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venerdì 5 dic
  • Piazza di Carini

    Dal degrado alla bellezza: il potere della narrazione condivisa dei cittadini a Carini

    A Carini, alle porte di Palermo, sta accadendo qualcosa di straordinario. Non grandi opere pubbliche o interventi istituzionali, ma un movimento spontaneo che sta ridisegnando l’identità di uno spazio pubblico e di un’intera comunità. “A chiazza è mia” – La piazza è mia – è un atto di rigenerazione civica che attraverso la narrazione sta trasformando un luogo segnato dal degrado in spazio vivo di memoria e appartenenza.

    L’iniziativa nasce da un gruppo di cittadini che ha scelto di non arrendersi alle cronache di degrado del centro storico, al diuturno lamento sterile, optando coraggiosamente per la riappropriazione attraverso uno strumento potente: il racconto. Ogni settimana, attraverso dirette Facebook, il gruppo si ritrova nel cuore del paese. Non semplici passeggiate, ma veri atti di cittadinanza attiva dove la narrazione diventa strumento di trasformazione urbana.

    Marc Augé definiva i “non-luoghi” come spazi dell’anonimato, privi di identità, relazioni e storia. Il centro di Carini è diventato esattamente questo: uno spazio vuoto, evitato, dimenticato. L’iniziativa ribalta questa deriva: i partecipanti raccontano storie, rievocano memorie, indicano dettagli architettonici dimenticati. Il Castello La Grua-Talamanca, la Chiesa Madre, le vie del centro, il tessuto storico diventano parte di una narrazione corale che restituisce dignità al luogo.

    Non c’è un narratore unico. Lo spazio pubblico diventa teatro di voci diverse: c’è chi condivide aneddoti di vita vissuta tra quelle strade, chi interroga i muri e le pietre per decifrarne i segni del tempo, chi ricostruisce genealogie familiari e luoghi scomparsi.

    Questa modalità orizzontale crea ownership collettivo, un senso di appartenenza e responsabilità condivisa. Il centro torna “mio” non come proprietà esclusiva, ma come bene comune di cui prendersi cura, spazio identitario in cui riconoscersi. Le dirette Facebook permettono a tutti di essere presenti e partecipare virtualmente: agli emigrati di ritrovare pezzi della propria storia, ai curiosi di scoprire un patrimonio altrimenti invisibile. E a chi come me ha lasciato un pezzo di cuore in quella splendida città di riscoprire il senso stesso dell’appartenenza, quella radice profonda che la distanza trasforma in dolce nostalgia impossibile da recidere.

    Mentre i media locali sono spesso monopolizzati da storie di incuria, crimini e abbandoni questa esperienza propone una contro-narrazione che non nega i problemi, ma affianca al racconto del degrado quello della bellezza e delle potenzialità. L’esperienza di Carini dimostra che la rigenerazione urbana non richiede necessariamente grandi investimenti: basta riattivare la memoria, ricostruire le narrazioni, tornare ad abitare gli spazi pubblici con consapevolezza.
    In un’epoca di individualismo e frammentazione, questa iniziativa mostra che è ancora possibile costruire comunità a partire dai luoghi, che la memoria condivisa è un potente collante sociale, che il racconto può trasformare spazi e persone.

    Il centro di Carini tornerà quello che le piazze mediterranee sono sempre state: teatro della vita comunitaria, spazio di incontro, luogo dove si costruisce l’identità collettiva? Chissà. Di certo quest’estate è nato un fenomeno collettivo: un gruppo di cittadini ha deciso, con coraggio, che quello spazio è loro, è nostro, è di tutti coloro che scelgono di abitarlo con cura. E tutto questo non può non avere un portato di conseguenze.

    Palermo
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