a Erminio Favalli e Gianni De Rosa
Ignazio non sapeva di chiamarsi così, quella “i” davanti, era di troppo nella lingua parlata dalla sua gente.
‘Gnazio lo chiamavano, anzi ‘Gnazziddu per la precisione, e lui, era convinto che quello era il suo nome.
‘Gnazio non aveva i genitori e aveva imparato in un segreto di piombo a non chiedere e soprattutto non chiedersi…dove…come… Era così e tanto bastava.
‘Gnazio viveva con i suoi zii, brava e povera gente che non faceva niente di particolare per lui se non…dargli un tetto e da mangiare, questo era per ‘Gnazio abbastanza eccezionale da pensare di dovergli essere grato a vita, era così.
‘Gnazio ogni giorno all’uscita da scuola, si fermava con i compagni nello spiazzo davanti, si toglieva sveltamente il “falaro”, scioglieva il nastro sul collo e giocava “a pallone” , ma ‘Gnazio non era un granché con la palla ai piedi, non aveva “il tocco vellutato”, e così quando La Vardera e Giuffrè (i due più bravi) si “spaievano” i compagni, lo evitavano come la peste, sino ad arrivare all’ultima scelta che…più che tale, era, a guardare la faccia dei due, una condanna (“Tocchi tuuuuni, – 6 ! comincio io,…Robberto. – Giuvanni. – Pippo. – Salvo. – Piero. – Totuccio. – Antria. – Federico. – io Vicè e….’Gnazziddu sta ppì tia..he,he”).
‘Gnazio non se la prendeva più di tanto, conosceva i suoi limiti e le sue…potenzialità. Continua »
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