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mercoledì 24 apr
  • La partita di pallone

    Non sono mai stato un appassionato di calcio, lo sono stato per così dire “per interposta persona”. Ho giocato comunque qualche partitella su insistenza di compagni di scuola, amici o parenti. Quando ero bambino gli appassionati organizzatori erano i miei cugini. Mi ricordo, devo dire con nostalgia, la partita della domenica pomeriggio in spiaggia, in pieno agosto. L’orario era stabilito da precise regole, le cinque del pomeriggio. Sia per avere il tempo di smaltire la doverosa “pasta col forno e le uova ciorose”, sia per avere la libertà, concessa dai nostri genitori, di poter fare il bagno che ci avrebbe scrollato di dosso la sabbia, accumulata durante la partita. Sabbia che ci ritrovavamo più che altro tra i capelli, fra i denti e dentro il costume. Questo significava dunque, far trascorrere le canoniche tre ore precise dopo l’ultimo pezzettino di pesca ingerito. Sui tempi di digestione del gelato, come voi tutti ben sapete,le teorie erano e sono ancora oggi le più disparate. Noi, per sì e per no, lo rimandavamo al dopo-partita con relativo moviolone.

    Ci incontravamo tutti alle cinque meno un quarto al bar che stava sulla spiaggia, nello spiazzo li davanti si sarebbe poi tenuta la partita di rito. Già ai tempi esisteva una certa democrazia e larghezza di vedute e orizzonti, in fondo eravamo figli del dopo ’68, ragion per cui le squadre venivano rimescolate ogni domenica. Il criterio di selezione dei giocatori era “la conta”, in pratica le primarie del nostro PD (Partitone Domenicale). I due più grandicelli si piazzavano uno di fronte all’altro, e “tocco io tocchi tu” si spartivano i giocatori. Era un po’ come il calciomercato insomma. Per ultimo si sorteggiava l’eventuale rimasto senza ingaggio, volgarmente chiamato ” ‘nsalata “, in quanto esclusivamente elemento di contorno totalmente sacrificabile. Praticamente quello che oggi si chiama allenatore. Un’altra figura importante di quei pomeriggi era il bagnino. Alla prima pallonata che arrivava alla nonna di turno, appennicata davanti al bagnasciuga, questi minacciava il taglio del pallone, ma noi ce la cavavamo in genere con un rimprovero oppure, in casi più gravi, con il sequestro per un paio d’ore del corpo del reato (il pallone intendo, non la nonna). Questo grazie all’eloquenza, alla parlantina e alla faccia tosta di un nostro compagno di gioco, di cui ricordo nettamente una vaga somiglianza a Dario Argento. Un personaggio che invece non esisteva era l’arbitro, non ci serviva. Le regole del gioco le conoscevamo o le inventavamo all’occorrenza. L’arbitro in mezzo al campo sarebbe stato solo un intralcio, eravamo in grado di decidere da soli le punizioni, le ammonizioni e le espulsioni. Un po’ come oggi…beh lasciamo perdere…

    Ai nostri giorni, nelle partitelle a calcetto con gli amici, i meccanismi e i personaggi non sono molto diversi. Un personaggio ancora attuale è quello che si porta via la palla. Sì…la palla…
    Fin da bambini uno importante era il possessore di pallone (Super Santos, Super Tele e via dicendo). Lui aveva un potere particolare, si poteva giocava grazie alla “sua” palla, ed era perciò intoccabile. Se gli attribuivi un fallo, un fuori gioco, una minchiata qualsiasi, c’era il pericolo che si incazzasse e si portasse via la palla. Un arma di ricatto insomma. L’alternativa era fare la colletta e comprare un’altro Super Santos, e 5000 lire nel ’80 erano una cifra.

    Ebbene ho appena rivisto questa scena a Termini Imerese. Marchionne dice che i suoi avversari gli fanno ostruzionismo, pertanto non vuole più giocare ed esce dalla partita. Però, siccome il pallone è il suo se lo porta a casa. Piccolo particolare, dimentica che buona parte del pallone – la Fiat – lo ha acquistato grazie a diversi ecoincentivi statali negli ultimi anni, e grazie a diversi anni di sistematico utilizzo della CIG, pagata dall’INPS.
    La Fiat s.p.a infatti, con l’utilizzo trentennale e mirato della Cassa Integrazione, ha sistematicamente riversato una discreta parte del suo costo del lavoro sugli italiani, e sistematicamente aumentato i guadagni della proprietà, dei soci e dei suoi dirigenti.
    È evidentemente necessaria un’azione forte e incisiva sulla questione da parte del Governo, la sola indignazione non produce soluzioni e lavoro. La Fiat dovrebbe restituire il maltolto, non certo distribuire dividendi. Che paghino la crisi anche le grandi aziende e le loro dirigenze, non solo gli impiegati, gli operai e le piccole e medie imprese oneste, che non possono contare sugli stessi aiuti da parte dello Stato.

    Ospiti
  • 8 commenti a “La partita di pallone”

    1. Il paragone tra la partita domenicale giovanile e quella che invece si sta tentando di giocare a Termini Imerese mi sembra un pò forzato ma condivisibile.
      Concordo però nella singolare coincidenza dell’assenza, in entrambi i casi, dell’arbitro.
      Non credo che, allo stato attuale, il governo abbia gli strumenti adatti per “convincere” la Fiat a restare: semmai può tentare di farle cedere lo stabilimento, nella sua integrità produttiva, ad altri.

    2. Gaetanus, ottimo pezzo, complimenti!

    3. Il lungo preambolo e lo stesso titolo fuorviano l’attenzione del tema di attualita’,e certamente di grande interesse, che viene accennato alla fine del post
      e cioe’ la situazione drammatica dello stabilimento Fiat
      di Termini Imerese,una delle poche realta’ industriali
      presenti in Sicilia,regione di 5 milioni di abitanti,
      che non puo’ non avere un’industria metalmeccanica.
      Un’indotto disperso che genera elevati costi di trasporto e fa levitare i costi di produzione,credo che stiano alla base del problema,assieme alla tentazione
      di delocalizzare in paesi che offrono mano d’opera ad un terzo dei costi che si hanno in Italia.
      Quest’ultimo punto credo che costituisca il problema piu’ difficile da superare.
      In quanto ai dividendi del titolo azionario Fiat,non
      bisogna dimenticare che c’e’ un’azionariato diffuso
      che appena 2 anni fa ha comprato azioni a 24 euro
      dando un segnale di fiducia e sostegno all’azienda
      ed oggi si ritrova un titolo a 10 euro,
      per non parlare di quanti ne sono usciti a marzo 2009
      col titolo a 3,5 euro perdendo in sostanza il 90%
      del capitale investito.
      Di queste persone che non hanno fatto solo chiacchiere,ma ci hanno messo dentro la Fiat i loro risparmi,ne vogliamo parlare?

    4. Giorgio,
      l’ho accennato proprio per provocare il dibattito.
      La questione, affrontata profondamente richiede più di un post. Un trattato direi.
      Mi ero avventurato nel calcolo delle giornate di Cassa Integrazione usufruite dal gruppo, dal ’86 in poi. Al ’94 mi sono stancato. Mi è venuto ribrezzo a leggere di CIG a Melfi e contemporaneamente richiesta di lavoro straordinario e di sabato in altri stabilimenti, dove si produceva il modello del momento. E’ possibile che in seguito concluda la ricerca, vi farò sapere.
      Il problema del valore dei titoli. Altro argomento serio, altro trattato. Non vale solo per Fiat, ma per la quasi totalità delle aziende quotate in borsa. I corsi di oggi sono più reali. I corsi passati truffe a carico dei risparmiatori, ma è il mercato che funziona così, in quel caso drogato. Qualcuno ha capito che era più facile prendere soldi dal mercato che dalle banche, e lo ha fatto. Compra a poco vendi a molto, fai cadere il prezzo e ricominci il ciclo. Sono sempre i piccoli che perdono, raramente i Fondi che muovono grosse masse di denaro (vedi Parmalat e c.).

      L’accenno non voleva essere superficialità, ma solo spunto di riflessione.

    5. Tanus
      il Post va benissimo.
      Fra la sorte dei dipendenti Fiat e quella degli azionisti da parco buoi,credo che il dibattito
      dovrebbe prioritariamente riguardare i dipendenti.
      Auguriamoci che anche da qualche commento qui ,
      possa venire uno spunto per qualcosa di positivo.

    6. Io vorrei solo che questi “imprenditori” si assumessero le loro responsabilità, invece di scaricarle sui più deboli. Per non parlare di quelli che prendono premi milionari per tagliare teste e chiudere imprese.
      I piccoli mettono mano al loro portafoglio per salvare l’azienza di famiglia, non vedo perchè i grandi non debbano rinunciare a qualche utile. Si deve trovare la giusta misura.
      Purtroppo la mentalità del braccino corto la fà da padrone.

    7. A fine 2009 l’indebitamento netto industriale del gruppo Fiat si è attestato a 4,4 miliardi di euro, in diminuzione di 1,5 miliardi rispetto a fine 2008.
      L’anno si e’ chiuso con una perdita di 0,8 m.di.

    8. Dario cosa ti è successo ?

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