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giovedì 7 nov
  • Fondi regionali e Tabella H: chi (ci) vince e chi (ci) perde

    Ci sono polemiche cui i siciliani sono legati. Perché recriminare è un’attività poco faticosa, e se il motivo è ricorrente, si possono pure passare interi anni a mugugnare e a puntare il dito, comodamente seduti al bar sotto casa.
    Sembra che la bufera invernale sulla Tabella H sia un passatempo irrinunciabile. Dietro le vetrate del caffè di fronte al teatro neoclassico, fra una briscola e un tressette nelle piccole società operaie, nelle anguste stanze delle associazioni di volontariato, c’è un momento di fiacca autunnale. Cadono le foglie − ma quando mai?, l’aria si rinfresca − davvero?, riaprono le scuole − quello sì, ancora per poco, forse. Poi, finalmente, arriva l’inverno: l’approvazione del bilancio regionale, le urla in aula, le minacce, le ritrattazioni e le aspre critiche sulle assegnazioni della famosa Tabella H. Cosa sia di preciso, i più non l’hanno proprio chiaro, ma è riassumibile nella vox populi: «Sono soldi che la Regione spreca regalando contributi a pioggia agli amici degli amici che hanno fondazioni pachidermiche, piccole associazioni culturali, scuole di balletto, passioni ippiche, sagre della Pera Decana e varia umanità».
    Un paio di anni fa l’indignazione sembrava aver trovato lenimento con la soppressione ufficiale della Tabella H ed il buon proposito di adozione di criteri rigorosi per l’assegnazione: si disse che − adesso sì!, si sarebbe tenuto conto di norme oggettive nella presentazione della richiesta di fondi ed una speciale commissione avrebbe vigliato con competenza e abnegazione. Anche l’esortazione alla ritrovata integrità (il siciliano lo sa) fa parte dell’opera. Permette un cambio di tono nei commenti rancorosi, un momento di mezzi sorrisi e pacche sulle spalle. A patto che poi si ricominci. E così è stato per l’ormai defunta Tabella H, mostruosamente reincarnatasi dentro nuove spoglie. Non c’è voluto neanche tanto sforzo onomastico: coup de théâtre!, la Tabella H ora si chiama “ex tabella H”! Il proclama, ovviamente, non ha risolto nulla, e i polemici possono tornare a rumoreggiare.
    Chi si indigna ha ragione? In parte. Perché, come nel classico teatro dei pupi, è quando l’intera compagnia scatena la battaglia battendo i piedi e facendo scintillare le spade che è il momento di tirar fuori l’infingardaggine. Nello strepito generale, qualcuno tira la coperta di qua, qualcuno di là, la coperta si strappa, le piume volano intorno e si raccoglie quel che si può. Molti enti rivendicano il loro ruolo nel sociale − e come dire di no?, altri il rinomato prestigio − e come dire di no?, altri hanno dato per scontato che quello che è un contributo sia diventato un vitalizio ed hanno assunto padri di famiglia che ora non si possono buttare per strada − e come dire di no?; altri, infine, quelli della Pera Decana, per dire, si sono avventati sulle piume, hanno ottenuto solo (!) diecimila euro e…come dire di no?
    Alla fine non si capisce nulla, e leggendo l’elenco dei finanziati viene effettivamente un certo sconforto: ci sono sigle che non dicono nulla, nomi altisonanti che, alla lente dell’analisi, nascondono un vuoto avvilente, e poi c’è l’associazione apertamente inutile − ma forse no, la Pera Decana che torna sempre fuori, e che ti fa venire in antipatia persino un frutto di per sé innocuo, anzi delizioso.
    CICERO PRO DOMO SUA. Ecco, questo lo scrivo a caratteri maiuscoli, così è più chiaro. Io sono socio (fra i meno titolati e anagraficamente e scientificamente fra i più giovani), di una delle istituzioni che, grazie ai contributi della Tabella H è riuscita a fare…qualcosina, diciamo. Il Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani è attivo sin dal 1951 e può fregiarsi sia di un passato glorioso che di un presente di grande attività e prestigio. Limitandosi alla sola attività editoriale, basti pensare che nell’ultimo triennio esso ha prodotto opere che segnano tappe fondamentali nella storia culturale della Sicilia e delle regioni mediterranee come la prima edizione critica e commentata della Scuola Poetica Siciliana (tre volumi che hanno avuto la meritata collocazione nella collana de “I Meridiani”); la prima edizione critica delle Rime di Antonio Veneziano, il maggior poeta prima di Giovanni Meli; un’opera enciclopedica in due grossi tomi (Lingue e culture in Sicilia), dedicata particolarmente al mondo della Scuola secondaria e dell’Università in occasione della promozione di corsi per gli insegnanti (L. R. 9/2011); il corpus Artesia, Archivio testuale del siciliano antico; il Vocabolario-atlante della cultura alimentare, modulo dell’Atlante Linguistico della Sicilia; il Vocabolario storico-etimologico del siciliano di Alberto Varvaro, ultima opera del più grande filologo romanzo del Novecento italiano. Accanto all’attività editoriale, il Centro è ormai un punto di riferimento per la ricerca linguistica internazionale, ed ogni anno finanzia borse di ricerca per giovani laureati ed organizza congressi in grado di attrarre studiosi da tutto il mondo.
    Quello che molti non sanno è che un istituto come il Centro (e dunque, come esso, anche tutti gli altri potrebbero − ma è davvero così? sembra di no), ha sempre adoperato ogni singolo contributo ottenuto esclusivamente per prestigiose attività di tipo scientifico: si è scelto di non assumere nessun impiegato a tempo indeterminato consci del fatto di non godere di rendite sicure, pur esistendo da sessantatré anni, anni in cui nessuno dei suoi soci né dei membri del direttivo ha mai percepito un solo euro per la propria attività. Si va avanti esclusivamente grazie alla passione per il patrimonio immateriale siciliano di centinaia di studiosi di tutto il mondo.
    Il fatto che quest’anno il Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani sia stato escluso dalla commissione regionale che si occupa dell’ex tabella H, ha indignato non solo il presidente (Giovanni Ruffino, linguista di fama internazionale, già preside della Facoltà di Lettere di Palermo e Presidente della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana) ed i soci più attivi sul territorio siciliano, raccolti attorno alle tre Università di Palermo, Catania e Messina, ma anche studiosi del calibro di Tullio De Mauro, Gian Luigi Beccaria, Francesco Bruni, Nicoletta Maraschio. Messaggi di solidarietà sono giunti dall’Accademia della Crusca, dall’Accademia dei Lincei e anche dall’estero: da Helsinki a Budapest, da Bristol a Parigi, da Cracovia a Salisburgo, da Gerusalemme a New York. È come se il mondo intero si fosse fermato un istante ad osservare con stupore la miopia dei politici siciliani, chiedendosi se alla radice di tutto debba esserci la cattiva fede o l’ignoranza. E questo sì che dovrebbe farci incazzare. Perché i politici rappresentano tutti noi. E la maggioranza di noi non è ipocrita né ignorante.
    È chiaro che entro nei meriti della Tabella H perché personalmente scosso da un episodio che la riguarda, ma il mio discorso non ha nessun fine rivendicativo, non qui e non ora. Da molti anni il Centro viene penalizzato e poi, dopo aver mostrato l’inoppugnabilità dell’azione condotta e mobilitato lo sdegno del mondo della cultura, è riuscito ad ottenere un finanziamento che sinora gli ha consentito di riuscire a proseguire la propria attività. Non è questo il punto, non importa quello che accadrà quest’anno: è il sistema che non va, è l’umiliazione di dover elemosinare sempre come se si volesse rosicchiare di nascosto da una torta.
    Bisogna cambiare rotta, manifestando un pensiero propositivo e non estemporaneo, partendo dal presupposto che non possiamo immaginare che una regione come la Sicilia, al centro di un bacino culturale tra i più importanti al mondo, possa rinunciare al sostengo di attività che, attraverso la cultura, promuovono la sua immagine nel mondo. Quindi voglio credere, e ne sono certo, che al centro della polemica che ogni anno si rinfocola non ci sia il finanziamento delle attività culturali in sé. Il problema nodale e cruciale, non limitato solo a questo anno e a questa commissione, riguarda le modalità di assegnazione dei fondi.
    Come è possibile che non esista un preciso riferimento normativo alla base di queste assegnazioni? Bisogna immediatamente coprire questo vuoto legislativo, prevedendo una sicura regolarità nei processi di bando, valutazione, assegnazione, erogazione e rendicontazione dei fondi. Un bando chiaro e in linea con gli analoghi presenti sulle piattaforme europee; commissioni d’ambito composte da studiosi altamente qualificati riconosciuti a livello per lo meno nazionale, se necessario da mantenere anonimi sino al termine delle procedure di valutazione; tempi certi per l’erogazione, che permettano di mantenere gli impegni economici assunti e di non indebitarsi; una commissione in grado di valutare analiticamente la rendicontazione, spesa per spesa, secondo il preventivo presentato già in sede di richiesta. Niente di inimmaginabile, anzi, ordinaria amministrazione per il resto del mondo. Ma siamo davvero così priati di stare sempre fuori dal resto del mondo?
    Una delle espressioni preferite dal nostro Presidente Crocetta è “ente mangiasoldi”: a sentirlo parlare, sembrerebbe non dormire la notte all’idea che esistano istituti che lucrano sui finanziamenti regionali. Invece, di quelli che potrebbero costituire un vanto per la sua terra, non dice nulla.
    Ah, già, anche lui è un siciliano, e adesso è inverno; deve prendere parte alla “Polemica sull’ex tabella H”, e fare in modo che non cambi nulla. Se la sagra della Pera Decana dovesse saltare, l’anno prossimo come farà ad indignarsi?

    Ospiti
  • Un commento a “Fondi regionali e Tabella H: chi (ci) vince e chi (ci) perde”

    1. Gentile Michele Burgio, dagli scarsi, anzi, inesistenti commenti che (non) leggo su questo post si capisce che del Centro Studi Filologici Siciliani non importa una beata ceppa né ai politici/amministratori né ai cittadini. Probabilmente il Centro ha vissuto troppo all’ombra di questi finanziamenti, senza aprirsi al mercato e alle sfide economiche di sostenibilità. E certamente non gode di visibilità e non sviluppa nei confronti della gente che gli si avvicina una certa sensazione di “utilità”. Il suo post potrebbe comunque aiutare a rendergli giustizia e a far capire quanto siano utili questi enti, soprattutto quelli sani come il suo. Ma andava scritto 10 anni fa, non adesso. 10 anni fa inoltre sarebbe stato utile per il Centro, così come come per gli altri enti colpiti dalla scure dei tagli, rimodulare la propria governace cercando di unire la cultura al profitto. Rimane comunque una profonda tristezza di fronte a tutta questa cecità.

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