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venerdì 26 apr
  • Palermitani in vacanza

    «Papà andiamo in piscina?».
    Questa è stata la parola d’ordine durante la breve vacanza per il ponte della festa della Repubblica.
    Stavamo in piscina dalla mattina alla sera, ma evidentemente non era sufficiente. Havana me lo chiedeva perfino in piena notte quando si svegliava per far pipì.

    Domenica mattina il rito della spalmata della crema solare è scandito dalla voce di Moreno che, come fosse una mitraglietta, mi chiede: «Ancora ce ne devi mettere papà?».
    E mentre spalmo noto un gruppo di persone che attira la mia attenzione.
    Sono una ventina tra uomini e donne, pieni d’oro e tatuaggi, e sembrano appartenere ad una estinta tribù di Maya dello Yucatan o ad una di Maori della Polinesia.

    Gli uomini hanno tutti le sopracciglia rifatte, le donne le unghie variopinte e decorate di strass.
    Comunicano per lo più a gesti o emettendo suoni gutturali, agitando le braccia e spesso mostrandosi a vicenda il dito medio.
    In seguito scoprirò che sono indigeni siciliani, palermitanissimi e più precisamente della Zisa.

    Non hanno alcun pudore. Sembrano incapaci di capire che intorno c’è altra gente e che ci sono anche dei bambini.
    Il capo clan sta al centro: è un energumeno con un’anguria al posto della pancia, capelli neri lunghi fino alle spalle, unti e liscissimi, e un paio d’occhiali da sole con lenti arancioni.
    Sul braccio destro ha un grosso tatuaggio che riproduce il volto di una ragazza bellissima che a prima vista sembrerebbe quello di Rihanna. Ma dopo qualche istante capisco che non è così: quell’enorme disegno sulla pelle riproduce invece, con molta fantasia e generosità, la donna che gli sta seduta a fianco.

    «Giovi ma chi stai dicendo?» lo interrompe la donna.
    «Come che sto dicendo, ma siete tutti allallati?» dice Giovi fulminando con gli occhi due ragazzi del gruppo che ridono prendendolo in giro. Poi prosegue: «Ma se avevo detto che pagavo tutte cose io, ma perché non glielo avete detto a’ mamà? Ma quante volte la dobbiamo pagare questa vacanza due volte? Tre volte? Ma se già avevo pagato io perché avete fatto pagare pure a lei?».

    Intanto ‘a mamà, un’anziana donna di circa ottant’anni, sta seduta su una sedia a rotelle tenendo i piedi, gonfi e deformi, ammollo nella piscina dei piccoli.

    Uno degli uomini prende la parola e dice: «Giovi, ma non ce lo puoi andare a spiegare? Ci vai e ciu rici. Abbiamo pagato due volte. Ratemi a lanna».
    «Chisti, su picciuli appizzati Totò. Ormai come lo dimostro? Tu ‘a fai facile. Manco aiu ‘a ricevuta».
    Uno dei ragazzi che prima rideva esclama: «E s’ammuccaro ‘i picciuli!».
    Giovi lo fulmina per la seconda volta, poi la Rihanna dei poveri interviene: «Giovi ormai chi tti custa. Nca va’ parracci».
    «Che mi costa? Già per colpa di qualcuno mi costò» dice Giovi guardando a mamà. Poi conclude: «Comunque amunì gio’. Accompagnami».

    Rihanna si alza dalla sdraio e i due s’avviano verso la reception, ognuno annacandosi a modo proprio.
    A mamà intanto continua il suo pediluvio, mentre io rabbrividisco vedendo Havana e Irene sguazzare nella stessa acqua. Sembra che a mamà abbia lo sguardo assente e che piuttosto che vivere si limiti a tenere in vita quel relitto di corpo che le è rimasto.

    «Facciamogli fare il bagno alla nonna» urla uno dei più giovani del clan e, in men che non si dica, diverse persone l’afferrano – chi a destra, chi a sinistra – la sollevano e con passi stentati la sorreggono, accompagnandola per una breve passeggiata in acqua.
    Neanche Ciprì e Maresco avrebbero osato tanto.

    «Chissà che show ci sarà fra poco in reception» penso io dispiaciuto per non poter assistere a quello che combinerà Giovi, ed invece Moreno mi dice: «Papà, voglio giocare a minigolf!».
    «Allora andiamo alla reception a prendere le mazze» gli rispondo io come se non aspettassi altro.

    Entro nella reception e trovo tanta gente. Io e Giovi siamo a turno dietro ad un gruppo di turisti olandesi.
    Rihanna è rimasta fuori.
    Finalmente è il turno di Giovi, sembra imbarazzato, ma con estrema cortesia e un tono di voce libero dalla raucedine che aveva fino a pochi secondi prima dice: «Mi scusi signorina, a che ora è che ce ne dobbiamo andare domani?».
    «Entro le 11» risponde sorridendo l’addetta alla reception.
    «Grazie».

    Giovi esce ed io e Moreno, con mazze e pallina per il minigolf, gli camminiamo dietro.
    Rihanna è lì fuori ad aspettarlo con una faccia che è tutta un programma. Ormai la vacanza è andata storta.

    «Amunì» le intima lui con voce nuovamente rauca.
    «Comu Finìu?».
    «A Schifìu finìu».
    «Ma chi ti rissi?».
    «S’ammuccaru i picciuli».
    «Ora ci parru io».
    Giovi l’afferra con forza per un braccio e le dice: «Ti rissi amunì. Ca già mi siddiò».
    Rihanna s’arrende e lo segue.
    I due camminano sconsolati, poi lei lo ferma e dice: «Comunque non ti preoccupare che già avevo parlato c’a mamà e dice che sti picciuli te li ridà lei».

    Giovi non dice niente, ma dentro di sé sorride e pensa: «E m’ammuccavo sti picciuli».

    Ospiti
  • 6 commenti a “Palermitani in vacanza”

    1. L’unica cosa che guasta il racconto, che si presume inventato, è che la voce narrante abbia una figlia di nome Havana, cosa che immediatamente lo ri-accomuna, agli occhi del lettore, al gruppo di persone dalle quali la stessa voce narrante cerca di prendere le distanze…

    2. Mi e’ piaciuto soprattutto il dialogo tra il protagonista e la sua bella, sig. Gaspare, perche’ mi ha ricordato certe atmosfere palermitane veraci. Ma l’eleganza nel comportamento non e’ appannaggio solo di alcuni abitanti della Zisa.
      Infatti, anche qui non e’ per niente difficile veder giovani donne con minigonne che coprono solo sino all’ombelico, ciglia chilometriche e scarpe rigorosamente tacco 12 o piu’.
      Oppure baldi giovani senza un centimetro quadrato della loro pelle libero da tatuaggi alla guida di auto dai vetri oscurati e dai motori pompati, e pure dotate di ciclopici subwoofers che inondano le strade di “unz..unz.unz..”.

    3. Rihanna dei poveri e’ tratteggiata meglio di un volto femminile in una miniatura di Goya. Che era uno che se la spirugghiava. Un affresco divertente e amaramente vero. Complimenti.

    4. Isaia l’unica cosa che guasta il racconto che si presume inventata…invece è vera. Mia figlia si chiama davvero Havana 🙂
      Gigi grazie 🙂 .
      David è vero che “tutto il mondo e paese”. Nel prossimo raccontino che ho intenzione di inviare a Rosalio credo che riuscirò a descrivere una situazione decisamente più palermitana. E considerando la stagione, ambientata rigorosamente a mare. 🙂
      Alessia cose che capitano nelle migliori piscine. Grazie. 🙂

    5. Gaspare complimenti!!! Hai dipinto con dovizia di particolari uno spaccato di vita che rispecchia contesti palermitani molto “folkloristici”. Divertente lo sviluppo della narrazione e i dialoghi dei personaggi.

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