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martedì 19 mar
  • Betlemme anno zero remake

    Betlemme anno zero remake

    Il quartiere nostro? Un quartiere fantasma, ché la malavita ci bagnava il pane.

    I politici della città non sapevano trovarlo manco sulla cartina, si scordavano di venire da noi magari in periodo di elezioni. Camminando per strada gli occhi li dovevi tenere aperti così, ché i pezzi di balconi ti franavano sulla testa – l’edicola votiva della Madonna era diventata il tiro al bersaglio dei ragazzini che si esercitavano con la pistola.

    Così con padre Virgilio ci siamo guardati in faccia, ci siamo detti: qua dobbiamo trovare una soluzione. E così abbiamo deciso di far rinascere da noi Gesù Bambino.

    C’è da premettere che il presepe vivente padre Virgilio lo organizzava da tanti anni, lo faceva là sotto, nella cava di pietra abbandonata dietro la chiesa. Lì in mezzo a colline di calce aveva piantato un gazebo, ci aveva incollato sopra un poco di paglia e così aveva fatto una mangiatoia. Dentro ci piazzava il signor Peppino, un ottantenne col Parkinson che faceva San Giuseppe; un bue e un cavallo, perché di asini non se ne trovavano più; e poi sua sorella Mirabella, una donna un po’ povera di cervello, con la faccia gonfia e il sorriso lavato che io non avevo mai sentito parlare, e che faceva la Madonna. E si può dire che padre Virgilio il presepe lo organizzava per lei, che per tutta la durata della cosa si stringeva al petto con amore sincerissimo il bambolotto che rappresentava Gesù Bambino, se lo cullava e lo baciava ché vedere questo presepe era davvero uno spettacolo commuovente, te ne tornavi a casa col cuore molle come burro scaldato.

    Quell’anno però le cose le avevamo pianificate che manco il lancio dell’Apollo 11. Il nostro presepe doveva essere – padre Virgilio lo ripeteva serio come un atto di dolore – il più spettacolare andato in scena dopo l’anno zero. Avevamo ordinato a un allevatore tre autentiche capre girgentane, con le corna lunghe e arricciate; ci eravamo messi d’accordo con il proprietario di un circo per portarci tre cammelli per il giorno dell’Epifania, avevamo preso un vero venditore di caldarroste e quattro lavandaie grasse con i polsi come cotechini, avevamo affittato dieci oche, venti galline e trenta pecore. Una grande famiglia di zingari che, con la pelle scura al punto giusto e una caterva di bambini, coprivano le posizioni di carbonai e venditori di frittelle. C’era poi Robertina, in arte Maddalena, la prostituta di via Asiago, che ci aveva inquietato per un mese finché non le avevamo trovato un posto dentro una grotta come filatrice. Infine per il ruolo della Madonna avevamo preso Jennifer Esposito, sedicenne con gli occhi turchesi che pareva davvero la Madonna della Catena, che a novembre era entrata nell’ottavo mese di gravidanza, e che secondo i nostri calcoli ci avrebbe dovuto procurare un bel bambino Gesù preciso in tempo per Natale.

    Jennifer pareva che l’aveva messa incinta per davvero lo Spirito Santo; potevi stare a inquietarla per un’ora ma lei mosca – non te lo diceva chi era stato manco se ci aprivi la bocca coi ferri. E a noi questa cosa ci pareva appropriata, ché un eventuale padre di Gesù avrebbe potuto creare qualche imbarazzo. L’accompagnavamo dal dottore, in farmacia, a comprare panni e bavaglini; lei parlava poco e niente; secondo il nostro accordo per quella cosa le dovevamo pagare un corso da estetista professionista e un asilo nido per il bambino in città.
    Il medico delle femmine gravide si era fregato ottantamila lire, ma se il bambino era maschio o femmina non ce lo aveva saputo dire – le aveva fatto i raggi, era stato un’ora a guardare le ombre sullo schermo e poi aveva alzato le spalle: il bambino c’aveva le gambine incrociate e non lasciava vedere niente. Perciò padre Virgilio e io avevamo caricato Jennifer in macchina e l’avevamo portata da donna Serafina. Donna Serafina aveva scoperto la pancia di Jennifer, l’aveva massaggiata con l’olio, ci aveva fatto una croce sopra e poi si era chinata a scrutarle dentro l’ombelico come dalla serratura di una porta, per poi dirci con voce sicura: maschio!
    Là sopra erano dalla nostra parte.

    La cosa doveva succedere la sera della vigilia, dopo la messa. Mentre padre Virgilio celebrava, Jennifer era chiusa nella mangiatoia con la zingara da alcune ore, io stavo dietro la porta e sentivo la zingara che parlava e Jennifer che ogni tanto buttava un grido.

    Avevamo cercato un’ostetrica che si accollasse la cosa, ma ostetriche vere non ne avevamo trovate, solo la zingara, che dimostrava cent’anni, ma che, diceva, aveva fatto nascere più bambini lei che il padreterno – conosceva magari una canzoncina in lingua zingara che spaventava i bambini e li faceva uscire più rapidi di una cacata, zitti zitti e col loro cordoncino ombelicale arrotolato sotto al braccio.

    La zingara ci aveva mandato fuori, non avevo capito bene cosa le voleva fare, una specie di massaggio, una manovra, qualche cosa per far cominciare il travaglio che altrimenti potevamo aspettare magari fino all’otto di gennaio. Io battevo i denti e camminavo avanti e indietro davanti la porta della mangiatoia, mentre attorno a me un Marocchino suonava la cornamusa e un altro urlava che belle che erano le sue caldarroste. Quand’ecco che la zingara aveva affacciato la testa e aveva allargato la faccia in un sorriso senza denti: – Nato bambino.

    Avevo spalancato la porta. L’emozione la potrebbero descrivere solo i pastorelli di Betlemme: l’esplosione di gioia nella pancia, il bambino che strillava steso su un panno bianco, Jennifer ancora con le gambe aperte che cercava di alzarsi sui gomiti, la zingara che saltellava e batteva le mani contenta, la gente del presepe che accorreva e appena vedeva il bambino sbiancava, cadeva in ginocchio a piangere e ringraziare Dio per il miracolo. Avevo mandato il chierichetto a suonare a festa le campane, e la gente arrivava a ondate, la voce che Gesù era rinato nel nostro presepe si spargeva come cerchi in una tinozza d’acqua. Davanti la mangiatoia una folla adorante cresceva e cantava le lodi del Signore. Per dei lunghi minuti il nostro quartiere fu l’ombelico del mondo.

    Com’è che in un minuto la situazione può rivoltarsi, dalla beatitudine altissima e finire a schifìo?

    Ché ancora oggi me la sogno la sorella di padre Virgilio che rompe la folla, si abbassa sul bambino e se lo carica in spalla, per poi scappare per fuori come una gazzella davanti al leone. E la gente che comincia ad agitarsi tipo un formicaio impazzito (hanno rapito Gesù! Il diavolo! Ho visto il diavolo! Gesùùùù!), io che con padre Virgilio corro appresso a donna Mirabella, tutta la notte a cercarla, niente, lei e il bambino pare che se li è inghiottiti la terra.
    E quindi abbiamo dovuto chiamare i carabinieri, la polizia, e magari i vigili del fuoco e ci abbiamo dovuto spiegare tutta la storia per filo e per segno. Li hanno trovati la mattina all’alba seduti su una panchina molto lontano dal nostro quartiere, donna Mirabella aveva avvolto il bambino nei suoi scialli e lo cullava avanti e indietro.

    Ed è stato così che si sono messi in mezzo gli assistenti sociali, che hanno portato donna Mirabella in una casa di cura e il bambino qui alla casa famiglia. Jennifer ha preteso che l’accompagnassimo a vedere suo figlio ogni giorno, e così facciamo ormai da un anno. Dicono che appena finisce il corso di estetista e trova un lavoro le permettono di portarselo a casa. Viene pure tanta altra gente a vedere il piccolo Gesù; malati con un piede rivoltato al contrario, storpi, ciechi e curiosi pure da molto lontano. Tutti convinti che sia il vero messia. Lui, il bambino, biondo e bello come sua madre, fa tutto il ruffiano con quei disgraziati: a tutti fa grandi sorrisi e alza la manina a dare la sua benedizione. Poi fa una profezia incomprensibile come le profezie vere, tutta un gugugù e dadadà. Anche quelli messi più male se ne tornano a casa consolati.

    Palermo
  • 2 commenti a “Betlemme anno zero remake”

    1. un raccontino coi fiocchi. se talentuosa Leti!

    2. Troppo simpatica come storia 🙂

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