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venerdì 26 apr
  • Le migrazioni palermitane

    «Questo posto è magico» dissi una volta a una mia amica, seduto su una cassetta verde, mentre il sole stava per calare sulla piazza. Accanto a me due ragazzi africani, al tavolo accanto un gruppo di ragazzi nordeuropei. Nessun pensiero, nessuna paura, solo un buon modo di staccare da una giornata di lavoro. Era il 2008.

    «Questo posto ha perso la sua anima» ho concluso qualche giorno fa, passando svogliatamente dalla taverna di Ballarò. Continuamente osservato e importunato da venditori di false speranze, cerco di passare tra la folla. C’è tensione nell’aria, la musica a tutto volume copre tutto, le espressioni sono tristi. Resto qualche minuto, ma la fuga è inevitabile. Ma dove andare? Forse la Vucciria mi accoglierà col suo particolare melting pot palermitano. Trovo qualche faccia amica, finalmente. Subito dopo i segnali che anche questo posto sta per morire, com’era già successo tante volte a Palermo. Alla Champagneria 15 anni fa, poi ai Candelai qualche anno dopo. Qualche anno fa a Ballarò e alla Magione. E ora anche qui. I segnali sono inequivocabili. Grossi cartelli “COCTEL a 1 euro”, sguardi fissi a cercare una provocazione, quantità di locali abusivi triplicata di mese in mese. Ancora nessun “erba, fumo”, ma arriverà presto. Ma già sento il bisogno di andar via anche da qui. Io le chiamo “le migrazioni palermitane”, perchè periodicamente muovono ragazzi che hanno solo voglia di un posto tranquillo dove poter passare qualche ora di spensieratezza. Qualcuno pensa che i giovani abbiano solo voglia di ubriacarsi e distruggersi, quello che penso io è che l’unica cosa che vogliamo è aggregarci. Un piazza, una strada, un parco dove poter stare insieme. È così difficile trovare (e proteggere) un posto del genere in una città da quasi un milione di abitanti?

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  • 3 commenti a “Le migrazioni palermitane”

    1. Caro Emilio, Palermo appare agli occhi di chi non vi è cresciuto come un luogo privo di “normali” posti d’aggregazione, salvi i salotti, i locali privati e le case private, dove ognuno si sceglie i propri simili in una sorta di reciproco onanismo.
      A Palermo non riscontro una dimensione pubblica dell’esistenza e quella poca che c’è è costantemente messa a repentaglio da tantissima gente di infimo livello, che a Palermo prospera in percentuali seconde solo a Napoli e che possiede l’arte di “appoliparsi” su tutto ciò che si prova a realizzare col risultato di farlo morire lentamente.

      Ho vissuto le epoche in cui a Palermo alle 9 era coprifuoco, poi quelle del suo risveglio, ho visto nascere splendidi luoghi di socialità come i Candelai (luogo privato ovviamente, pensare ad un modello pubblico sembra fantascienza) poi soffocato in breve dalla marmaglia che la notte ha iniziato a frequentare quella via, attratta da esercizi di dubbia fama e altrettanto dubbio igiene.

      Passo ogni tanto di sera dalla Vucciria, più che luogo di aggregazione mi pare il trionfo di ogni illegalità, vedo Piazza Marina ridotta ad un cimitero di veicoli e di abusivismo. Alla Cala? 4 palle di marmo divelte ad arte per permettere ai velisti di accedere in auto fino alla barca, col risultato che nemmeno puoi lasciare libero il bambino. Rituffo umano ad alto reddito questo.Ma tutto ciò è “normale”?

      Mi sono sempre chiesto: ma a Palermo uno normale esiste? Uno che fa cose “normali”? Uno che campa “tranquillo”?

      Tu mi sembri un ragazzo “normale” e cerchi “tranquillità” ed è questo il punto: essere normali a Palermo mi è sempre risultato difficile, viverci “tranquillo” addirittura impossibile e per fortuna ho il modo di cercarmi altrove la “normalità” e la “tranquillità”. Trasmigrazione, come dici tu, ma lontano.

      P.S.: forse per te che sei nativo è più facile.
      P.P.S.: credo che si sia capito, quando parlo di tranquillità non parlo di sicurezza, ma di stato d’animo.

    2. Nessuno a Palermo ti darà mai un luogo tranquillo, te lo devi creare, devi “sudartelo”. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere questo articolo: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/03/19/le-mura-delle-cattive-tra-incuria-degrado.html?rss , parla di come negli anni 90 (io ero troppo piccolo, non ricordo) le mura delle cattive siano state il simbolo dell’aggregazione palermitana, anche loro conquistate grazie a un pugno di ragazzi con tanta buona volontà…

    3. I luoghi sono sempre gli stessi. Siamo noi ed i nostri occhi che cambiano. Ciò che prima ci dava diletto non ce l’ho dà più e cerchiamo altro.

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