperienze bancarie e succesivamente funzionario parlamentare, vicesegretario dell'Assemblea Regionale Siciliana. Responsabile dell'ufficio rapporti con le istituzioni europee. Docente di Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze politiche dell'Uuniversità di Palermo, docente di Storia dei diritti umani, corso di laurea in Scienze della Comunicazione a Palermo. Ultimo incarico docente a contratto di Storia delle dottrine politiche all'Università degli Studi Unitelma-La Sapienza di Roma.
Ha diretto istituzioni culturali ed è stato consulente culturale di istituzioni pubbliche e private. È stato consulente per i diritti degli immigrati e componente di commissioni nazionali sui diritti umani.
Ha scritto, fra l'altro: Da Nazione a Regione, Sciascia editore; La congiura della Libertà, Marsilio editore; Il Mediterraneo da Barriera a cerniera, Editori Riuniti; Breve storia della società siciliana, Sellerio editore.

Pasquale Hamel
  • Lo zolfo

    Un episodio importante della storia siciliana di cui, forse volutamente, ben poco si parla e che sfociò in una crisi diplomatica di vaste proporzioni con la potenza inglese, si colloca fra il 1838 al 1840 e riguarda la commercializzazione dello zolfo, risorsa strategica di cui la Sicilia deteneva un indiscusso monopolio. Continua »

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  • Carlo III re di Sicilia, un principe illuminato

    Le vicende risorgimentali hanno contribuito a consolidare quella che potremmo chiamare “la leggenda nera” dei Borbone, la dinastia che regnò sul regno meridionale per circa un secolo e mezzo, cioè fino a che Giuseppe Garibaldi ed un esercito composito, che si era ingrossato man mano che procedeva vittoriosamente verso Napoli, nel 1860 non ne decretò la fine. Una leggenda che, tuttavia, in gran parte non corrisponde al vero visto che i Borbone, dinastia italianissima, contrariamente a quanto si pensa, non furono peggiori delle tante altre dinastie che, fra luci ed ombre, governarono la penisola fra il secolo XVII e il XVIII. Proprio il loro fondatore, Carlo Borbone Farnese conferma quest’assunto, egli fu infatti rappresentante esemplare di principi illuminati, fortemente intrisi di valori laici, che si impegnarono in opere di modernizzazioni seguendo nel segno tracciato dalla cultura dei Lumi. Continua »

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  • Gli ebrei in Sicilia

    La presenza ebraica in Sicilia è antica e importante. Antica perché, seppure le tracce non siano sempre chiare, i primi insediamenti ebraici nell’isola si possono far risalire agli anni immediatamente successivi alla diaspora, importante perché, nel tempo la comunità ebraica siciliana, è cresciuta in numero fino a divenire la più numerosa della penisola. Verso la fine del medioevo, secondo le puntuali ricerche di Slomo Simonshon, ammontavano a circa 25.000, «più della metà si tutti quelli presenti in Italia». Le condizioni in cui vissero in Sicilia e il peso che hanno avuto nell’economia isolana, consiglierebbero quindi di non parlare di ebrei in Sicilia quanto di siciliani-ebrei. Gran parte degli ebrei siciliani erano impegnati nell’artigianato (lavoravano il ferro, i metalli preziosi, il corallo), erano anche impegnati nella pesca, molti erano i mercanti che si muovevano all’interno del territorio isolano, altri prestavano la loro manodopera nei cantieri, c’erano anche contadini, anche se in percentuale ridotta rispetto alla consistenza complessiva della popolazione. Di benestanti, e quantomeno di ricchi, ce n’erano pochi e si trattava di una delle fasce più povere della popolazione residente nell’isola. I siciliani-ebrei, rispetto ad altri luoghi dell’occidente cristiano, non furono sottoposti a particolari discriminazioni e, almeno fino all’arrivo degli Aragonesi, vivevano, gomito a gomito, con la maggioranza cristiana, in pacifica convivenza. Continua »

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  • Una terra di scrittori

    La Sicilia è terra di scrittori. Nessuna regione italiana, dopo l’unità del Paese, può vantare la presenza di tanti letterati, di alto livello, come la Sicilia. Non senza esagerazione si potrebbe dire che la grande cultura letteraria italiana si è espressa, soprattutto in questo secolo e mezzo, attraverso la voce dei Siciliani, tanto da potere, tranquillamente, smentire l’assunto consolidato di una sua presunta marginalità culturale, oltre che geografica, nel contesto nazionale. I Siciliani hanno, attraverso i loro letterati, dunque contribuito alla unità del Paese e a rassodare i legami fra cultura e società, raccogliendo l’invito del d’Azeglio quando affermava che, fatta l’Italia bisognasse formare gli italiani. Giovanni Verga, Luigi Capuana, Mario Rapisardi, Federico De Roberto, che pur non essendo siciliano visse sempre in Sicilia, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Giuseppe Tomasi di Lampedusa o Leonardo Sciascia, per solo parlare dei più noti, sono stati letterati siciliani ma sono stati, sicuramente, sopratutto letterati italiani, tanto da potere rappresentare, da soli, rappresentare la cultura letteraria del nostro Paese. Continua »

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  • Siciliani e Borbone

    Nella disputa storica che riguarda il modo in cui la Sicilia è entrata a far parte dello Stato unitario – tema controverso e in qualche caso sicuramente da riscrivere – da qualche parte, interessata alla polemica piuttosto che alla verità, si è tentato di accreditare l’idea che i Siciliani ritenessero legittimo e fossero, quindi, sostanzialmente soddisfatti del regime borbonico. Dunque, Garibaldi e i suoi Mille si sarebbero abusivamente e con violenza, appropriati d’un Regno, quello di Sicilia che peraltro dal 1816 non c’era più, soffocandone le libertà e sovrapponendo regole e leggi estranee alla cultura ed alle tradizioni dell’isola. Su questa interpretazione fa aggio, naturalmente, un neoborbonismo che non si fa scrupolo di inneggiare a Francesco II Borbone-Duesicilie, buon uomo ma politicamente inconsistente, che, proprio nell’isola, alla luce delle vicende che hanno segnato i secoli XVIII e XIX, storicamente, non dovrebbe avere alcuna ragione di esistere. Una simile falsa lettura del periodo in questione, non tiene conto del fatto che i Siciliani siano stati tradizionalmente antiborbonici, la ormai nota “opposizione al riformismo borbonico”, e che proprio contro i Borbone, a ragione o a torto, abbiano, nel corso di oltre un secolo, più volte preso le armi reclamando, autonomia e autogoverno. Continua »

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  • Andrea Finocchiaro Aprile

    Nino Buttitta, antropologo stimabile di vasta cultura, definisce il “mito come meccanismo ideologico per trasferire nell’immaginario contraddizioni irrisolvibili nel contemporaneo”. Una bella definizione che si può riferire a tanti personaggi che riempiono la cronaca e che vogliamo applicare ad uno in particolare, si tratta di Andrea Finocchiaro Aprile, leader storico del separatismo siciliano mitizzato da quanti amano immaginare una Sicilia indipendente, perché la cautela prevalga sulle passioni. Per quelle giovani generazioni che potrebbero appunto sentire la fascinazione del mito, mi pare opportuno raccontare una vicenda che pesa come un macigno nella storia personale di questo tribuno populista alla ricerca di un’affermazione personale costi quel che costi e la cui intelligenza consente di toglierlo dagli altari per riportarlo alla dure realtà delle miserie umane. Continua »

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  • La sconfitta del separatismo siciliano: 10 febbraio 1944

    L’idea, accreditata da ambienti separatisti, che da parte degli angloamericani, che avevano occupato la Sicilia dopo lo sbarco del giugno del 1943, ci fosse stata un consenso tacito alle iniziative degli indipendentisti di Finocchiaro Aprile, risulta storicamente smentita facendo mente locale sui vari passaggi che precedettero la riconsegna dell’isola al Regno d’Italia il 10 febbraio del 1944. L’interesse degli Alleati infatti era quello di staccare definitivamente l’Italia dall’alleanza con la Germania per farne un utile alleato nella guerra contro le armate del terzo Reich. La restituzione della Sicilia all’Italia costituiva, in questo senso, merce di scambio e strumento di pressione per convincere il governo Badoglio a quella decisione. Continua »

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  • “La Sicilia musulmana” e Vanoli

    Uno studio approfondito sulla Sicilia islamica, che andasse al di là delle conclusioni a cui due secoli fa è pervenuto Michele Amari con la monumentale Storia dei Musulmani in Sicilia, ancora mancava nelle nostre biblioteche, ci ha pensato Alessandro Vanoli con la sua La Sicilia musulmana, edita dal Mulino. Continua »

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  • “Francesco Brancato, un storico per la verità”

    Francesco Brancato, un storico per la verità è il titolo del libro che raccoglie riflessioni, considerazioni e ricordi personali di studiosi e estimatori dello storico palermitano, volume promosso dal comune di Ciminna e amorevolmente curato da Vito Mauro. Sfogliandone le pagine emerge il ritratto di un uomo, uno studioso appassionato che ha, nella sua lunga vita, indagato con acume e profondità la storia siciliana offrendone, soprattutto in tema di Risorgimento, letture originali, e fatto non comune anche in storici di prima grandezza, non condizionate da pregiudiziali ideologiche. «Sappiamo bene, scrive Domenico Lo Jacono, che fu ideologicamente di sinistra vicinissimo alle posizioni socialiste; ma egli non fece mai prevalere il suo credo politico sulla sua attività scientifica». Il suo è stato in effetti impegno teso alla ricerca della verità, la verità storica, conquistata e acquisita attraverso la pratica dei preziosi e spesso poco indagati giacimenti archivistici: un lavoro di analisi attenta dei documenti e una interpretazione quanto più corretta possibile delle fonti. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • L’autonomia siciliana nel progetto di Francesco Ferrara

    «La prego di dire a Ferrara – il 7 luglio 1860, scrive il Cavour al conte Michele Amari di S. Adriano – che ho ricevuto la sua lettera e le sue note. Ho letto attentamente l’una e le altre. E non faccio ad esse che un solo commento. Se l’idea italiana, scriveva Cavour, non ha nessuna influenza in Sicilia, se l’idea di costruire una forte e grande nazione non è ivi apprezzata, i Siciliani faranno bene ad accettare le concessioni del re di Napoli e di non unirsi a popoli che non avrebbero per loro né simpatia né stima».
    Una lettera che mostra irritazione e fastidio per una proposta giudicata inopportuna in un momento particolarmente critico del processo unitario. L’iniziativa del profugo siciliano Francesco Ferrara, il maggiore economista italiano del XIX secolo, si collocava nel momento più alto dello scontro sul destino della Sicilia dopo il ritiro dei Borbone da Palermo. Continua »

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  • L’autonomia regionale siciliana secondo Mario Mineo

    Celebrare l’anniversario dello Statuto autonomistico, in uno dei momenti più difficile della storia economica e sociale della nostra isola, appare solo un fatto retorico se non lo si accompagna ad una riflessione critica non tanto sul presente, che tutti immaginiamo di conoscere, ma sul passato nel quale, a mio giudizio, troviamo le ragioni del mancato funzionamento di uno strumento che, invece, avrebbe dovuto essere, ma che quasi mai lo è stato, il motore di crescita della nostra terra. Per questo motivo mi pare opportuno ricordare in breve il contributo che Mario Mineo, un irrequieto e generoso giovane intellettuale socialista, diede ai lavori della Consulta regionale. Continua »

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  • Mieli, Mattarella e le classi dirigenti del Sud

    All’apparenza, potrebbe sembrare che non ci fosse alcuna relazione fra la poco felice battuta di Paolo Mieli pronunciata a Cortina sulla necessità di commissariare il Sud e il ricordo della figura di Piersanti Mattarella, ucciso proprio il 6 gennaio dell’ormai lontano 1980 per mano mafiosa. In realtà un nesso, anche stretto, lo si può trovare, riflettendo sul fatto che il presidente della Regione siciliana, ma non fu il solo, nel corso della sia pur breve esistenza, pose, come obiettivo principale della sua azione politica, il rinnovamento della classe politica siciliana e non solo. Mattarella si era infatti reso conto che quella classe politica, il discorso si allargava però anche alle classi dirigenti in genere, era vincolo piuttosto che strumento per il cambiamento di cui la Sicilia e il Mezzogiorno avevano bisogno. Il problema della Sicilia, che è problema dell’intero Mezzogiorno, è stato e continua, infatti, ad essere proprio quello dell’assenza di classi dirigenti responsabili, capaci di governare il presente ma, anche, di guardare avanti e non certamente preoccupate, come purtroppo siamo costretti a registrare, alla meschina gestione dell’esistente. Paolo Mieli, a distanza di trentadue anni dall’assassinio del presidente della Regione siciliana, con la schiettezza e l’autonomia intellettuale che lo contraddistingue, non dice qualcosa di diverso affermando che le attuali classi dirigenti del Meridione d’Italia non siano in grado di costruire un futuro certo per i territori che governano. Le accuse che gli sono state rivolte, accuse di tenere la coda a certo becero leghismo, mi pare dunque che non abbiano alcun fondamento come non ha giustificazione l’indignazione che mostrano parecchi commentatori di casa nostra. Continua »

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  • Sicilitudine

    Rubato al semisconosciuto futurista Crescenzo Cane ma, anche, nobilitato e veicolato per il grande pubblico dalla prosa secca e tagliente di Leonardo Sciascia, il termine “Sicilitudine”, appare speculare a quello di “Sicilianismo”. Sicilitudine, espressione emozionale che, anche nella sua declinazione fonica, richiama sentimenti e passioni intime legate ad un’identità o nostalgie di una terra che incanta e dalla quale, nonostante disagi e dissensi, non ci si vorrebbe mai staccare. Una sorta di “negride” in salsa mediterranea. Sicilitudine,dunque, come espressione di un sentire specifico del siciliano, sentimento pacato e non gridato, in questo caso – l’esatto contrario appunto di dell’esternazione sicilianista – scevro da esagerazioni ed esasperazioni. Espressione, in un certo qual senso, di natura bifide. In un caso, positiva, perché nel disincanto e nel distacco dalle vicende e nell’abbandono contemplativo la riflessione seria trova sempre il migliore terreno di coltura. Ma, ed è l’altra faccia, ad un tempo, stigma del disimpegno che sostiene l’assenza in quanto si crogiola in una rassegnata constatazione dell’immodificabilità della storia, personale e generale, della quale il grande manovratore è il fato, “ed è subito sera”; un destino che rende inutili gli sforzi, il “fare” che il Lampedusa richiama come eterna maledizione del siciliano. D’altra parte non è “di diavoli di angeli” l’immagine che gli isolani restituiscono a Maupassant nel suo peregrinare siciliano. Continua »

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  • Sicilianismo

    Riecheggiando il Marx del Manifesto del Partito comunista, si potrebbe dire che, ancora una volta, uno spettro ossessiona il mondo politico siciliano, si tratta del “sicilianismo”, forma degenere e difensiva di quanto di peggio l’isola, naturalmente parliamo della Sicilia, abbia prodotto in termini di proposta politica. Il “sicilianismo” ha, infatti, consentito, e consente ancor oggi, di assolvere tutti e tutto dalle proprie colpe, in nome di un interesse superiore che sarebbe quello della difesa indiscriminata del “proprio” status identitario, quasi a richiamare la formula proverbiale scolpita dalla saggezza (?) popolare nella felice, ma sostanzialmente tragica, espressione “difenni ‘u to, o tortu o dritto”, difendi il Tuo senza che tu ti debba porre il problema se quel che difendi sia giusto o sbagliato.
    Il sicilianismo è stato base ideologica del cosiddetto ribellismo siciliano che ha distinto gli ultimi due secoli di storia dell’isola. Continua »

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