Il rumore del silenzio
In principio sembra un lamento. Il buio fuori è ancora intenso, e sullo sfondo c’è solo il rumore del mare. Le voci sono lievi, cosi come il brusio dei passi sulla ghiaia che li porterà presto davanti al mare.
Il lamento si trasforma dolcemente in canto, propizio per coloro che stanno per affrontare l’ennesima avventura in mare. Li aspettano ore solitarie, speranze incompiute, tormentosi pensieri.
Sono i pescatori. I più poveri tra i poveri. Coloro che si affidano al caso, alla fortuna, per dare un senso alle loro vite. A casa lasciano occhi mesti, con dentro una piccola luce di speranza. In mare incontrano il silenzio e dovranno farselo amico, perché le ore passeranno in sua compagnia.
Ogni giorno. Ogni misero giorno. Migliaia di loro si avventurano con le loro canoe, scolpite nei grossi tronchi di acacia, lavorate e vulcanizzate a mano, con la pece ed il sudore. Piccole imbarcazioni instabili per affrontare il più bizzarro dei mari tropicali: il Mar del Caribe.
Si allontanano in gruppo, per poi separarsi subito dopo. Ognuno ha il suo luogo. Ognuno cerca per se. Alcuni provano ad avventurarsi, oltre le tre, quattro ore di navigazione a remi, scandendo la litania che li accompagnerà per tutto il giorno: “aguananè … aguananà “. Remata dopo remata.
Il sole sorge, ed i loro lumi di candela si smorzano. C’è da affrontare caldo e solitudine. Scrutano le correnti. Osservano gli uccelli. Sentono il pesce sotto di loro. Può essere un banco di Dorades o di Scharats. O forse semplici Rougets, buoni solo per il gusto che lasciano nella zuppa. Si raccolgono le nasse. Si calano le palanche. Non resta che attendere. Attendere.
Si narrano leggende di uomini che da soli hanno affrontato il mitico Marlin, che qui chiamano “le voilier”, per quella bizzarra quanto sontuosa pinna caudale, aperta come una vela, quando questi salta su per le onde, superando anche i due metri di altezza. Si narra di uomini trasportati con le loro scialuppe dal Marlin fino al profondo largo, dove finanche la punta dell’Isola della Gonave, al centro del più grande golfo d’Haiti, resta solo un ricordo. L’uomo ed il Marlin. Hemingway ne seppe narrare le gesta, la paura, la fatica. Io ne osservo gli occhi, gli sguardi, le parole non dette. Mi piace trovare il tempo per osservarli, lungo la spiaggia, il pomeriggio, quando raccolgono e riparano le reti danneggiate. Sanno trasmettere, senza parole, grandi verità.
Provo a fare un parallelo. Provo a ricordare gli sguardi dei pescatori in Sicilia. Volti bruciati dal sole; mani segnate dalle reti e dal sale. Unico luogo comune: la mesta speranza di un giorno migliore del precedente.
Carissimo Alfredo,
leggerti è panacea per i miei occhi.
Se poi ti trovo on line senza preavviso, la gioia diventa doppia, tripla.
Amo il maro. Amo il nostro mare. Amo la nostra Sicilia.
Al termine della lettura, sento le mani secche dal sale, sento i miei occhi tirati dal sole e l’odore del pesce. Non sono un pescatore, ma anch’io vorrei che domani sia migliore di oggi.
Ti voglio bene
Il tuo amico
Gigi
Caro Alfredo,
io quello stesso mare del Caribe, con altri pescatori, ce l’ho di fronte come te ogni giorno, ma non ero ancora riuscita a vederlo come me lo hai fatto vedere tu con il tuo racconto!
Le facce smagrite di questi poveretti, le canoe fatte di tronco e le vele di stracci, belle solo da lontano…non li ho mai sentiti cantare, ma adesso prestero’ piu’ attenzione!
Un abbraccio dall’altra parte del golfo (ma tu la vedi l’isola della Gonave dalla tua postazione??!)
Cilla
Cilla!!
Signori, un’altra pazza italiana che se n’e’ venuta a lavorare in quel di Haiti, sotto false spoglie di cooperante.
Io li sento cantare quando ancora fa notte, quando scendono verso il mare con l’aiuto delle candele. Il bello e’ che non mi disturba affatto e riprendo facilmente sonno.
L’isola della Gonave e’ davanti a me. a volte si nasconde tra la foschia, ma spesso si impone con le sue linee sobrie.
Un altrettanto abbraccio da questa parte del Golfo…
alf
No, non posso non commentare, scusa… Leggendo quello che scrivi, leggendo le emozioni che trasformi in parole, si può sognare ad occhi aperti.
Ogni giorno che passa, sempre più una piacevole scoperta.
Giullare,
il tuo racconto,degno di un uomo sensibile quale tu sei.Si vede che hai orecchie per ascoltare,bocca per parlare,occhi per vedere,ma anche un cuore che ti parla sempre e che tu ascolti….sillaba dopo sillaba…..ciao
Turiddu
Scrive bene FPA.
Riesci a trasformare in parole le emozioni, trasmettendole in pieno a chiunque legga.
Grazie Alf!
Claudio.