Lo “sgarro di madre”
Ritorno a parlare ancora di sicilianità o di sicilitudine, per dirla con l’illustre compaesano Camilleri, per indagarne un altro tratto distintivo: l’orgoglio, quella fierezza che ci distingue in mezzo a coloro che siciliani non sono, quella sorta di leggera superiorità mista sempre ad un’innata diffidenza, molto ben celata dietro la nostra proverbiale “ospitalità”, dietro il nostro “calore” mediterraneo, quello che abitualmente è definito con il termine onore.
Il siciliano sperimenta fin dall’età scolare la sacralità di questa parola e impara presto a difenderla, sopra ogni cosa.
Tutto nasce da anni di “pratica” come insegnante di lettere in una scuola media cosiddetta “a rischio” (a rischio di che, poi? Dato che la suddetta è ubicata nel quartiere dove gradevolmente vivo da trent’anni)…Quella è un’età difficile in cui, dicono, le ragazze crescono molto in fretta (questo argomento merita un discorso a parte che mi riservo di trattare al più presto) mentre i ragazzi sono un po’ più acerbi, si sparano le pose, si danno arie…Quindi un po’ per dimostrare di essere navigati, un po’ perché in mezzo alle parolacce ci vivono davvero, iniziano fin dalla prima classe, (certo non a settembre, ma posso affermare che già a Natale hanno affinato le necessarie proprietà dialettiche) ad esercitarsi con offese e sfotticchiamenti vari ai danni degli altri compagni, così tanto per dimostrare che sono cresciuti. Si parte con innocuo “si cretino” a cui segue immancabilmente la risposta “to ma’” (forma poetica sincopata per “tua madre”), la cui replica è ovviamente “tooo ma’” e a quel punto due sono le possibili soluzioni al cosiddetto “sgarro di madre”:
- Il perseguitato che subisce l’onta decide di farsi giustizia da sé, con aggressione verbale (che comprende tutti gli immaginabili “acchitemmuorto” fino alla settima generazione del compagno, con iterazione di “to ma’, to pa’, to no’,to’ zi’” e via discorrendo) o fisica, e lì giù calci, pugni, mozzichi, sputi, matite in un occhio, ogni arma si rivela lecita per lavare l’onta dell’offesa alla rispettabile genitrice (perché se per gli italiani la mamma è sempre la mamma, a maggior ragione lo è per i siciliani, anzi talvolta qui assume connotati mistici, tipo la Madonna).
- Il perseguitato va dal professore o dalla professoressa di turno a denunciare l’accaduto pretendendo giustizia e, normalmente, con sguardo di brace dichiara “proffessore’ u me compagno sgarrò di madre”. Al che dietro la richiesta di spiegazioni del docente, il pupillo aggiunge solitamente strabuzzando gli occhi “Prufissu’ dice palore di mia madre!”.
E di fronte a cotanta accusa il professore non può far altro (scorrendo, invano, in mente i tomi di pedagogia ingoiati all’università) che tentare di spiegare che è inutile prendersela se la mamma offesa in realtà è una santa donna, che non importa, che è meglio lasciar correre, perché chi si abbassa a simili scurrilità non merita la nostra considerazione… Ma l’esperienza decennale mi ha tristemente insegnato che tutto passa, ma lo sgarro di madre non si perdona, perché colpisce nell’onore e quindi, in base all’autorità del prof. di turno, l’alunno offeso calerà la testa, ma solo fino allo squillo della campanella, perché mentre l’incauto e fiducioso educatore avrà distolto lo sguardo dai duellanti, l’oltraggiato avrà pronunciato tra i denti le minacciose parole “t’aspetto all’uscita”….e questo, tutti sanno, cosa significa.
eheheh, no la giusta frase é “Nni viriemu ‘ a nisciuta ! ! ! “
Conosco mooooolto bene questi adorabili infanti siculi di cui sopra e mi permetto di aggiungere che, dopo lo sgarro di madre, quello che brucia di più è quella “di soru” e così via per tutte le componenti “femmine” della famiglia fino alla settima generazione, esaurite le quali (allora e solo allora) si può passare ai maschi (padre, fratelli, nonni, zii, ecc…)
Mi pare che lo sgarro di madre o di soru sia ben nota anche oltralpe vista la craniata ricevuta da Materazzi!!!!
Sono d’accordo con “albi”: tale “sgarro” viene commesso ovunque, e ovunque suscita le medesime reazioni. Non dimentichiamoci che nel mondo anglosassone “motherf***er” è la peggiore offesa che ci sia. (Il “f***er” in questione viene incriminato di avere rapporti con la propria madre, non certo con quella altrui!) Anch’io sono siciliano ma non mi identifico affatto con i cliché che anche e soprattutto il caro Camilleri contribuisce a mettere in giro. Mah! Comunque, il tutto risulta molto pittoresco e la (ri)scrittura delle forme sincopate è riuscita a strapparmi più di un sorriso. Auguri per la continuazione del tuo lavoro (missione?) di insegnante!
Grazie di tutti gli arricchimenti e i contributi…è vero lo “sgarro” ai familiari non ha nazionalità!;-)
Quanto ai clichè…certi sono duri a morire. Purtroppo.
Alla fine credo che la madre o sorella quasi non c’entrino. Che sia solo un modo di stabilire territorialità e gerarchie. La madre, la sorella, la zia, e tutta la settima generazione, alla fine sono solo un pretesto.
O penso male?
E’ vero, Teresa, sono d’accoro con te…è un po’ marcare il territorio, imporsi.