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sabato 20 apr
  • Agostino

    Io mi chiamo Agostino, pure se sono nato a novembre. E sono nato a Palermo nel 1989 quindi ho 20 anni. Però dico che ne ho 25 così mi fanno lavorare forse. Questo del lavoro è il mio problema. Perché a scuola non ci sono voluto andare manco scannato e non mi sono preso le scuole medie. Quindi pure se ho lasciato i miei nominativi al supermercato vicino al tribunale lo so che non mi prendono perché ci vuole la scuola media. Ma io a quella serale non ci voglio andare, perchè mi sento accupato a stare chiuso tre ore ogni sera. E perciò mi devo accontentare di quello che mi fa fare il signor Biagio che mi conosce da quando ero nico e mi fa lavorare. Cioè, lui fa i servizi di ristorante e io ci vado, lo aiuto tipo dalle 5:00 all’una di notte e mi dà 25 euro. Buono è. Non è che faccio niente. Sto all’impiedi e faccio i piatti ai signori della festa. Tanto non ho chiffare.
    Quello mi ha buttato fuori. Meglio è. Mi sento sollevato. Che non ne potevo più di sopportare le cose che mi rinfacciava. Mi pigliò che avevo 16 anni. Non è che le capivo bene bene le cose, manco ora se è per questo. Però ora l’ho capito. Prima no. Io, lo voglio dire, lo odio. Lo odio mille volte di più di quanto gli ho voluto bene. Solo che non l’avevo capito. Ora si però. Se ne approfittò perché ero carne fresca…lo schifoso. Lui già aveva 35 anni. Io 16.
    Stavo a casa con mia madre e le mie sorelle. Mia madre era arraggiata perché tutte cose gli andavano storte. Quando ebbe mio fratello il grande aveva 15 anni. Mio padre la vunciava di legnate e se ne andava con altre femmine. La metteva incinta e poi scompariva. E poi tornava. E poi di nuovo corna e vuciazzate dal balcone che s’affacciavano tutti. Ogni volta cadeva la faccia a terra, cadeva. Io glielo dicevo a mia madre di non fare abbile che poi con l’età forse si calmava ma lei manco mi sentiva mai. Anzi se parlavo scippavo lignati io che non c’entravo niente. E mi stavo muto allora. Una volta che eravamo rimasti soli io e lei però gliel’ho voluto dire.
    Ma’ vedi che ti devo dire una cosa.
    Che vuoi?
    Niente ti volevo dire che ormai sono grande e forse mi devo mettere con una persona.

    Lei mi disse e cu è?
    Io le risposi non lo conosci, ti posso dire che si chiama Salvo.
    L’unica cosa che mi disse ridendo fu “’nca buono, to patri fimminaru e tu frocio”. Restai muto pure in quel minuto. Però me ne volevo andare di casa. Non è che siamo nell’Ottocento. Però pure a lei la fa ridere Platinette a canale cinque. Però forse il figlio frocio non lo voleva. Non lo so e non lo voglio sapere. Non mi disse più niente.
    Poi venne Natale mia madre portò uno a casa che subito cominciò a comandare a destra e sinistra. Pure a me. Mi doveva dire quando dovevo entrare e quando dovevo uscire.
    Tu ‘un si me patri gli dissi una volta che era tutto incazzato perché la mattina mi ero alzato a mezzogiorno. Come risposta iddu mi pusò una buoffa che mi fece girare la testa. Ma saziu ‘un cinni rietti, mi veniva di ammazzarlo, ma pensavo che poi finiva a schifìo e mi stetti muto. Per i nervi volevo piangere ma per non dargli soddisfazione mi sono dato tanti morsi nel labbro e così mi scordavo che mi veniva da piangere.
    Però a casa non ci tornai per tre giorni. Non avevo manco un soldo e per fumare dovevo scroccare le sigarette. E in quei maledetti tre giorni conobbi a quello schifiato che me ne regalò tre pacchetti e mi diceva parole d’amore e mi infilò a casa sua.
    Il primo periodo lui era tutto gentile e mi regalava cose. Pure il computer che mi potevo scaricare le canzoni che volevo io. Britney Spears mi piace. Usciva e mi comprava le magliette aderenti e mi chiamava ‘u picciriddu mio. Mi fece fare pure due tatuaggi. Con la macchinetta che non fa tanto male. Mi aveva promesso pure il terzo, perché devono essere dispari sennò porta attasso. Poi, senza che io avevo fatto niente, (si vede ca c’appitieva un altro) spuntò a casa con un altro più piccolo di me. Mi disse che io pure potevo restare ma mi levò tutte cose. Pure la macchina, che secondo me manco so guidare più da quanto non ne tocco una e pure il computer. Però pure se con quello nuovo avevo fatto amicizia, lo stesso me ne volevo andare. Ogni giorno mi doveva inquietare per ogni cosa. Potevo uscire solo il sabato e la domenica. Dovevo fare quello che diceva lui. Una mattina che era tutto smosso cominciò a gridare e mi disse di andarmene. E io me ne sono andato. Ma da mia madre non ci voglio tornare perchè è peggio. Ogni tanto ci penso alle mie sorelle e a mio fratello e mi guardo le fotografie che ho nel portafoglio e un poco mi commuovo come quando mi misi a piangere come un cretino per il film del Titanic. Ma ero piccolo, non capivo bene bene le cose. Ora sono più grande e io spero che un lavoro meglio lo trovo. Ma a casa da mia madre non ci torno, perché io non voglio essere comandato da nessuno e coi prossimi soldi che piglio mi faccio un altro tatuaggio che così sono tre e devono essere dispari.

    Palermo
  • 41 commenti a “Agostino”

    1. Brava, brava, brava.

    2. Cos’è, l’autobiografia non autorizzata di Domenico Dolce?
      “I miei primi anni”…

    3. @ Isaia:!!!!
      E dopo questo post la Cubito è in vacanza per un mesetto.A Rosalio piacendo ci ritroviamo a settembre 😉

    4. ahi ahi poreva sicilia… ma tanto c’è chi dice che “tutto bene va!”

      una vasatuna Maria, buone vacanze 😉

    5. Maria, bellissimo commovente racconto, complimenti.

      @Isaia panduri
      mi permetto di intervenire perche’ conosco Domenico, essendo stato amico d’infanzia in quel di Polizzi, la tua battuta, perche’ tale sicuramente e’, confesso mi ha lasciato un senso di fastidio non indifferente.

      Me ne farò una ragione, come e’ spesso accaduto in passato.

      Candeloro

    6. Anche se “ogni riferimento a persone e cose è puramente casuale”,la miseria morale che alberga in questa città è ben più grave di quanto riportato dalla signora Cubito.

    7. @Isaia: sei da querela!!

    8. Incantato, come tutte le volte che leggo qualcosa scritto da te.
      Goditi le ferie, Maria!

    9. Siamo ad agosto e ho i brividi… ma temo che non sia colpa dell’aria condizionata, considerando anche che ho una lacrimuccia “in pizzo” agli angoli degli occhi…
      Grazie.

    10. Sei sempre brava Maria

    11. @Beny: Come è buona norma, Rosalio rimuoverà il mio commento, se penserà che ci sono gli estremi per una querela.
      @Candeloro: Hai ragione, riconosco che potrebbe essere un po’ fastidiosa, come battuta. Ma serviva un contro-climax, dopo il pezzo “neorealista” di Maria…

    12. @isaia panduri
      credo che tu ti stia arrampicando sugli specchi….

    13. Grazie Mari, per Agostino e tutti quelli come lui che continueranno ad esistere. Grazie per aver raccontato quello che non sanno nemmeno loro, perché le parole, quelle con le quali a te e a me sono così facile gioco, sono perle scivolose untuose, nemiche strurùse nelle mani di Agostino che non le sa infilare in un filo, carcerato nel silenzio senza manco sapere perché. Forse Anche Agostino leggerà un giorno questo post e ti ringrazierà lui stesso, e magari saprà anche spiegarti perché …

    14. Signori, queste cose accadono in qualsiasi parte del mondo. Toglietevi i paraocchi.
      E con questo non voglio dire che sia una cosa normale.

    15. in parte mi dispiace per la vena polemica che caratterizza l’intervento che mi appresto a fare, ma devo dirlo: che cosa è questa sorta di compiacimento per l’espressione dialettale, al punto tale da far risultare aggettanti i termini in dialetto come se fossero questi (e solo questi) il punto focale e la particolarità del racconto? non capisco se il fatto in sé debba apparire simpatico solo per la presenza di certe espressioni in siciliano (cosa che già trasformerebbe il tutto in prodotto popolareggiante, oserei dire folkloristico da pubblico di massa, un po’ come le tante vere falsità che si propongono ai turisti), come se il lettore culto e definitivamente superiore rispetto a queste risibili espressioni (e dico risibili non perchè io sia di questo avviso, bensì sol perchè presentate come tali, con tutta la loro “ignorante ingenuità”)non possa fare altro che sorridere, pur nel sottofondo amarognolo della vicenda. non capisco che cosa ci sia di così originale ed incisivo in questo scritto. Sottolineo di non avercela non la signorina Maria Cubito (che dopotutto non conosco neanche personalmente), ho semplicemente ritenuto opportuno esprimermi in merito, certe cose non riesco a trattenerle.

    16. devo ammetterlo, ogni post scritto dalla Sig.ra Cubito lo leggo con molto interesse ma stavolta manca di originalità. Il protagonista si arebbe potuto chiamare Agostino così come Mario ed essere nato a Palermo come a Pordenone. Qualcuno però, per il fatto che sia palermitano, si indigna più che se fosse nato a Trieste perchè la pochezza morale che caratterizza la città di Palermo è, secondo lui, più aberrante di quella riscontrabile in qualsiasi altra città del mondo.
      Cacchio come mi incacchio.
      Ci era rimasto il sole, il mare ma per certa gente mancu chiddru nn’arristò. Il sole è troppo caldo, il mare è troppo mare(e non ci sono più le mezze stagioni) Ma andatevene tutti, lasciate Palermo a quelli che la amano pur con le sue contraddizioni e le sue “brutture”.
      Gomesio, fammi capire, come può esprimersi uno che non è mai andato a scuola, ne, tanto meno alcun insegnamento ha potuto godere dai genitori, se non in dialetto? per il resto non posso che condividere il tuo post.

    17. @Gomesio: non vedo nessuna vena vena polemica nel suo intervento.Non le piacciono le espressioni dialettali usate nel mio racconto e non lo trova nemmeno originale. Non si può avere la pretesa di piacere a tutti, cercherò di farmene una ragione, ma continuerò a scrivere come sono abituata a fare perchè è una cosa in cui credo e perchè penso che un personaggio come Agostino non potrebbe parlare diversamente. Mi rallegro del fatto che non ce l’abbia con me (ci mancherebbe altro!) e accolgo la critica.Ci penso magari e ci lavoro su.
      @Ninni: è vero avrebbe potuto chiamarsi in qualunque altro modo, ma io un nome glielo dovevo dare e, pur persuasa che, purtroppo, cose del genere accadono pure a Bolzano, io a Palermo ho trovato lo spunto e a Palermo vivo e resto. Per fortuna o purtroppo.

    18. brava Maria!!!!!
      Gomesio: ma di che parli????????
      TU DICI:”””””come se il lettore culto e definitivamente superiore rispetto a queste risibili espressioni (e dico risibili non perchè io sia di questo avviso, bensì sol perchè presentate come tali, con tutta la loro “ignorante ingenuità”)non possa fare altro che sorridere, pur nel sottofondo amarognolo della vicenda””””””””
      L’USO DEL DIALETTO (DATO CHE PARLIAMO TANTO DI ORGOGLIO NEI CONFRONTI DELLA NOSTRA SICILIANITà) SECONDO ME SERVE A FAR SCATTARE UN SENSO DI MATERNITà O COMUNQUE FORTE SOLIDARIETà NEI CONFRONTI DI UN RAGAZZO CHE HA UN TRISTE VISSUTO DEL GENERE.
      SECONDO ME è ASSOLUTAMENTE OFFENSIVA LA TUA INTERPRETAZIONE, MA QUALE SENSO DI SUPERIORITà SI PUò PROVARE DI FRONTE AD UNA STORIA DEL GENERE?????????
      PERCHè è MERITO NOSTRO SE SIAMO NATI IN UNA FAMIGLIA PIUTTOSTO CHE IN UN’ALTRA??????????
      C’è COMPIACIMENTO NELL’ESSERE CIò CHE SIAMO DI FRONTE AD UNA SITUAZIONE DEL GENERE???????
      L’USO DEL DIALETTO è ASSOLUTAMENTE MARGINALE IN RIFERIMENTO AL CONTENUTO!
      IO RESTO ALLIBITA!!!!!!

    19. secondo me Gomesio ha la collezione completa degli scritti di Camilleri e non ha mai capito chi è il colpevole…
      come detto più sopra da Ninni, come parlerebbe uno che non ha finito la scuola media, qualunque sia la sua residenza? Si esprimerebbe con il modo di dire tipico della sua città, con il “loquere loci” (ci vorrebbe il corsivo così i lettori culti ne gioiscono).
      La storia di Maria è la storia di una persona che subisce sulla propria pelle lo schifo, l’ignoranza e il marciume della società.
      Poco importa se sia Agostino da Palermo o Brambilla Fumagalli da Milano…

    20. Valentina usare il maiuscolo in questo modo equivale a urlare.

    21. Quoto Gomesio,il ricorso continuo al dialetto per me è irritante.

    22. quando ero solo io a scriverlo che questo continuo ricorrere al dialetto autocompiacendosi era (e resta) un esercizio di stile ripugnante tutti mi andavate contro. ora finalmente cominciate ad aprire gli occhi

    23. Rosalio che ne diresti di mettere la Cubito in quarantena?? tra rutti (vederi scritti passati) e espressioni dialettali mi ha parecchio stufato

    24. Sapientone credo che siano altri da mettere in quarantena.

    25. e quindi??

    26. @ Ninni: uno che non è mai davvero andato a scuola e si è formato in un ambiente popolare (e, in questo caso, artigiano-cittadino) credo proprio che anzitutto non imposterebbe in questi termini un discorso del genere, probabilmente farebbe tutto il discorso in dialetto (che non sarebbe dunque in lui presente in brani lunghi poche parole, per giunta sparse lungo il ragionamento, come residui di un qualcosa che non è più vivo).
      @ vale: mi faccia capire.. dice che il senso di divertità superiorità non scatta, ma allo stesso tempo afferma che quel che scatta è, in fondo, un senso di affettuosa maternità scaturito dalle triste sorti del ragazzo.. e che cosa è questo “senso materno” se non un inconscio atteggiamento paternalistico? Atteggiamenti simili nei confronti del “popolare” (e anche delle popolazioni extra-europee) venivano condannati già almeno un secolo fa (pur trascinandosi, come tuttavia si vede, ancora ai giorni nostri)

    27. Caro Sapientone, ma chi ti da il diritto di chiedere la “sospensione” della Signora Cubito dalle pagine di Rosalio? Come hai avuto modo di vedere sia in questo suo ultimo post sia nei precedenti, i commenti dei lettori sono nella quasi totalità molto positivi. Fattene una ragione: i racconti di Maria Cubito piacciono ai lettori di Rosalio. Le critiche possono essere uno stimolo a migliorarsi; chiedere di mettere in quarantena una autrice è invece un atto di arroganza.

    28. 🙂

    29. ma si, rinneghiamo pure il dialetto, anzi distorciamone pure l’inflessione, “senzamaddriu” (Dio ce ne scansi e liberi) qualcuno dovesse intuire che siamo palermitani, chi bbriùoagna.

    30. @ Ninni: se il suo ultimo intervento è riferito al mio precedente, allora devo dedurre che o non mi sono spiegato io o lei non ha capito nulla di quello che ho detto..

    31. @Gomesio:
      Come deduzione non credo esistano altre alternative, una prevederebbe una Sua defaiance nell’esporre il concetto, l’altra una mia difficoltà nel comprenderlo.
      Il mio post non era comunque rivolto a quanto da Lei scritto ma a coloro i quali, in genere, disdegnano il dialetto. (non capisco perchè dialogando su un blog come questo ci si debba interscambiare il pronome in terza persona)

    32. Gomesio: credo che lei faccia un pò di confusione, il sentimento materno equivale a superiorità?????
      semmai è solidarietà, compassione (nel senso greco del termine), immedesimazione ma mai superiorità, nè rimprovero(paternalistico come lo intende lei).
      questi sono i sentimenti che prova una mamma verso un figlio.
      non c’è nessun giudizio (come nel caso in cui uno si senta superiore), nè pregiudizio.

    33. @ vale: mi dispiace, ma devo invitarla a consultare il vocabolario più vicino.. il paternalismo non ha nulla a che fare col rimprovero. per paternalismo si intende quell’atteggiamento che prevede uno slancio di altruismo e benevolenza nei confronti di un soggetto di cui si è stabilita a priori l’inferiorità (di qualsiasi tipo); lo slancio di altruismo e benevolenza scaturisce appunto dalla pacifica consapevolezza di questa inferiorità (logicamente, si tratta di inferiorità presunta, ma soprattutto giudicata in un’ottica quantomeno ignorante), inferiorità che rende il soggetto che ne è il portatore come meritevole di compassione (e per compassione leggasi: -metaforicamente parlando- pacche e carezze dietro le orecchie, come si fa con i cani randagi), sulla base di una sicura superiorità intellettuale di chi appunto viene mosso a compassione, il quale spesso non solo guarda dall’alto in basso (seppur bonariamente) il “compassionevole”, ma per giunta ne ignora ogni qualsiasi profondità intellettuale, dando per scontato che l’unico modo di pensare, gli unici valori culturali e persino l’uso della stessa logica siano quelli da lui posseduti e che non ne possano esistere altri.

    34. innanzi tutto io ho parlato di atteggiamento materno e a questo punto invito lei a consultare il vocabolario per vedere cosa significhi.
      per quanto riguarda il mio riferimento al termine paternale la invito a rileggere quanto sopra!
      tutte le sue altre illazioni (anche in merito a ciò che penso io) sono frutto di un pregiudizio che secondo me le pone un ostacolo alla comprensione del vero significato del post.
      posso anche sbagliarmi per carità, io posso sapere con certezza solo ciò che penso io!

    35. Pur non vivendo a Palermo da parecchi anni, continuo a pensare e spesso ad esprimermi in casa in dialetto palermitano e spesso pure incarcato. Quando scendo a Palermo lo parlo con la scioltezza di sempre e non me ne sono mai vergognato, anzi, è per me motivo di orgoglio. Eppure ho conseguito con successo la Maturità Classica nel Liceo più “titolato” di Palermo, l’Umberto. Ovviamente nelle situazioni che lo richiedono mi esprimo in italiano, credo corretto,ma mi è capitato di comporre poesie in sardo campidanese, pubblicate da siti autorevoli locali. Per motivi professionali mi esprimo spesso in francese, spagnolo ed inglese. Non mi sento superiore a nessuno e credo che Agostino non sia inferiore ad alcuno. Si esprime con i mezzi e gli strumenti lessicali che possiede e se questi sono limitati certo non possiamo fargliene una colpa. Maria Cubito, che definisco eccezionale nel suo modo di raccontare, ha raccontato, con notevole ma scientifico sforzo a calarsi nel modo di comunicare di Agostino. Jaques Prevert comunicava e ancora comunica attraverso le sue opere nell’ espressioni a lui congeniali, frutto di studi e interiorizzazioni. Agostino può comunicare “solo” così. Per quello che ha studiato e per quello che ha interiorizzato. Plauso a Maria e se a qualcuno non “piace” come racconta il mio consiglio è televisivo : cambi canale e legga altro.
      Sic et simpliciter.
      Giuanni

    36. Toccante, come sempre.

    37. bravissima come sempre!!!!!!!!

    38. Leggo solo adesso il post… e rimango senza parole, con un nodo alla gola… Non perché sia stupita, né colpita dall'”originalità” (!?) ma semplicemente perché, seppur una storia come tante, comunque tocca la mia sensibilità di donna, di madre, di moglie, di fidanzata, di compagna, di amica, di essere umano… Tutte le polemiche che ho letto sull’uso del dialetto mi sembrano assolutamente fuori luogo… Proust, come Balzac, sebbene non scrivessero testi “popolari” e di facile lettura per il grande pubblico, risultarono “grandi” per aver saputo adattare il linguaggio ad ogni personaggio, insomma mettevano in occa ad ognuno il giusto “idioma”, secondo la propria estrazione sociale, il livello culturale, ecc.

    39. Scusate, mi è saltata una consonante: in “bocca” e non “occa”, naturalmente…

    40. Brava Maria,
      qualcuno dovrebbe solo imparare semplicemente a leggere senza troppa dietrologia.

    41. grazie!

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