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giovedì 25 apr

Archivio del 25 Dicembre 2006

  • Canto di Natale

    Quasi tutti i barboni di Palermo si chiamano Vincenzo, abbreviato in Vicè. C’è Vicè vogghiufumare di via Archirafi, Vicè del Civico, Vicè di via Briuccia. E c’era una volta Vincenzo, cioè Vicè, che dormiva sulle scale delle Poste di via Roma. Dormiva molto e sognava moltissimo. Quando si svegliava non sapeva più distinguere le immagini d’aria che gli passavano nel cervello da quelle in carne e ossa che gli camminavano davanti. Vicè delle Poste era convinto di essere una donna. Per questo aveva annodato i suoi capelli sporchissimi in una specie di crocchia che, insieme ai lineamenti affilati, gli dava un aspetto da marajà.
    Vicè delle Poste non sopportava dottori e ambulanze. Quando vedeva un camice bianco, scappava. Forse perché l’avevano messo in manicomio da ragazzo e l’avevano curato con l’elettroshock. Così almeno si diceva. Però non bisogna fidarsi troppo, i sussurri della strada sono come erano le immagini nel cervello di Vicè. Impossibile separare la verità dalla fandonia, in una c’è sempre un po’ dell’altra.
    Vicè delle Poste cominciò a stare male. Scatarrava. Sputava per terra chiazze di saliva e di sangue scuro. Ciccio, il medico che collabora con Biagio Conte, cercava di persuaderlo: “Dai, vieni con me in ospedale”. Il barbone si limitava a scuotere la testa. No. Continua »

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