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martedì 19 mar
  • 11 giugno 1984

    Esiste un giorno, un mese, un anno in cui la politica è finita? Per me sì.

    Io me lo ricordo il giorno in cui è finita, me lo ricordo come se fosse ora; ero ragazzo ed avevo due passioni, il calcio e la politica.

    Ero innamorato pazzo del Palermo, se mi tagliavano le vene usciva sangue rosanero, e fu allo stadio che conobbi la politica.

    C’era un gruppetto di ultras che si chiamava Commandos Aquile, erano di sinistra, qualcuno mi spiegò che erano comunisti, cominciai a chiedermi cosa fosse il comunismo fui costretto a leggere per documentarmi e qui cominciò l’altra mia grande passione: leggere.

    L’idea che mi feci a quel tempo era banale, insomma il comunismo era che se io avevo una cosa ed un mio amico non ce l’aveva me la dovevo dividere con lui; mi resi subito conto che la storiella funzionava se ero io a dovermi privare della tal cosa, ma non mi scoraggiai convinto come ero che quegli altri egoisti fossero i nostri nemici, i democristiani.

    Ma fu mio padre a darmi la spinta decisiva, terrorizzato dall’idea di avere un figlio tifoso del Palermo e comunista per giunta mi consigliò di tifare Juve e votare Dc, insomma voleva che fossi un vincente.

    Per il semplice fatto che lui si sia espresso così io intrapresi imperterrito la via del comunismo rosanero; se volete che i vostri figli facciano qualcosa non chiedeteglielo, faranno l’esatto contrario.

    Me li ricordo quei giorni, ero un ragazzo degli anni ottanta ed uscivo con gli amici la sera e Palermo mi sembrava bella come una sposina il giorno delle nozze col suo carico di speranze che sempre tali sarebbe rimasto.

    Mi informavo con la televisione, cominciavo ad essere esperto di politica; un giorno spiegai a mio padre che cos’era la scala mobile.

    «Papà, se aumenta l’inflazione e quindi il prezzo delle cose, con la scala mobile il tuo stipendio viene adeguato e quindi non perdi in potere d’acquisto».

    Mio padre mi guardava strano era intimamente convinto che essendo comunista ero anche drogato e potenzialmente terrorista.

    «Ma a tia sti minchiati cu ti cunta?» diceva ed io mi arrabbiavo.

    «Papà non sono minchiate, le dice Berlinguer il nostro capo, lui difende la scala mobile contro quel cornuto di Craxi che la vuole togliere».

    Nel mio armadio avevo i poster di Berlinguer e De Rosa appizzati, per mio padre la mia stanza era una specie di centrale nucleare radioattiva.

    Fu in quei giorni che in televisione trasmisero in diretta il congresso del Partito Socialista Italiano, Berlinguer era ospite d’onore e fu fischiato sonoramente da tutti quei galantuomini col garofano in mano; lo ricoprirono d’insulti gli gridarono dietro buffone, venduto, sceeemooo, sceeemooo, sceeemooo.

    Lui come un signore rimase una roccia, non rispose alle offese; lo amavo sempre più.

    Bettino Craxi non provò nemmeno a scusarsi, disse che non si era unito ai fischi solo perché non sapeva fischiare; di quell’altro, quello con le orecchie a sventolo non voglio nemmeno parlare.

    Poi venne quel giorno, quello in cui tutto finì, era l’11 giugno 1984 il Palermo quel giorno giocava contro il Monza e doveva vincere per salvarsi; io andai allo stadio sicurissimo che ce l’avremmo fatta, che il supermegaeccezionale Palermo non poteva finire in serie C.

    Ed invece pur vincendo ci finì lo stesso, l’Empoli aveva vinto in trasferta; arrivai a casa come un cane bastonato fu mio padre a darmi la notizia.

    Nel preciso istante in cui il Palermo finiva per la prima volta in serie C moriva Enrico Berlinguer, era la fine del Palermo e del comunismo, insomma la fine della mia vita, quella parte di vita in cui ero ragazzo e nel giro di poche ore mi sono ritrovato a non esserlo più.
    La radiazione dai ranghi federali dei rosanero e la caduta del muro di Berlino mi colsero preparato, ero già un uomo, avevo già capito che il calcio e la politica in fondo erano la stessa cosa: una presa per il culo.

    E si arriva ai giorni nostri, ne è passata acqua sotto i ponti; avevo un marmocchio in casa che è diventato un ragazzo e che ha cominciato a masticare di calcio e di politica, si è affezionato a quegli stessi colori di cui io mi innamorai da ragazzo e gli ispirava simpatia quel ragazzo dalla faccia pulita che un passo dopo l’altro stava scalando posizioni su posizioni.

    Anche mio figlio ha avuto il suo 11 giugno, il giorno in cui per lui la politica è finita; ma voi ve lo immaginate Berlinguer candidato a sindaco della Democrazia Cristiana?

    Dove siamo finiti, io mi sento uno straniero in casa mia, un esule, un vagabondo non mi riconosco più in niente e nessuno.

    Chiamatemi Ismaele.

    Palermo
  • 2 commenti a “11 giugno 1984”

    1. Bella storia,sul serio mi è piaciuta molto,anche se non mi piace vedere politica allo stadio ma a quei tempi la politica era ovunque e allo stadio ancora persiste ma molto meno.
      Per esempio ho ricordi del Palermo in C quando lo stadio si chiamava “Favorita”.Mi portava mio fratello più grande,eravamo piccoli e ricordo che nell’incoscienza dei ragazzini che eravamo,guardavamo la partita in curva Nord con i “Warriors” e non immaginavamo nemmeno che quello era uno dei gruppi più “agguerriti” e politicizzati;A noi bastava vedere la partita e basta,gridare e cantare.
      PS: 3.000 lire per un cornetto Algida

    2. Unica nota, che toglie nulla al trentennale ricordo, la partita fu il giorno prima.

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