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venerdì 19 apr
  • Costruzione del consenso

    Sono stato testimone, nei vent’anni in cui ho lavorato nel mondo delle banche e dei servizi finanziari e – ancor prima – come figlio di dirigente bancario, di una significativa rivoluzione culturale. Ricordo, da ragazzino, che una sera mio padre si scandalizzò di una pubblicità a Carosello della Banca di Roma: era la prima volta che un’istituzione seriosa come la banca anni ’60 scendeva allo stesso livello di comunicazione dei produttori/venditori dei più banali generi di consumo. Chi lavorava in quel mondo aveva una consapevolezza del ruolo istituzionale della banca e della sua essenziale funzione economica e sociale. D’altra parte, i testi di economia insegnavano che il reddito delle famiglie si divideva in consumi, investimenti e risparmi, ma, evidentemente, non potendo pensare di spingere molto oltre i consumi di una società neoconsumista, ma risparmiatrice per tradizione, si è trasformato lo stesso risparmio in un prodotto di largo…consumo, pubblicizzato alla stregua dei pannolini e dei detersivi.

    Il marketing era entrato nell’attività bancaria.

    Qualcosa di simile, a mio avviso, è avvenuto anche nel mondo della politica: a quella politica grave e seriosa delle “tribune politiche” condotte in TV da Jader Jacobelli, è subentrata, negli anni ’80, la politica dall’immagine accattivante, personalizzata dal politico-prodotto e promossa, da Bettino Craxi e ancor più poi da Silvio Berlusconi, con efficace tecnica comunicativa.

    Il marketing era entrato nella politica.

    Inconsapevolmente, tranne che per i tecnici, si è però passati dal parlare alla razionalità al comunicare prevalentemente all’emotività delle persone.

    In un mercato finanziario dominato dalla razionalità e da una corretta informazione, i prodotti finanziari più collocati dovrebbero semplicemente essere quelli con le performance migliori: e invece lo sono quelli promossi con la maggiore spinta commerciale, con le più raffinate tecniche di vendita, con la maggiore suggestione pubblicitaria, quasi indipendentemente dai risultati!

    Nella politica fatta mercato, il consenso si costruisce, non lo si raccoglie, attraverso tecniche di comunicazione: dal look personale a come si muove la testa davanti alle telecamere in un dibattito televisivo, a come si dice ciò che la massa, il ventre molle della società, vuol sentirsi dire (meno tasse, anticomunismo, libertà (senza responsabilità), ecc.) fregandosene del parere degli intellettuali che, democraticamente parlando, non contano.

    Trovo un singolare parallelismo tra due uomini, peraltro amici di vecchia data nonché soci, primi attori l’uno del marketing nel mondo dei servizi finanziari come l’altro della politica: Ennio Doris e Silvio Berlusconi. I video linkati ai loro nomi cosa vi portano a pensare visto la rilevante presenza di palermitani nei due eventi ripresi?

    Palermo
  • 3 commenti a “Costruzione del consenso”

    1. Una parola: collusione.

    2. Donato, il tuo post è interessante, molto interessante! Pero’ lo rovini col finale da maestrino, dove peraltro mi sembra di intuire una leggera insinuazione, come spesso ti capita rivolta ai palermitani.
      Invece io affermo, per esperienza diretta, che i pecoroni sprovveduti soggetti al marketing fatto solo di apparenza e superficialità, e gli altrettanto sprovveduti clienti delle banche ai quali si “vendono” prodotti irrilevanti utili solo alle banche che poi sanno bene come usare quel denaro e moltiplicarlo, ebbene ce ne sono dappertutto, in tutta Italia e in tutti gli altri Paesi europei.
      Detto questo, i metodi dei due individui che hai linkato, secondo me funzionano principalmente con due categorie di persone, da una parte, il marketing, persone che lo subiranno il metodo, dall’altra complici del mercimonio e della pseudo-politica affaristica. Ma sono metodi elementare e direi pure STUPIDINI, mancano di fantasia persino, usano frasi e battute banali, e questo è sconcertante perché vuol dire che questi individui sono convinti di avere a che fare con popoli pecoroni. Io non parlerei nemmeno di Méthode Coué o altri metodi di auto convincimento, né di metodi di persuasione, perché ripeto, da una parte si rivolgono a gente non informata quindi sprovveduta ( allora si tratta piuttosto di malvagità ) e dall’altra è semplicemente in atto il mercimonio praticato da gente ipocrita che si riunisce facendo finta di condividere idee quando, invece, sanno benissimo che stanno insieme solo per trarne vantaggi, il mercimonio; stessa consapevolezza da parte di chi li vota, perché quelli che li votano sono perfettamente coscienti cher lo stanno facendo per interesse e non gliene frega un tubo delle battute di berlusconi, anche se fanno finta di ridere e di credere alle fesserie che racconta. Conclusione: in entrambi i casi non parlerei di veri metodi di comunicazione, in quanto dietro ci stanno intenti malvagi condivisi ( nel mercimonio politico ), e intenti altrettanto malvagi laddove si raccontano favole a gente disinformata, troppo facile quindi, altro che marketing!

    3. Condivido quello che ha detto Gigi. Anche se non sono così sicuro che tutti i seguaci di SB lo facciano per “mercimonio”, in altre parole per puro calcolo di interessi.

      Si tratta ovviamente una componente forte del suo consenso. Ma credo che ci sia qualcosa di più, legato all’identificazione in un personaggio che appare avere il potere magico di risolvere problemi molto complessi con ricette molto semplici. E uno degli ingredienti di questa componente dell’identificazione è stata il possesso del mezzo televisivo.

      Per tornare ai video: dopo averli guardati ho amaramente constatato che il modello vincente di organizzazione (sia politica che commerciale) è al momento quello in cui la comunicazione è unidirezionale, dall’alto verso il basso. E tutti i “recettori” di questa comunicazione ne sono felici, perché non hanno proprio nulla da comunicare se non, solo con la propria presenza, il totale abbandono nella guida del Capo.

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