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sabato 20 apr
  • Sarà il caso di fare chiarezza sul gelato artigianale?

    Si fa presto a dire gelato artigianale in assenza di una definizione di legge che in Italia manca, salvo l’apprezzabile normativa varata in materia dal Trentino Alto Adige. Eppure, il gelato di tradizione italiana è uno dei prodotti di punta della nostra tradizione gastronomica che si sta diffondendo con successo all’estero così come in passato la pasta, la pizza o l’espresso.

    Cosa sia il vero gelato artigianale sarà chiaro a tutti in questo fine settimana a Palermo dove, negli assi storici del percorso arabo-normanno dell’UNESCO appena pedonalizzati, si svolgerà la VII edizione dell’unica manifestazione al mondo che per regolamento esclude l’uso di basi industriali: lo Sherbeth Festival. Già, perché paragonare un gelato prodotto partendo dalla materia prima con uno prodotto aggiungendo, nel caso, acqua o latte al contenuto di una busta industriale, sarebbe come non cogliere la differenza tra uno che cucina con una busta di “quattro salti in padella” ed un cuoco stellato. Nel primo caso si diventa gelatieri dopo un breve corso di istruzione, nel secondo serve invece una vita. Il guaio è che proprio in Italia la percezione di questa differenza si sta perdendo nel grande pubblico e se si perde il gusto e la memoria dell’eccellenza, si finisce per competere, come sistema Paese, al di sotto del proprio potenziale.

    Il settore del gelato, tra l’attività di produzione e vendita dei circa 38.000 esercizi commerciali, molti dei quali provvisti di proprio laboratorio, e l’industria delle macchine, dei semilavorati, dell’arredamento ecc., vale alcuni miliardi di euro ed è naturale che la forza dell’industria, dove l’Italia è leader incontrastata, abbia marginalizzato l’attività artigianale propriamente detta. Un mantecatore da pochi litri di capacità è sicuramente una macchina artigianale, cioè pensata per una lavorazione di qualità artigianale, ma se in questa macchina immetto in prevalenza un semilavorato industriale, di fatto il prodotto da artigianale che era diventa semi industriale: ecco spiegato l’equivoco.

    Perché il gelato sia invece autenticamente artigianale ci vuole alle spalle, indipendentemente dal modello del layout produttivo adottato, un artigiano capace di bilanciare una ricetta partendo da materia prima di qualità innanzitutto del proprio territorio di appartenenza, secondo il ritmo delle stagioni e con tutta l’originalità della propria personale creatività. A Palermo stanno per cimentarsi in concorso oltre trenta artigiani gelatieri di varie nazionalità, tutti con un nome e cognome, un volto e una storia personale, ciascuno con un gelato che racconta il territorio di provenienza: dal gelato al sambuco e lavanda delle Dolomiti alla crema di mentuccia di Algarve con agrumi del Portogallo al cioccolato azteco e cocco o alla mandorla e percoca di Canosa di Puglia o alla Ratafia d’Abruzzo, i gusti offerti sono davvero tutti particolari.

    Il direttore tecnico della manifestazione, Antonio Cappadonia, custode della grande tradizione siciliana, ha il merito di aver riunito a Palermo dei grandi professionisti che parlano oggi di gelato funzionale, di sostenibilità ambientale, di consapevolezza circa un cibo che può essere certamente prodotto in modo piacevole e sano, magari secondo un’organizzazione aziendale e tecnologica più adeguata ai tempi al fine di scongiurare il rischio di rimanere solo un mercato di nicchia.

    Il concorso, presieduto da un gigante della gelateria moderna, il siculo-svizzero Luca Caviezel, ultranovantenne autore dei principali trattati in materia, è intitolato a Francesco Procopio Cutò o De’ Coltelli, un ventenne che lasciò Palermo nel XVII secolo per cercare fortuna nella Parigi del Re Sole: la trovò con i suoi sorbetti e granite che resero famoso il suo locale, Le Procope, tuttora aperto e divenuto addirittura monumento di Francia.

    La Sicilia, incredibile a dirsi, esportava la neve delle sue neviere nel Mediterraneo già dal XV secolo e la neve mescolata con il sale che raggiunge la temperatura di -21°C, quella dei moderni freezer, era usata sia per motivi sanitari, si pensi alle febbri malariche, che per produrre, in contenitori metallici immersi in questo miscuglio, il gelato moderno, quello appunto di Procopio ben diverso per struttura da quello degli antichi romani o degli arabi. Agli amministratori di Palermo e della Regione Siciliana rivolgerei quindi un doveroso invito: ai primi di dedicare in città una strada a quel Procopio che sia di buon augurio ai tanti giovani che tuttora emigrano all’estero in cerca di fortuna mentre i secondi potrebbero prendere esempio dal Trentino Alto Adige per fare chiarezza normativa in materia di gelato artigianale nella regione dove questa storia è cominciata.

    DISCLAIMER: non è stata percepita alcuna somma per questo post.

    Palermo, Sicilia
  • 4 commenti a “Sarà il caso di fare chiarezza sul gelato artigianale?”

    1. Il gelato si divide in due categorie: quello buono e quello no.
      Le equazioni gelato artigianale = bonta’ e gelato industriale = schifezza non sono sempre vere. Un gelato artigianale puo’ anche esser fatto male, cosi’ come uno industriale puo’ essere una delizia.
      Il gusto e’ l’unico giudice.

    2. Questo é scontato: nessuno cerca cose non buone, ma un gusto buono si può creare artificialmente per cui non basta che sia buono, deve essere anche salutare.

    3. Condivido l’orgoglio per il gelato nazionale e la stima per il maestro Cappadonia, ma non mi risulta chiaro cos’è, esattamente, che segni la differenza fra artigianale ed industriale, macchine a parte.
      Se uso la farina di semi di carrube per migliorare la consistenza il gelato è industriale?
      Se oltre allo zucchero uso il glucosio per impedire che la massa cristallizzi, il gelato è industriale?
      Capisco che la differenza è evidente se utilizzo basi aromatiche di sintesi invece della frutta fresca, ma per gli altri ingredienti/eccipienti non è così marcata la differenza.
      Il latte, per esempio. Devo usare quello artigianale (fresco) o posso usare del latte “industriale” uht?
      Lo zucchero? E’ industriale per definizione, a meno di non usare il miele come dolcificante.
      E nemmeno si può portare il discorso sulle proporzioni o quantità. L’artigiano deve fare le pesature a occhio o può usare la bilancia?
      Posso misurare i gradi brix con un rifrattometro o devo per forza assaggiarlo per capire se è abbastanza dolce?
      Se preparo una busta con tutti gli ingredienti “giusti, buoni e sani” e la vendo ad un gelataio dicendogli “basta che aggiungi un litro di latte”, sto vendendo un gelato industriale?
      O è l’economia di scala che fa la differenza? La quantità prodotta?
      Se ne faccio 1000 chili l’anno sono artigiano, se ne produco mille tonnellate sono senza dubbio un industria? Boh…
      Il gelato di carciofi di Cappadonia ancora me lo ricordo, ma anche il Carte d’Or al Caffè mi piace assai…

    4. @Isaia, l’equivoco sta nell’aggettivo “artigianale”: quando si è capaci di bilanciare gli ingredienti di una ricetta quali quelli da te citati e come ha insegnato a fare sui suoi trattati il maestro Caviezel, siamo sicuramente di fronte ad un’attività artigianale mentre quando la ricetta è base della ditta XYZ 150 gr. + zucchero 220 gr. e latte 1 lt. come si può parlare di gelato artigianale? Tornando al mio esempio, puoi chiamare chef chi usi cucina buste di 4 salti in padella?

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