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sabato 20 apr
  • Gli ipocriti

    Non è nella lista dei peccati capitali, non è neanche considerato un peccato a tutti gli effetti. È un vezzo, una necessità quasi. Chiamatelo “cancia bandiera”, o “quaquaraqua”, ma l’ipocrita è una persona che è sempre esistita e sempre esisterà. Sorridiamo quando vorremmo ringhiare, annuiamo quando vorremmo dare una testata, stringiamo mani quando vorremmo utilizzare un coltello. «Si deve lasciare profumo» diceva mia nonna e forse era un modo per inghiottire con ancora più tenacia i bocconi amari. C’è chi lo nasconde meglio degli altri, chi riesce ad ingannare persino lo specchio. Pepè Calafiura era uno di questi.
    Geometra di vecchia scuola riusciva sempre ad essere sorridente. Con i clienti più simpatici ma anche con quelli insopportabili già scaricati da altri suoi colleghi e approdati nell’unico porto franco di Palermo che era il suo piccolo studiolo nel cuore della città vecchia a pochi passi dalle vie intricate di Ballarò. Per giungere nel suo piccolo regno Pepè passava davanti al panellaro «buongiorno – buongiorno», di fianco alla taverna «buongiorno – buongiorno», di fronte al tabacchino «buongiorno – buongiorno», apriva il pesante portone, saliva lungo le ampie e scivolose scale ed entrava nel suo ufficio. Una grande scrivania marrone, un paio di sedie rosse, qualche quadro della Palermo di una volta e un computer. Spento. In realtà non c’era neanche la tastiera. Non c’era nemmeno il computer a guardarlo bene. C’era solo il monitor polveroso e un mouse. Senza pallina. Suo nipote aveva detto «Zio il computer ci vuole, te lo procuro io» e così aveva posteggiato là quella specie di soprammobile. Pepè aveva capito che era più voglia di sbarazzarsi dell’inutile schermo che un moto di generosità da parte del nipote. Anche in questo caso un bel sorriso «grazie – grazie». La mattina si alzava e sorrideva, anche quando si lavava i denti (oddio i pochi che gli erano rimasti, in realtà si dava più da fare per lucidare la dentiera) ma questo non cambiava la sua espressione. Pepè sorrideva sempre.
    Signorino più per scherzo del destino che per decisione consapevole Pepè una volta aveva amato. Lei si chiamava Anna. Aveva degli occhi enormi, pieni di mondo di luce e di colore. Lui si era innamorato di quello. E anche del suo sedere. Comunque non era stato facile farla innamorare di lui a quei tempi Pepè non era come quello che tutti oggi conoscono. Era timido e musone. Era talmente silenzioso e taciturno che Anna la conquistò scrivendo lettere. Abitavano lungo la stessa linea dell’autobus e così quando lui saliva sul mezzo per recarsi dal
    suo maestro, il ragioniere Prizzi, sapeva che l’avrebbe trovata lì, seduta, con il suo cappellino e i guanti con gli occhi che esprimevano gioia ed erano sempre pronti a mangiare fette di realtà. Un piccolo cenno del capo, serissimo, e poi basta. Così per molto tempo. Fino a quando Pepè, un giorno, preso di animo decise di anticipare la sua salita sull’autobus. Corse a perdifiato per oltre due chilometri sperando di salire prima di Anna, giunse per un pelo sopra la vettura, e posò nel posto che ormai era per prassi della donna una lettera dove con poche parole esprimeva la sua ammirazione per la bella Anna. Scese alla fermata dopo, per non incontrarla prematuramente e ricorse con tutta la forza che aveva in corpo fino alla sua postazione abituale proprio di fronte al giardino di mandarini lungo il viale Strasburgo. Trafelato e emozionato salì sulla vettura e quando vide Anna e non vide più la sua lettera riuscì a cogliere un guizzo nuovo nello sguardo della donna che con discrezione ma quasi con maggiore confidenza gli sorrise e gli fece un piccolo cenno del capo per salutarlo. Pepè rispose e il suo muso arquato fino a quel momento all’ingiù iniziò ad avere un moto opposto curvandosi verso l’alto. Così il giorno dopo ripetè il rito. Corsa fino alla fermata precedente, busta, discesa a perdifiato, corsa verso la sua fermata e su di nuovo ad attendere il sorriso di Anna che anche quella volta si ripetè. E per molti giorni dopo. Anche il geometra Prizzi lo vedeva sempre sorridente e gli chiedeva: «Pepè che minchia ci ridi tutto il giorno?». Anche se lo rimproveravano o se sbagliava i conti di un intero condominio e doveva pagare multe salate, lui sorrideva sempre. Una mattina Pepè decise di dichiararsi e nella sua lettera scrisse finalmente il suo desiderio di volersi fidanzare ufficialmente con Anna. Il rito quotidiano si ripetè fino a quando finalmente salì sulla sua vettura. Era così emozionato che il cuore gli arrivava in gola e lo strozzava ma il suo sorriso rimaneva sempre lì stampato sul volto alla ricerca di quegli occhi neri che l’avevano segnato per sempre.
    Anna quel giorno non salì. Non salì neanche il giorno dopo. Né mai. Pepè non smise di sorridere mai più. Continuò la sua vita per come era iniziata. Solo.
    Lavorò sodo, si mise in proprio e acquistò quello studio che oggi era il suo regno tra le vie intricate di Ballarò. Sorrideva sempre. Al panellaro, agli avventori della taverna, al tabacchino. Sorrideva sempre anche se era solo. La sua fama da ipocrita lo precedeva a causa di quel sorrisetto sornione che non lo abbandonava mai. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quel sorriso era l’unico dono che Anna gli aveva lasciato.

    Il racconto è arrivato secondo al concorso Parole in corsa dell’Amat.

    Palermo
  • 10 commenti a “Gli ipocriti”

    1. Fantastico. Ebbrava!

    2. Che Dio ti abbia in gloria fratella, ancora qualcuno che scrive esiste.
      complimenti

    3. Toccati ‘i palle Marialetì

    4. complimenti.

    5. un racconto delicato. complimenti.

    6. @Goku grazie mille e per fortuna esistono ancora galantuomini 🙂
      @totó si u solito!! Ahah
      Grazie a tutti 🙂

    7. è vero, è solo una paginetta,come mi hai detto ieri sera…ma meritevole di lode!
      lodi lodi lodi Leti!

    8. Complimenti, è una chicca!!

    9. il racconto e’ carino.
      pero’ l’ipocrisia e’ ben altra cosa.Il protagonista e’ semmai un ‘ pacioso’ grazie all’amore

    10. Egregi, scusatemi.
      Ma perché solo io, <> Ho partecipato con il racconto <> (www.amat.pa.it/pic2010/visualizza.php) e vi scurdate ì mia?
      Chi veni a diri?.

      Distinti saluti,
      Marcello Scurria (nato a Palermo il 19-11-1956)
      via Terrasanta 92 – 90141 Palermo

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