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martedì 16 apr
  • Teatro, ruolo educativo o mero spettacolo?

    «Vano delle scene il diletto ove non miri a prepar l’avvenire», così recita l’iscrizione che dal 1897 campeggia lungo il fregio del Teatro Massimo, il tempio della lirica palermitano. “Le scene”, quindi il teatro nelle sue molteplici forme espressive, dall’opera al teatro di prosa, dal cabaret al teatro popolare, dal balletto ai concerti, ambisce ad espletare un ruolo educativo oltre che ludico e, laddove questo non avvenisse, ecco sopravvenire l’inutilità del teatro stesso inefficace quindi, se incapace di trasmettere valori antichi o moderni ma comunque universali, alla società e alle generazioni che verranno.
    Volto a termine il cartellone del teatro stabile cittadino, teatro che raccoglie un ampio e variegato ventaglio di pubblico, forse più degli altri generi di teatri, tiriamo un po’ le somme attraverso un’umile analisi dei suoi frequentatori più assidui: gli abbonati.
    Essere abbonati presuppone se non una passione verso il teatro, almeno un buon livello di gradimento; se non una soggezione verso l’austerità del luogo, almeno un doveroso rispetto; se non una conoscenza delle opere proposte, almeno la pazienza di assistervi fino alla fine. Purtroppo non tutto è così scontato e talvolta, lo spettacolo può essere più divertente o per meglio dire imbarazzante, in platea piuttosto che sul palco. Iniziamo con il “concerto” di sottofondo: colpi di tosse continui e ripetuti, telefoni squillanti o vibranti, commenti e sonore russate. Memorabile l’intervento di una spettatrice durante una delle repliche de Le voci di dentro, con un brillate Toni Servillo fresco di Oscar, che si permise di “suggerire” al pluripremiato attore, una battuta a voce alta, cosa che lo fece sobbalzare sbigottito per poi chiedere l’approvazione della stessa su quanto avesse appena detto. Flash e display luminosi infrangono l’oscurità della sala anche dietro minaccia degli attori di interrompere lo spettacolo e poi ancora spettatori che battono in ritirata, lamentando a voce alta un’impossibilità a proseguire la visione, quasi a voler giustificare la loro imbarazzante fuga. Abbonati che, in virtù della cifra spesa nell’acquisto dell’abbonamento, pretendono trattamenti di favore, appellandosi ad una presenza perdurata e rinnovata nel tempo, risalente ai tempi di Andrea Biondo, presumibilmente.
    Ecco che dinanzi a simili condotte, fortunatamente non comuni a tutti, il proposito educativo del teatro sembra venir meno, riducendosi ad essere un appuntamento mensile più o meno atteso, vissuto con l’ansia del parcheggio, dell’impegno successivo o del “chi mi darà fastidio questa volta nel MIO palco”. Che duri uno, due o tre ore invece, lo spettacolo andrebbe visto e vissuto senza gettare l’occhio all’orologio o alla pagina di Facebook. Il teatro, è una parentesi di silenzio e riflessione nel caos di ogni giorno; è un viaggio nel passato, nella vita di qualcun altro, nella mente dello sceneggiatore, nelle cose che ci sfuggono e che per poche ore possiamo cogliere nuovamente. È condivisione di spazi, opinioni, risa ed emozioni. È il vicino di poltrona ancora adolescente che si commuove e l’anziano che non storce il naso dinanzi ad una scena di nudo. È una lettura diversa della vita e della società. È un’occasione per vestirsi eleganti ed essere qualcun altro. Ma il teatro è anche l’importo che si è speso per acquistare il biglietto o l’abbonamento, quindi si potrebbe almeno non vanificare il dispendio di denaro, se non si ambisce ad altro.

    Palermo
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