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venerdì 19 apr
  • Il miracolo di Santa Rosalia tradotto in 13 lingue

    Siamo in A.

    Siamo ancora in A.

    Non ci posso credere. Eppure siAmo Ancora in A.

    Allo stadio c’erano tutti. Dal commissario al sacrestano. Avvistata anche Santa Rosalia.

    Io i biglietti non li ho trovati, dall’alto della mia presunzione ho pensato

    «Se vabbe’. Li troooovooooo…».

    Ma quando mai.

    Ho visto la partita e non ho sofferto. Penso di essere entrato in coma vigile al primo minuto, scongelandomi appositamente per ognuno dei tre goal.

    Tre.

    Dico una banalità: non poteva esserci epilogo migliore.
    Ne dico un’altra: sono contento che abbia segnato Maresca.
    L’ultima e poi basta: Zamparini mai più. Mai. Più.

    Abbiamo segnato una tripletta. Intendo noi, tutti.

    Attaccati allo schermo o allo stadio. Con il cuore al posto della giugulare a gridare e correre verso la panchina. Una panchina su cui non ci siederemo più.

    Grazie Palermo.

    Da un po’ a casa nostra aleggiava uno spirito buono. Quello del calcio.
    Fatto di nervi, sudore e cuore. Di gioco vero: di fronte al quale le bandiere vengono ammainate e si riconosce il valore degli avversari. (Con i pensieri di uno stadio, di una città a volare alto e ricoprire di immaginati abbracci i nostri campioni.)

    Come San Siro che saluta Totti. Come San Paolo che inneggia il Pipita. Come Ibra che fa stampare sulle maglie dei figli “King” e Legend” e se li porta a spasso per lo stadio.
    Per un attimo siamo anche noi il motore di questo sport, e Rispoli prende una standing ovation uscendo dal campo.

    Solo la santuzza ci poteva. E in effetti quando oggi dal profilo ufficiale di Maresca è partito il tweet che annunciava il pellegrinaggio di parte della squadra verso Monte Pellegrino, una parte di me – non lo nego – ha pensato «Aaahhh, ceeertooo… Come ho fatto a non pensarci! Avevano chiesto il miracolo a Santa Rosaliaaaa».

    E un’altra serie di A che non vi sto qui a dire.

    Fra i pellegrini anche Pippo Gonzales: per lui al moneto non ci può manco Medjugorje, ma non glielo diciamo.

    Vasquez disegna una traiettoria inenarrabile. Nervi e goniometro saldi e quegli occhi che finalmente brillano di rosa.

    Giocano a calcio per cento minuti e fanno quello che si fa quando si gioca a calcio: le minchiate.

    Sono i cinque minuti più lunghi della storia, quelli in cui dopo il primo goal del Verona, sull’1-1, siamo retrocessi. Il tempo si ferma: all’altezza dello sterno non riesce a stanare nemmeno un sospiro.

    Sono sul divano con i miei amici e non riesco neanche a dirlo che potrebbe finire così.
    Con 35.000 persone allo stadio.

    Ma entra in scena Enzo Maresca.
    Dico il suo nome e cognome un’infinità di volte dopo il suo goal, gli occhi bagnati dal film che mi sta scorrendo davanti: lo stanno girando dentro l’area piccola, lato Curva Sud, allo stadio Renzo Barbera.
    Il protagonista ha vinto 15 titoli fra Italia e Spagna e quest’anno è stato messo più volte fuori rosa, ricevendo attacchi diretti dalla dirigenza.
    Ma come per tutti gli eroi che si rispettino gli ostacoli devono essere tanti, il cammino impervio e l’acchianata per Montepellegrino in salita.

    Mentre sta per buttare la palla dentro, mentre sta per sfiorarla come fa un cavaliere porgendo un fazzoletto di seta alla propria dama, ancora non lo sa Enzo Maresca, non lo sa, che di li a poco prenderà una corsa infinita, andrà incontro alla storia rosanero. A metterci la firma una volta per tutte.

    Concludo nel migliore dei modi. Con una polemica. Anche oggi.
    Anche adesso che sono felice e senza voce. Anche dopo “avercela fatta”. Perché il senso dell’impresa resterà negli occhi, nelle urla di questo Alberto Gilardino e di Stefano Sorrentino, ma da domani potremmo di nuovo essere una squadra abbandonata agli umori della dirigenza, quindi mettetevi comodi perché mi farò scudo dietro la paraculata maxima della “critica costruttiva”.

    Ma è un caso che a risollevare le sorti della squadra sia stato uno zoccolo duro di giocatori che “parlano la stessa lingua”?

    No, scusate. Togliete le virgolette, non è una metafora. Mi riferisco proprio al “parla come mangi”.

    Di nuovo le virgolette. Camurrìa.

    È un caso che la coesione sia scattata proprio fra persone che avevano la possibilità di capirsi, spiegarsi, di comunicare e magari crescere insieme?

    Perché, mettendo da parte quelle retoriche, la domanda è: a Via del Fante, a inizio stagione, sono arrivati 13 interpreti per una rosa di giocatori di 13 nazionalità diverse?

    Styrka Palermo Någonsin!

    Palermo
  • Un commento a “Il miracolo di Santa Rosalia tradotto in 13 lingue”

    1. Massimo rispetto per il tifo genuino dell’autore del post, ma tifare per la putia di tale zamparino, un parvenu un po’ cinico un po’ rozzo nei comportamenti, in particolare nel suo disprezzo dei tifosi finanziatori e delle ragioni della loro passione – che porta a finanziare il fu Palermo calcio – un mercante che utilizza gli stessi crismi dei colonizzatori, sfruttatori delle risorse locali, che relegano i cittadini locali a utili-idioti consumatori, ebbene, continuare a tifare per la putia di chi fa uso privato, esclusivo, di un bene comune e rappresentativo, è un po’ da fessi.
      Lo scrivo da ex innamorato del rosanero, quando rappresentava valori sociali morali affettivi.
      La Maglia ? Meglio esporla nel proprio salone e ammirarla; usurpata da zamparino l’affarista è solo un tessuto svuotato di tutti i suoi valori.

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