Brancaccio
Brancaccio nasconde un fondale d’ombra, sotto una luminosità intermittente. Inauguravano il busto di padre Pino Puglisi, davanti al centro Padre Nostro. La banda suonava motivetti allegri. Accanto al passaggio a livello della zona, le voci demolivano la festa, nata dal cordoglio. «Puglisi era un parrino tinto», sputò una giovane donna con i lineamenti tesi di rabbia. La vecchia Maria lasciava intravvedere appena uno spicchio di volto impaurito, dalle persiane socchiuse: «Non posso raccontare niente. Altrimenti, mi ammazzano…». Maria aveva un nipote che frequentava quel prete dal sorriso gentile. «Sono cattivi – narrava Maria -. non mi lasciano in pace. Mi hanno bruciato la porta di casa. La mafia è troppo forte qui. Vada via, per favore».
Brancaccio conserva un midollo violento, sotto la pelle della retorica che la intende già redenta. Maurizio Artale, responsabile del centro Padre Nostro, impegnato in una difficile opera di costruzione del bene, è stato minacciato di morte. Ha lanciato il suo appello alle istituzioni contro la pericolosa solitudine che sempre circonda, a Palermo, chi vuole mutare in meglio la natura di qualcosa. Il giorno dopo è ancora più arrabbiato: «Apprezzo gli attestati di solidarietà e stima – dice -. Però sono insufficienti. Chiediamo una maggiore collaborazione, anche delle forze dell’ordine. La questione delle minacce è antica: ci hanno sfasciato il pullmino a più riprese. Una volontaria ha ricevuto un sms del tipo: “Se continui ad andare al centro ti ammazziamo”. Attendevamo una comunicazione del prefetto che non è mai arrivata. Io chiarirò ai nostri volontari quello che possono rischiare, stando qui. E se qualcuno farà la scelta di andarsene, saremo costretti a chiudere alcuni servizi. Lo zoccolo duro continuerà a lavorare. Eroghiamo prestazioni essenziali». Continua »
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