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giovedì 28 mar
  • Nel (nostro) Paese delle Meraviglie

    Nel racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie la graziosa e curiosa protagonista non ha paura di inseguire un coniglio nella sua tana e cade letteralmente in un mondo sotterraneo fatto di illogicità, paradossi e assurdità in cui nulla sembra avere un senso: i soldati hanno il corpo costituito da carte da ramino di picche, le rose bianche vengono dipinte con della vernice rossa, nelle partite a croquet si utilizzano gli istrici come palle e i fenicotteri come mazze e, naturalmente, il vincitore è solamente uno: la Regina di Cuori. Rossa come il sangue, la passione e la collera ed in grado di giudicare con un solo mezzo: il taglio delle teste. In Italia a volte capita che qualche soggetto, avanzando nelle sue inchieste anche di tipo giornalistico, finisca in un mondo del genere dove tutto è il contrario di tutto, la legge vale solo per alcuni soggetti e i garanti tendono a trasformarsi in crudeli giustizieri. Per certi versi (o quasi) questo è ciò che è accaduto a Pino Maniaci, giornalista e direttore di Telejato, che da circa vent’anni con le sue puntuali inchieste porta avanti una battaglia contro l’illegalità e la mafia senza alcun tipo di compromesso scagliandosi contro boss mafiosi, imprenditori e politici per denunciarne gli sporchi traffici, in una terra dove osare solo pensare di contrapporsi al sistema e addirittura denunciarlo equivale a firmare la propria condanna a morte. Ebbene il giornalista siciliano, che insieme a Lirio Abbate si è meritato l’inserimento nella lista dei 100 eroi mondiali dell’informazione di Reporters sans frontieres e che conserva più di 200 querele ed una serie infinita di intimidazioni, oggi si ritroverebbe iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di estorsione. È il quotidiano La Repubblica a indicare le ipotesi di reato formulate a carico del giornalista, il quale avrebbe preteso denaro e assunzioni dai sindaci di Partinico e Borgetto, assicurando loro un trattamento di favore da parte della sua emittente. Il direttore della tv antimafia, si legge ancora su La Repubblica, sarebbe stato più volte ascoltato e intercettato dai Carabinieri nell’ambito di altre indagini e dalle conversazioni intercettate sarebbe emerso che il Maniaci avrebbe ottenuto finanziamenti sotto forma di pubblicità per la sua emittente televisiva dai due primi cittadini che, interrogati da Carabinieri e magistrati, avrebbero poi fatto delle ammissioni.

    In questa vicenda non si può non sottolineare l’alto grado di perplessità che emerge dall’ipotesi di accusa di estorsione. Innanzitutto, l’accusa in questione è di notevole gravità e in quanto tale dovrà essere precisata e avvalorata da fatti concreti sui quali sarà la magistratura a dover far luce. In secondo luogo, appare alquanto “strano” che il direttore di una piccola tv locale abbia “estorto” denaro a due sindaci nei confronti dei quali, secondo quanto dichiarato dallo stesso Maniaci, non sarebbe stata adottata alcuna linea morbida ma, al contrario, sarebbero stati diversi i servizi giornalistici messi in onda dalla stessa emittente contro la mala gestione amministrativa. Inoltre, la Presidenza del consiglio di Borgetto avrebbe querelato Telejato per diffamazione e il sindaco si sarebbe costituito parte civile contro lo stesso giornalista. E come se non bastasse, anche l’ipotesi delle assunzioni risulterebbe priva di veridicità posto che la famiglia di Maniaci sarebbe disoccupata. Tra l’altro, da un punto di vista strettamente tecnico, il giornalista non avrebbe ricevuto alcun avviso di garanzia. Ora, posto che la fase delle indagini preliminari è di per sé una fase in cui esistono precise esigenze di segretezza che giustificano, a garanzia del corretto prosieguo delle stesse, la non conoscibilità all’indagato degli atti che vengono compiuti, è altresì vero che qualora fosse necessario compiere atti per cui è richiesta la presenza del difensore sorge a carico del PM l’obbligo di notificare all’indagato il cosiddetto avviso di garanzia, attraverso cui lo si informa che nei suoi confronti si stanno svolgendo delle indagini in relazione ad un fatto previsto come reato e lo si invita a nominare un difensore di fiducia. Quindi, se l’indagine a carico del giornalista esiste davvero e l’avviso in questione non è stato da lui ricevuto, è chiaro che qualcuno all’interno della Procura di Palermo o tra gli investigatori avrebbe commesso il reato di rivelazione del segreto d’ufficio. Un altro elemento che permette di avere dubbi e perplessità su questa vicenda è strettamente legato ad una delle ultime inchieste giornalistiche condotte da Pino Maniaci: quella che ha portato alla luce i giochi sporchi di un’antimafia ammantata di parole che sino a quel momento aveva gestito allegramente i beni confiscati alla mafia. Denunce precise a seguito delle quali sono finiti sotto inchiesta l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, chiamata a rispondere di corruzione e abuso d’ufficio, e altri tre magistrati insieme all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, tutti complici di un sistema di favoritismi e benefici, tessuto all’ombra della gestione dei beni sequestrati a Cosa nostra. Ebbene, la dottoressa Saguto è stata beccata in una intercettazione telefonica mentre interloquiva con l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, indagata per concussione. «Che tempi abbiamo per Telejato?» chiedeva l’ex prefetto, e la Saguto prontamente rispondeva: «Ha le ore contate». Inoltre, come già sottolineato da Maniaci, l’avvocato Cappellano Seminara ha querelato per stalking e non per diffamazione il giornalista: vedi caso, per raccogliere le prove del reato di stalking è consentito disporre le intercettazioni telefoniche, mentre non è consentito per quello di diffamazione. Vuoi vedere che questa volta a voler mettere fuori gioco il direttore di Telejato non è Cosa nostra ma quella parte di antimafia “risentita” dalle conseguenze dell’inchiesta giornalistica?

    Tuttavia, non possiamo fare a meno di ammettere il sospetto che Pino Maniaci sia caduto letteralmente in quel mondo dove tutto è in contrario di tutto diventando vittima di una vera e propria ritorsione; d’altro canto nel (nostro) Paese delle Meraviglie non sarebbe di certo la prima volta che la repressione del giornalismo d’inchiesta avviene attraverso l’utilizzo di strumenti apparentemente leciti. Qualche esempio? Due nomi leader nell’informazione antimafia: Attilio Bolzoni e Saverio Lodato. I due cronisti vennero arrestati nell’88 con l’accusa pesantissima di peculato per aver pubblicato le rivelazioni di mafia e politica del pentito Antonio Calderone, considerate dal procuratore della Repubblica alla stregua di un bene di proprietà statale. Scarcerati sette giorni dopo dal Tribunale della Libertà, rimasero sotto inchiesta per quasi tre anni e nella sentenza che chiudeva la vicenda il giudice Grillo scriveva che il reato di peculato non poteva configurarsi, e dunque i due cronisti non dovevano finire in carcere. Secondo quanto riportato dallo stesso Lodato, a far scattare l’operazione sarebbero stati l’eurodeputato democristiano Salvo Lima e il deputato repubblicano Aristide Gunnella, chiamati in causa dal pentito Calderone per i rapporti con ambienti mafiosi.

    È quindi ipotizzabile che nel (nostro) Paese delle Meraviglie un giornalista che ha permesso di smantellare un sistema di favoritismi o di collusioni con ambienti mafiosi finisca nel mirino della procura. È ipotizzabile quando si parla di un Paese in cui l’informazione inerente certi argomenti, per certe testate ed emittenti televisive, deve essere taciuta. E guarda caso sono argomenti che presuppongono sempre almeno due parti, una delle quali è puntualmente un’istituzione e l’altra è legata ad ambienti poco raccomandabili, e l’oggetto è quasi sempre lo stesso: affari illeciti. Attenzione, abbiamo anche delle eccezioni “particolari” alla regola del “non se ne deve parlare”. Infatti, nel (nostro) Paese delle Meraviglie accade anche che il figlio di uno dei più sanguinari killer di mafia pubblichi un libro e venga invitato a prender posto sulla poltrona del sig. Bruno Vespa per pubblicizzarlo e per negare sostanzialmente l’esistenza della mafia. Accade pure che, a seguito delle polemiche sollevate da quei quattro cittadini che come la coraggiosa Alice si permettono di dissentire alla Grande Madre, il sig. Vespa si premuri a mandare in onda una puntata riparatrice dedicata alla lotta contro la criminalità e a e chi alle battaglie contro le mafie ha dedicato la propria esistenza; una puntata la cui presenza e intervista di e a certi ospiti può essere riassunta con un detto siciliano: «’Na manu lava l’autra e tutti e dui lavanu ‘a facci».

    Ora, pensieri a parte, la vicenda che riguarda Pino Maniaci resta tutta da chiarire. Anzitutto bisognerà capire se l’indagine esista o meno. Nel primo caso, sarà opportuno indagare se sia davvero configurabile il reato di rivelazione del segreto d’ufficio e soprattutto a carico di chi, oltre il compimento delle necessarie indagini per l’accertamento dei fatti che vengono contestati allo stesso Maniaci. Nel caso in cui l’indagine invece non esista e si tratti dunque di una bufala, bisognerà capire chi abbia avuto interesse a calunniare il giornalista e per quale motivo. In entrambi i casi, ci affidiamo serenamente alla magistratura affinché sia essa stessa a rompere il silenzio e a chiarire come stanno realmente le cose, augurandoci che il sig. Maniaci non sia davvero caduto nel paradossale mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie.

    Palermo, Sicilia
  • Un commento a “Nel (nostro) Paese delle Meraviglie”

    1. Ecco, speriamo veramente che il sig Pino Maniaci non sia caduto in quello che sarebbe l’ennesimo paradosso di mafia e “antimafia” .
      Già…. Speriamo….

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