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martedì 19 mar
  • Ponti di Perrault

    La Palermo rigenerata del primo decennio del secolo ventunesimo e quella strana damnatio memoriae

    Potrebbe proprio esser questo il titolo di una tesi di laurea orientata a indagare anni intensi e di transizione per le sorti dell’architettura contemporanea in città, o più semplicemente il titolo del lavoro di inchiesta di un futuro studioso che voglia osservare con “lenti scevre da pregiudizi politici” i primi decenni del terzo millennio nella quinta città d’Italia.

    Data per scontata l’odierna condizione di deriva attraversata da una città che meriterebbe ben altre sorti e ben migliori politici posti alla testa di decisioni che riguardano comunque tutti, dato come punto di partenza l’oggettiva assenza di un qualsivoglia minimo dibattito intorno alle qualità del decoro urbano, delle infrastrutture e dell’architettura soprattutto relativamente allo spazio pubblico con le ovvie ricadute sulla vilipesa qualità estetica dell’intero territorio comunale, glissando sulle problematiche di immobilismo insite a Palazzo delle Aquile, la condizione degli uffici comunali, il buco nero della raccolta dei rifiuti e del bilancio, il traffico veicolare surreale e la sicurezza di ponti e strade, proviamo a concentrarci sui dati inerenti proprio la qualità estetica riportando le lancette indietro ai primi anni duemila “punteggiando” una serie di trasformazioni urbane allora comunque risolte.

    Sarebbe forse il caso di partire dalla mancata adozione del Piano Programma del Centro Storico del 1983 coordinato da Samonà-De Carlo-Borzì-Di Cristina altresì risposto in cassetto o dalla mancata realizzazione del progetto coordinato da Pasquale Culotta per i 9 approdi del 1991 naufragato immotivatamente, ma in questo momento basterà probabilmente tenerne caldo il ricordo in forma di stimolo o di semplice suggestione da approfondire in altra occasione, sebbene tutto sembra legato da logiche che sfuggono al buon senso.

    Si voglia per un attimo precedente al giudizio personale assolutamente lecito, assaporare la possibilità di una lettura diversa, condizionata alla sola narrazione di progetti, progettisti e date, inanellati al solo scopo di stimolare quella singolare capacità risolutiva tipica delle coordinate numeriche che assegnano, per semplicità nel gioco tra ascisse e ordinate su un grafico, attraverso due numeri, il posto di un solo punto sul piano. Punti che nella nostra narrazione rappresentano “progetti”.

    Non serve ricordare chi fosse il sindaco durante quello strano decennio in quanto la damnatio memoriae a cui è andato incontro “di persona personalmente” prosegue persino davanti la decadenza odierna della città tutta. Tale condizione non ha precedenti ne possibilità di apparente appello senza l’intervento almeno di una bolla papale, a fronte di una oggettiva condizione odierna di degrado dilagante che guarda l’abisso con familiarità senza accennare minimamente alle responsabilità evidenti.

    Dieci anni, volendosi riferire alle importanti trasformazioni urbane, cancellati senza motivi o colpe oggettive e senza possibilità di contraddittorio.

    Eppure dall’azione sinergica di comune ed Autorità Portuale diretta in quegli anni dall’ingegnere Nino Bevilacqua, nacque e si sviluppò la riqualificazione dell’area di costa compresa tra il porto della Cala e l’area di verde attrezzato del foro italico con il posizionamento delle 2000 nobildonne di Nino Parrucca ideate dall’estro Neo-pop di Italo Rota (2006-2011). Rinacque nel 2006 in una sede degna d’esser tale, persino la Galleria d’arte Moderna nell’ex Convento di Sant’Anna attraverso il progetto redatto dagli uffici comunali, riaprirono i Giardini della Zisa attraverso i lavori di completamento della riqualificazione dell’intera area abbandonata per decenni al degrado e all’incuria, 30.000 mq di nuove aree pedonali, di servizi e di verde, progettati dagli architetti Salvo Lo Nardo e Luigi Trupia a ridosso dell’edificio Siculo-Normanno della Zisa (2005).

    Come definire l’operazione culturale che attraverso la collaborazione di Davide Rampello portò alla ideazione ed al successo delle stagioni del Kals’art (2004-05) che pur avendo contribuito a sdoganare la bellezza di un quartiere che fino ad allora voleva appartenesse al solo folclore, oggi sembra mai esser davvero esistito? Nonostante l’arrivo delle provocanti e provocatorie gigantografie di David La Chapelle tra i ruderi e le chiese della Kalsa, nulla rimane di quei momenti frizzanti di condivisione urbana.

    E ancora, dopo oltre due secoli dal Ginnasio di Leon Du Fourny, un altro francese venne invitato a lasciare in città il proprio progetto per divenire memoria architettonica tangibile e fruibile ma tutto si dovette arenare per impropri giochi politici; ci riferiamo al coraggioso progetto per i percorsi pedonali in quota di Dominique Perrault (2005-06), 1250 mt circa che avrebbero unito il Parco Uditore e lo scalo dei bus del parcheggio Giotto attraversando letteralmente il limes della circonvallazione (utopia tra le utopie oggi persino pronunciarne la volontà).

    E ancora dobbiamo a quella stagione di slancio verso il potere curativo dell’architettura contemporanea, Il restyling del Cinema De Seta con le botteghe e la Scuola di Cinema firmate da Flavio Casgnola (2006-08), la sistemazione dello ZAC, entrambe interne ai cantieri una volta chiamati “Ducrot”.

    Venne riconsegnato alla città l’ex deposito di Locomotive alla foce del fiume Oreto, venne addirittura avanzato il progetto di raddoppio del ponte Corleone successivamente mai realizzato di cui oggi vediamo i risultati surreali. E ancora riqualificati e aperti al pubblico i teatri Garibaldi e Montevergini (quest’ultimo con la consulenza di Alfio Scuderi), e persino lo spazio di verde attrezzato delle Case Rocca (2008) e del parco urbano dedicato a Ninni Cassarà (2011).

    Diverse e molteplici le mostre di arte contemporanea volute e realizzate tra le quali non si può non citare l’ultima retrospettiva dedicata nel lontanissimo 2004 presso Palazzo Ziino ad una delle anime portanti della storia dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, quel Totò Bonanno allievo di Pippo Rizzo e Gino Morici, maestro egli stesso di generazioni di artisti siciliani.

    Questi i salienti di una stagione volutamente tesa a proiettare nuove stratificazioni culturali e architettoniche attraverso quello strano medium che notoriamente viene chiamato “progetto”.

    Ma la narrazione sarebbe ancora in palese difetto senza ricordare la grande mole di opere di ingegneria civile, progettate, appaltate e molte delle quali portate a compimento come: il collettore fognario sud-orientale; il collettore fognario di via Aquino Molara; la rete fognaria a sistema separato delle vie Messina Montagne, corso dei Mille e Guarnaschelli; la condotta idrica che dalla diga Rosamarina giungendo al potabilizzatore Imera risolse l’allora crisi idrica; i parcheggi Basile e del tribunale.

    Un capitolo a parte, ultimo di questa inusuale narrazione fatta per dati, è quello relativo al rafforzamento della mobilità di massa attraverso il piano integrato per il trasporto pubblico immaginato da realizzarsi mediante l’interazione tra il raddoppio del passante ferroviario (ancora oggi non finito), la chiusura dell’Anello Ferroviario (ancora inevaso), le realizzazioni delle tre linee periferiche del Tram da completarsi con la costruzione della MAL (metropolitana automatica leggera) in una chiara ed esaustiva visione di insieme purtroppo disattesa e smontata.

    Dei tanti indici tecnici da poter esaminare, il numero più indicativo è rappresentato da quei 17,6 km di linea sotterranea che se fosse stata realizzata così come immaginata, autorizzata e pronta per essere appaltata, avrebbe oggi evitato l’imbarazzante empasse del circo mediatico costruito ad arte attorno al piano delle opere pubbliche 2021-2022.

    Già, è incredibile ma il progetto della MAL comprensivo di coperture finanziarie ed autorizzazione di Genio Civile, RFI, e Soprintendenza sembrava pressoché pronto a divenire realtà nell’agosto 2011.

    Il resto è storia abbastanza conosciuta con una piccola nota che appare abbastanza surreale ove confermata; ci riferiamo a quei 23 milioni di attivo del bilancio comunale consegnati al cambio di governance del 2012, che al netto di una città sempre raccontata mediaticamente con problemi e pessime prassi, parlando attraverso la dirompente potenza dei numeri, parrebbe restituire, stante la surrealtà dei nostri giorni, una narrazione assai diversa e articolata, calibrata sulla piena consapevolezza della parola “progetto”. Una narrazione forse che meriterebbe più attente letture e pubblici dibattiti proprio intorno a parole che oggi sembrano svuotate e persino inutilizzabili. I soldi ci sarebbero (PNRR) mancano i progetti, manca la pianificazione, mancano visione e progetto, manca il coraggio e dunque il futuro.

    Fare pace con la realtà del recente passato, recuperare modelli virtuosi di pianificazione, sarà già un passo in avanti rispetto ad una città che pare aver perso identità e speranza.
    Che il nuovo sindaco sappia, in discontinuità palese con la condizione recente, investire chiaramente in Architettura e partecipazione “reali”. Non abbiamo più altro tempo da perdere.

    Palermo
  • 3 commenti a “La Palermo rigenerata del primo decennio del secolo ventunesimo e quella strana damnatio memoriae”

    1. I giornalisti di una città che preferiscono usare parole Latine, una lingua morta 500 anni fa, la dicono lunga sullo stato e sulle (in)capacitò della città stessa

    2. Caro/a Palam, impara prima l’italiano. Studia, studia tanto. Ciò che hai detto non ha senso, anzi, valorizza ancor di più l’articolo.

    3. Splendido articolo!

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