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venerdì 4 ott
  • Ammuccati puru chissu

    Bisogna avere compassione di un portiere di calcio. Bisogna avere pietà della sua fragilità intrinseca. La leggerezza che gli consente di volare da un palo all’altro provoca, nel rovescio della medaglia, scarsezza di peso e mancanza di superficie opponibile ai colpi del destino. Povero portiere, lieve foglia d’albero. I suoi salti sfidano il cielo. Ma disperatamente ricadono nell’autunno della zolla.
    Il mio amico Lillo mi ha raccontato la storia di un portiere più sfigato degli altri. Non fu mai pubblicata tra sport e cronaca. Peccato. Sarebbe stata più utile di un trattato sociologico sui malanni della categoria. Magari avrebbe favorito la nascita di un sindacato di estremi difensori. Di destra e di sinistra, a seconda del lato preferito dai suoi iscritti per il tuffo.
    Il portiere di cui si narra era assai bravo. Approdò in una cittadina di provincia dalle serie superiori. La squadretta locale confidava molto nelle sue prestazioni, però nessuno aveva fatto i conti col barbiere della piazza principale. Era costui – a sentire le malelingue – un nano ingobbito, della schiera rarissima dei gobbi negativi, e malefico. Un portasfortuna di quelli che azzannano le caviglie di un disgraziato, per non lasciarle mai. E gli piacevano le donne più alte di lui. Qui la trama si fa un po’ incerta. Secondo le fonti, portiere e barbiere si invaghirono della medesima lei. Il guardapali ebbe successo sul rivale che giurò vendetta, tremenda vendetta. Non ci furono sacrifici umani, né potenze canine evocate dall’inferno, né strani rituali compiuti al chiaro di luna. Il sortilegio era semplice, ma funzionava immancabilmente. Ogni domenica, in casa e in trasferta, il barbiere si posizionava dietro la rete del portiere, a braccia conserte. Passavano lentissimi i minuti. A un certo momento della partita, il nano iettatore urlava: “Ora t’ammucchi puru chissu” (ora ti becchi pure questo per gli italiani di passaggio). Pochi istanti dopo l’infausta profezia, il portiere prendeva gol. Sempre. Segnature rocambolesche, di nuca, di gluteo, di orecchio. Palloni innocui, sospinti da un alito di vento stregato, diventavano imparabili. La squadretta del paese languiva in fondo alla classifica, avvinta alla maledizione del suo primo guardiano. I dirigenti le tentarono tutte. Prima cercarono di blandire il barbiere con offerte di ogni tipo. Poi gli impedirono tassativamente l’ingresso allo stadio e meno che mai in campo. Ma il latore della maledizione, non si sa come, sbucava in ogni occasione. Si piazzava dietro la rete: “Ora t’ammucchi puru chissu”. Gol.
    Il portiere cadde in depressione. Cominciò a perdere i capelli. L’allenatore lo scrutava preoccupato. Il secondo guardiano era un benzinaio cinquantenne, ghiotto di cassatine alla ricotta, non precisamente adatto all’emergenza e al volo. Il fuoriclasse di un tempo singhiozzava perfino durante gli allenamenti. Ormai aveva paura del pallone. L’allenatore tremava. E venne il giorno dello spareggio per la salvezza.
    Il primo tiro uscì dal nulla dopo due minuti. Lui mosse un braccio quasi per caso. E parò. Al quarto d’ora il centravanti colpì di testa verso l’incrocio. Un balzo. Una smanacciata. Angolo. Forse era solo un colpo di fortuna, tuttavia quando col piede riuscì a togliere il pallone dalla rete, il portiere sentì di essere tornato grande. Si guardò in giro, circospetto. Il cattivissimo gnomo con la gobba, la sua stella opaca, non si vedeva, era a letto con la tonsillite. Questo, almeno, avevano riferito le spie della società. In sua assenza, il sortilegio non avrebbe avuto effetto, nella domenica della rinascita.
    Fu un’inutile pioggia di palloni per tutti i novanta minuti. Il portiere sembrava un angelo con le ali truccate. Schiaffeggiava. Respingeva. Si accartocciava sulla sfera e la portava al petto con la tenerezza di un padre, rendendola docile. Gli avversari rabbiosi non riuscivano a passare. Alla squadretta di quella cittadina di provincia sarebbe bastato un pareggio sudatissimo. Mancava un minuto. Punizione da quaranta metri. Il campione ritrovato fischiettava con tranquillità. Nessuno avrebbe violato il suo regno.
    Infine lo vide, perché avrebbe riconosciuto la sua gobba pure in mezzo a centomila cammelli. E si sentì morire. Il numero uno redento adocchiò il barbiere nano con un gran fazzolettone rosso intorno alla gola, mentre si arrampicava sulle tribunette, tra la gente. Scorse il luccichio del suo sguardo iettatorio. Istintivamente, per il riflesso di una legittima e disperata difesa, portò le mani alle orecchie per non sentire la formula tremenda: “Ora t’ammucchi puru chissu”. Nel frattempo, gli altri segnarono.
    Il barbiere si mise a fare capriole come un matto. Non aveva nemmeno un filo di voce per la tonsillite. Stavolta non avrebbe potuto mormorare la sua maledizione. Non ce ne sarebbe stato bisogno. Il portiere si era distratto sul più bello, fregato dalla paura che non gli aveva permesso di ascoltare il silenzio. Gol. Ancora un gol. La povera squadretta retrocesse. E poi?
    Forse il portiere è finito in una portineria. Compila schedine e rimugina sulla donna di una notte che gli procurò un nemico così potente da stroncargli la carriera. Il barbiere, invece, è rimasto al suo posto. Sempre lì, a tagliare capelli e regolare pizzetti. Ogni tanto, sulle note di Yellow Submarine canticchia a mezza bocca: “Ora t’ammucchi puru chissu”. Nessuno sa esattamente cosa voglia dire.

    Ospiti
  • 8 commenti a “Ammuccati puru chissu”

    1. è la storia di nicola santoni?????

    2. No, è la storia di un portiere della provincia di Palermo.

    3. Bella questa storia, Roberto 😀
      A maggior ragione per me che quattro volte a settimana “difendo” i pali per scalcinate compagini di amici e conoscenti, ormai ci ho preso parecchio gusto. Un saluto a te (purtroppo ci siamo visti “al volo” l’altro giorno vicino al palazzo di giustizia, mi sarebbe piaciuto fare due chiacchiere con calma) e alla community del blog, vi leggo da un po’ con gran piacere ma è il mio primo post a parte una foto di barche a Mondello.
      Andrea

    4. Io difendevo, prima di essere bloccato da una vertebra ballerina. Viva la solidarietà di categoria

    5. Quando la categoria chiama, gli iscritti corrono. Durante i miei anni all’Einstein mi si conosceva piu’ per quello che urlavo che per quello che paravo.
      Il portiere e’ un ruolo di vita. Solo contro tutti, a volte anche contro gli stessi compagni di squadra.
      Solo chi ha vissuto la solitudine tra due pali sa capire quanto possa avere provato il portiere del racconto.

      Cordialmente

    6. Caro Roberto,
      le emozioni che mi hai trasmesso con questo tuo post, haitè, non hanno raggiunto i livelli dei precedenti tuoi articoli. Ma come al solito sei riuscito a trasmettere sempre una nuova emozione.
      Ho provato ad intonare Yellow Submarine con le parole del barbiere e devo dire che suona benissimo.
      Ho continuato a canticchiare, rivolgendomi al mio collega di scrivania e ……. funziona davvero.
      Le cose sono due. Ho porto, anch’io sfiga. Ho il motivetto con quelle parole ha un suo potere intrinseco.
      Sapato sera proverò ad intonarlo nei confronti di Peruzzi….. chissà.

      ti abbraccio

      Gigione

    7. Chiedo scusa per i due Ho in successione, trattasi di un refuso di stampa e poi, ai bambini non si insegna che la H è muta?
      Vi prego non leggetela….

      Gigione

    8. Roberto,
      i tuoi scritti attivano sempre un qualcosa di speciale.Quasi quasi desidererei chiamarmi Pacchiuni per aver pubblicato qualcosa che mi sta tanto a cuore e che ti ho madato via E-Mail,ma debbo constatare che il mio nick non e tanto carismatico come il tuo e non basta per aver pubblicato un qualcosa di speciale da trasmettere agli altri.Io ci ho provato,ho fatto il mio dovere,qualcuno invece non vede oltre quel muro che il nostro “ego” a innalzato.Perdona questo mio sfogo in questo tuo scritto,ma quando ti lego mi immaggino una grande ala che si sopvrappone sopra il mio essere…

      Turiddu

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