Dicevo nel testo precedente che l’unico e maltrattato pianeta che abbiamo di città nuove o storiche ne ha per tutti i gusti, di città che hanno avuto un lungo, un breve o addirittura un tronco percorso. Ma se ci limitiamo alla nostra vecchia e decadente Europa, sappiamo tutti che è piena di città la cui memoria almeno fino a poco tempo fa sembrava non smettesse mai di trasudare, non soltanto dal materiale con il quale sono state costruite (dalla primaria terra al vetro più contemporaneo), ma sicuramente ancora di più dal, per così dire, labile impeto con il quale gli abitanti, secolo dopo secolo, hanno cercato di travolgere e al tempo stesso di mantenere per mai tradire l’anima che c’è in ognuna di loro. Dico “sembrava” perché se oggi andiamo a fare una passeggiata nella maggior parte di queste città, ormai tutte collegate e raggiungibili attaverso i loro affollati aeroporti, se facciamo una scappatina per il centro e le strade principali, ce ne accorgiamo subito che una a una esse stanno diventando tutte uguali, voglio dire le stesse nella loro monotonia, uniformità, asepsi senza scambio. Come se la differenza o, per meglio dire, diversità microorganica, fosse incompatibile con il momento storico che viviamo e al quale stanno contribuendo, sia i politici con la loro rozza mediocrità, sia i mass media con la loro assenza critica. E poi, in modo contraddittorio, queste città diventano sempre di più dei luoghi autoreferenziali, chiusi, narcisisti; come se gli abitanti dentro la loro unica scenografia recitassero per i visitatori invece di vivere per loro stessi. Ma c’è bisogno di qualche esempio? Per rimanere nel mio paese, un modello evidente e alla portata di tutti è la città di Barcellona, “scoperta” non da molti anni dai palermitani. Io che ci ho vissuto più di trent’anni fa, ora che ci vado di rado mi rendo conto di come ricordi una cartolina, di come – al pari di tante altre città di qualsiasi paese – rassomigli sempre meno a se stessa e sempre di più a un luna park. Continua »
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