Quando uno arriva in quest’isola, una delle prime cose che scopre è che di Sicilie ce ne sono almeno due, vale a dire la parte orientale e la parte occidentale. Poi capisce che due città concentrano nel loro carattere le differenze più sostanziali di queste realtà regionali. Perché non possiamo dimenticare che le città, nonostante la loro anima sia esclusivamente urbana, sono nate intorno a un luogo, a uno spazio, a un paesaggio naturale e originario. Penso che molti di noi siano del parere che la posizione determini tanto la fisionomia quanto l’indole dei posti, così come certamente il carattere dei loro abitanti. Perciò tra Palermo che guarda verso Nord e Catania che si volta verso Est, già da questo semplice fatto che ha a che vedere con l’orientamento, sia lo scopo per il quale sono nate e le spinge a muoversi in uno o nell’altro modo, sia la maniera di essere di ognuna di esse, dicevamo che già da questo semplice fatto per forza devono essere ambedue città completamente diverse. Quella meta che diversamente e certo in modo inconsapevole si sono proposte di raggiungere fin dall’inizio, quel punto d’arrivo che anche se lontano, indistinto e sicuramente irraggiungibile non smette di attrarle, fa sì che i loro movimenti e le loro articolazioni si svolgano in maniera diversa e talvolta addirittura opposta.
Il senso di tutto ciò – e questo vale per tutte le città significative – sembra riecheggiare misteriosamente nei nomi. E non mi riferisco tanto, o non soltanto, al significato etimologico di un toponimo, ma più semplicemente all’immaginario diverso che evocano in ognuno di noi. Nel caso in questione, per esempio, a me che non sono di queste parti, il suono di Palermo da sempre mi richiamava alla mente un luogo dove la storia si raccoglie in un accumulo disordinato di strati, che fittamente ne conservavano la memoria. Continua »
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