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martedì 23 apr
  • Quaderno di Palermo 18

    Il mare è un elemento che ha a che vedere con lo spazio infinito e astratto che generosamente concede la terra ferma nella sua impossibilità di inoltrarsi al di là dell’enigmatico orizzonte. Si tratta di un’idea che gli uomini si fanno nel loro instancabile sguardo pieno di speranza e di illusione e anche di una grande e smisurata incertezza. Sì, il mare come un dono che ci hanno consegnato nelle mani, un dono inesauribile di immensità indecisa e oscillante, che nonostante tutto ognuno di noi si sente incapace di raggiungere completamente. Perciò quando uno ce l’ha davanti agli occhi, alla maniera delle onde che senza tregua emanano dal proprio pensiero traboccando sul nostro atteggiamento esistenziale, quando uno ce l’ha di fronte a sé il mare non può fare a meno di rispecchiarsi. E una delle manifestazioni del suo esprimersi è scagliandosi contro il nostro intimo e segreto entroterra, il quale nel suo costante subbuglio riesce attraverso questo contatto, più che a mescolarsi in maniera greggia e sconnessa, consegue ad unirsi ed amalgamarsi per poi poter sgorgare tutta l’acqua ferma accumulata nella memoria immane che hanno lasciato sulla terra tutti gli essere umani che, appunto, hanno preteso di oltrepassare l’ignota linea dell’orizzonte.
    La nostra Palermo fa parte di quelle terre marittime che nel corso di tutta la loro storia non hanno fatto altro che guardare a quello spazio acquoso e aperto come al loro allegorico e indecifrabile genio, il cui cuore viene mangiato da una serpe marina e contemporaneamente aliena. Palermo, città inconcepibile senza quel mare che, da Capo Zafferano fino a Montepellegrino, è stato solcato per secoli e secoli da popoli che venivano da altri orizzonti, portando sicuramente senza saperlo altre memorie che, una dopo l’altra, sono state deposte sulla riva e anche più all’interno, formando col tempo quella sedimentazione caratteristica dei suoi abitanti. Ebbene, se uno ha l’intenzione di sgranchirsi le gambe e di farsi una lunga passeggiata percorrendo il lungomare o semplicemente di affacciarsi sulla sponda che separa i due elementi, nonostante ci siano stati negli ultimi anni degli interventi più o meno riusciti, allora si trova con il desolante spettacolo che tutti noi conosciamo. Perché malgrado il timido intento che c’è stato di risanare quel luogo capitale (va ricordato anche con quanto pessimo gusto), hanno fatto sì che la memoria sia stata non solo ostinatamente cancellata, ma addirittura ostentatamente sfregiata. Come se questo abbandonato mare fosse diventato più un disturbo che un diletto sia per gli occhi, sia per le nostri menti ancora incredule a questo luogo ormai senza posto per il pensiero (non a caso la maggior parte dei palermitani agiscono come se gli avessero voltate le spalle, poiché quando vanno fuori città, lo fanno con lo scopo di ricercarlo altrove, il mare, come se quello onnipresente e consuetudinario che hanno dalla nascita davanti agli occhi non fosse poi lo stesso). Se l’uomo per poter andare avanti e non smettere di rinnovarsi deve riconoscersi, strato per strato, in quei passi che a modo di segni altri hanno tracciato nell’interminabile memoria umana, i luoghi sono serviti da fondamenta per questo sterminato tragitto. Perciò i ricordi assomigliano a quelle pietre angolari che, se da una parte ci sostengono nel nostro costrutto andare, dall’altra vanno conformando quella indecifrabile strada nostra che, come l’immobile mare che abbiamo davanti, ci spinge a proseguire nella sua illusoria scoperta fatta di incertezze e paure, ma anche di sogni e inaccessibili traguardi.

    Incalzamento.

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