Quando uno ha davanti a sé una faccia, una facciata, una scena (mi riferisco rispettivamente all’abitante, all’abitazione, all’abitudine, cioè a tutto quello che costituisce una dimostrazione di vita, come accade e viene rappresentata in ogni città del mondo), e poi riesce a conoscere da dietro quello che esse nascondono, da una parte si produce una situazione di perplessità in conseguenza del risultato ottenuto – uno si dice: “Mi sono ingannato” -, dall’altra il mistero che si era creato all’inizio pure crolla e quello che era diventato enigmatico dentro la tua mente scompare, come tanti bei palazzi di Palermo che sono pericolanti, fermi, vuoti e ne conservano soltanto la carcassa. Siccome uno nella sua esistenza vive tra tante cose pure di impressioni, al primo approccio sia la vostra città che voi tutti sembrate veri, naturali, autentici, originali. Poi, mano a mano che uno vi conosce gli sovviene l’idea che tutto sia finto e di essere capitato in un grande melodramma. Ma, più tardi, con il tempo uno arriva alla conclusione che soltanto può essere così, che è l’unica realtà possibile in questo luogo. Una realtà dove il palermitano mai potrà essere una persona semplice, tanto all’interno come di fuori. Egli ha bisogno di uno strumento enorme per compiere la sua vera funzione: apparire. E per fare questo si deve travestire con grande sfoggio perché non si basta da solo, non sa mostrarsi nudo, elementare. Forse si potrebbe affermare che due fiumi paralleli scorrono in ogni abitante di questa città, uno dentro e un altro all’esterno, ma che quello che conta è il corso di fuori, cioè il rumore che fa l’acqua che invisibile fluisce all’interno. Continua »
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