Dicembre
Mi piace appoggiarti le labbra sulle palpebre, dicevi, eppoi però improvvisa, inattesa non parlavi più ma ti giravi e lasciavi che, in silenzio, dicembre si insinuasse piano tra noi, acqua di mare tra le dita dei piedi, una memoria di sabbia sottile tra ciglia non ancora addolorate, sale sulla bocca e l’offerta della pelle al sole
ma è dicembre adesso
è dicembre per questo nostro mancato aggrappo di corpi
per queste nostre schiene girate
per queste nostre dita disperate che intrecciamo l’uno all’altra
i nostri occhi che cercano disegni nell’umido che cola lungo le pareti di questa piccola stanza in affitto
è dicembre e fa freddo
dita strette a quelle dell’altro come all’aquilone d’infanzia
perderlo nel cielo, un dolore che nessun altro dolore al mondo sarebbe accussì lancinante
tienilo saldamente ‘sto filo sottile del tuo fragile aquilone di carta, gioia mia
non perdermi nel più profondo cielo lontano
ti prego
Ma è silenzio adesso, ed una penombra antica.
Sono già sette minuti e due ore che non ci guardiamo.
Accussì osservo la parete di questa stanza in affitto. La figura che l’umidità forma nel muro, dall’angolazione di questa mia prospettiva coricata, è una scena che pare pigghiàta pàra pàra dal vangelo: c’è un Gesù Cristo in piedi e, accanto a ìddu, due uomini; sotto c’è una macchia n’antìcchia più chiara che pare in tutto e per tutto una femmina in ginocchio che piange che potrebbe essere so madre, la Madonna, infatti ora che talìo bùono si vede pure il velo e le dita materne che lo stringono straziate; i puntini in alto ricordano invece quegli alberi magri e spogli di foglie che sono propri di dicembre mentre l’unica cosa di ‘sta scena ccà che pare emanare calore vero è una croce che è disegnata esattamente al centro dall’umido più scuro e intenso, e sarà forse perché è proprio nnu centro ed accussì è più facile da scorgere, sarà che una croce è sempre una croce ed è facile vederla unnegghiè, sarà che l’umanità non ha salvezza neppure per la parete, ma in ‘sto teatrino ccà rinnànzi a mmìa l’unico sollievo, l’unico aggrappo, l’unica sorgente di gioia possibile pare essere soltanto proprio la croce, e anche il Gesù Cristo della parete sembra essere d’accordo con ‘sta cosa qua, infatti ci sta sorridendo a quella croce, col viso e con le sue mani non ancora trafitte.
Accussì sorrido puru io per ‘sta scena assurda e con un principio di ilarità in fondo al cuore mi giro verso di te ma ciò che vedo è la tua nuca ancora sdraiata sul cuscino che forse stai già dormendo, però i nostre dita sono ancora intarsiate assieme, tenacemente, allora Gesù Cristo: tu che sorridi alla croce con le tue mani non ancora trafitte, ti prego, tu che compi i miracoli, fa che non si stacchi mai ‘sto filo d’aquilone, a và, tienilo legato alle sue dita, amunì, asennò sono fottuto vero, amen.
Rispetto il necessario momento di silenzio che la mente richiede dopo una preghiera sinceramente sentita e poi via: subito sguardo alla parete per vedere cosa Gesù Cristo vuole rispondermi alla mia preghiera, ma: ollallà, sul muro non riesco a vederci più niente.
Gesù Cristo non c’è più.
Le sue mani non trafitte non stanno sorridendo alla croce e al suo calore.
Ogni idea di disegno è scomparsa dal muro.
Ho cambiato prospettiva e ora ‘un si vede niente.
Solo umidità.
Fanculo.
Mi fa schifo l’umidità e non mi riscalda il cuore.
Che cambio di prospettiva di merda.
Era meglio prima. Molto meglio.
Accussì m’impegno per trovare la prospettiva giusta. Con tutte le mie forze cerco l’angolazione precedente. La cerco, la cerco, la cerco. Ovviamente, non la trovo.
Tutte le posizioni: provate e riprovate.
Tutte quante.
Niente di niente di niente.
Arrusa d’a miseria.
Non c’è più nessunissimo disegno sul muro.
Solo una macchia di umidità che non mi rappresenta una beneamata minchia.
Nessun Gesù, nessun pianto di madre, nessuna croce.
Peccato.
Anche perché, ad essere sincero, secondo me era molto bella la mia preghiera. Molto efficace. Dal lago del cuore mi nasceva. Molto sentita. Ci sarebbe piaciuta a Gesù Cristo. L’avrebbe esaudita. Ne sono certo.
Dicembre: ma che t’ho fatto io?
Cosa?
Che t’avevo chiesto, in fondo?
Un po’ di neve.
Benissimo me lo ricordo.
Dicembre: fammi un favore, dammi una mano: nevica n’antìcchia, una notte, una notte soltanto, un pochettino di neve in notturna ti sto chiedendo, a và, che è bella Palermo tutta quanta bianca e io e lei accussì ci corriamo dentro a ‘sta Palermo innevata che sembriamo due aquiloni liberi e felici e la nostra corsa ha finalmente una memoria comune: i passi scolpiti nel bianco della neve caduta da un cielo lontano sulla nostra Palermo… amunì…
Chìsto ti chiesi, non appena ti insediasti nel calendario con la tua insopportabile aria di attesa del natale.
E che minchia ti costava darmi un po’ di neve?
Ma tu, dicembre, tu: “a Palermo non nevica mai” mi rispondesti in sogno.
Ma proprio perché ‘mPalermo non nevica MAI me la devi dare la neve, non lo capisci?… che poi “mai” è una parola che ‘mPalermo non esiste… ma che ne devi capire tu, dicembre tirchio e ottuso che t’arricchisci ch’i piccioli jiccàti nei regali natalizi… un po’ di neve… chìsto t’avevo chiesto… la neve a dicembre… ricordi come quella volta?… quella volta che fumavo e piangevo… ero piccirìddo, ricordi?… certo che ricordi, dicembre… e come scordare che fu quella nevicata a restituirmi i miei undici anni, mica tu…
“A Palermo non nevica mai”.
Va caca, va.
Inizio puru a sentire freddo. Ed il letto, con te girata di schiena, il letto diventa di colpo immenso. Sento che sto per naufragare. Buttana di eva buttana. Bisogno di bere qualcosa di forte. Un rhum scuro sarebbe perfetto. Sì. Ho deciso. Un rhum scuro. Ma m’abbùtta susìrimi. Accussì me ne sto fermo, sdivacàto nell’immensità di questo letto accanto alla tua schiena, senza rhum scuro, e non so perché ma adesso mi sento ma per davvero come all’inizio di una frana.
Minchia, come vorrei portassi arrìere le mie palpebre tra le tue labbra.
Minchia, come vorrei un bicchiere di rhum scuro.
Minchia, come vorrei che sul muro comparisse qualcosina per i miei occhi verdi… che so?… un altro disegno che raccontasse… qualsiasi cosa… una storiella allegra… o triste… o sconclusionata… davvero: qualsiasi cosa…
Ma: niente.
Non sono il re dei “voglio”, evidentemente.
Oggi: zero desideri esauditi.
Non c’è rhum nel mio bicchiere.
Non ci sono le mani non trafitte di Cristo che ridono.
Non c’è neve in ‘sto dicembre.
Pure all’umido ci passò la voglia di disegnare.
Niente di niente di niente.
Gesù Cristo che sorridi, dove sei?
Dov’è tua madre? Dove il suo pianto in ginocchio?
Dov’è il mio rhum?
Il muro è muto.
Aiuto.
Poi
improvvisa come la curva in volo della rondine
non è più silenzio ma
inattesa
una tua domanda
“Cosa ti ricorda dicembre?”
Eh?
“Quale è la prima cosa che ti viene in mente ora se ti dico: dicembre?”
Mmmh…
“Non pensare ma rispondimi subito: la prima cosa”
Una sigaretta
“Cioè?”
La prima volta che mi svampài una sicarìetta: era dicembre
“Quanti anni avevi?”
Undici. La neve c’era. Palermo era tutta bianca
“A Palermo? La neve?”
Sì
“Non ci credo”
E non crederci
“Ma a Palermo non nevica mai”
Mai è una parola che ‘mPalermo non esiste
“Tu mi vuoi dire che Palermo era tutta quanta innevata?”
Hm hm
“Non ti credo”
E non credermi, fa come vuoi
“Non me l’hai mai raccontato”
Non me l’hai mai chiesto
“Raccontamelo”
…
“Raccontamelo”
…
“Oh, dài, dico davvero: raccontami di questa nevicata, e della tua prima sigaretta”
Dici vero?
“Sì”
Non è un bel ricordo, non fa ridere per niente anzi
“Raccontamelo t’ho detto”
…
“Raccontamelo, dài”
Vabbuò, t’u cunto, ma tu
“Sì?”
Tu: non interrompermi mai. Mai. Per nessun motivo al mondo. È chiaro?
“Sì”
Giura che non m’interrompi
“Ma perché mi stai chied”
Giuramelo, asennò: niente
“Va bene va bene…te lo giuro”
Vabbuò… ascoltami allora
Accussì, in questo dicembre, da questo profondo gelo di cuore, senza nessuna sosta nei tuoi occhi inizio a cuntare alla tua schiena di quella volta ddà, avevo undici anni, svampàvo ‘a me prima sicarìetta, era Palermo, era dicembre e nevicava.
Durante il mio racconto tu non ti giri verso di me, non fiati e non mi interrompi mai. Brava. Sei stata di parola.
Poi il mio racconto finisce ed io non cunto più.
Torna il silenzio ed il freddo, nessuna croce calda per i miei occhi, nessun rhum scuro per il mio cuore. Gesù Cristo ormai l’ha abbandonata per sempre la parete umida di fronte a me. Evvabbè, ‘nca certo, mica è fesso Gesù Cristo: avrà scelto una spiaggia, un’estate, un qualsiasi posto che non avesse in sé una idea di crocifissione. Anzi, con quella croce ddà un bel falò ci avrà fatto. Ovvio. È tutto miracolo ìddu, quando vuole. Le sue mani non trafitte che nuotano serene nel mare.
Che però io non lo so davvero se adesso che ho finito di cuntarti il mio segreto sia più freddo dicembre o il silenzio tra le nostre schiene che si guardano e non riescono a leggere niente di niente l’una nel muro dell’altra. Ma non è mai facile cuntare un segreto, non è mai facile aprire una porta tenuta chiusa a chiave per anni e anni e anni. E non è mai facile ascoltarlo un segreto, non è mai facile vedere il viso dell’altro trafitto da spine. E nel nulla che accade tra di noi, mi decido per l’azione. Accussì stacco le mie dita dalle tue e me le porto sugli occhi, come quando avevo undici anni e sotto la neve il fumo della mia prima sigaretta mi usciva violento dalla bocca ed era l’urlo che io non riuscivo a gridare per quanto mi era appena successo
e poi improvviso comparve
per la prima volta nella mia vita
davanti al cristallo scheggiato dei miei undici anni
inatteso
un fiocco di neve
che scende giù dal cielo
e pare un aquilone che torna a me
lento lento lento
accussì vedo per la prima volta la neve e la tocco con le mie mani aperte, mi porto poi le dita alle labbra, mi bacio le punte e con esse mi chiudo gli occhi per trattenere dentro di me quell’immagine di neve che piove chiara da un cielo scuro, mentre una Palermo sconosciuta diventa tutta quanta bianca ma piano piano ed i miei occhi sono stretti e chiusi, ci sto provando a lasciarmi per sempre alle spalle… no, non ci voglio nemmanco pensare… ho in bocca la mia prima sigaretta, fottuta dal pacchetto di mia madre, e ad ogni aspirata mi levo un po’ di sapore del vomito che non ci devo non ci voglio pensare a… diomadonna ho undici anni… e le lacrime mi scendono sole sole ma io non voglio piangere, non voglio, accussì fumo con rabbia mentre davanti a me da un cielo misericordioso nevicano, uno dopo l’altro, infiniti fiocchi di neve che scendono ballerini e bianchi per lavare e levare assieme in un’unica carezza lo schifo da Palermo e dai miei undici anni.
Ma fa proprio freddo adesso, e non è soltanto l’inverno del cuore. Sono i nostri corpi alla deriva. È il silenzio calato come lama che separa ed allontana. È il filo d’aquilone adesso staccato da dita sempre più distanti.
Ma poi però tu tenti un ultimo aggrappo, o forse è solo pietà, non so.
Fatto sta che tu parli.
“Ma è vero?”
Sì
“E chi lo sa?”
Oltre a te, nessuno
“Ommioddio mioddio mioddio… vieni qui”
E accussì
inattesa
accade qualcosa di simile alla felicità
come quando improvvisa
da un cielo misericordioso
la neve
fioccò fioccò fioccò
La tua mano sinistra si intarsia alla mia schiena
è calda la tua mano non trafitta da chiodo
io apro le mie braccia e divento tutto croce
tu in silenzio da dietro mi stringi e poi
con la mano destra mi volti con dolcezza la testa
porti le mie palpebre alle tue labbra
e levi da me
per un attimo piccino picciò
in questo freddo dicembre
questa corona di spine dai miei addolorati occhi verdi.
I tuoi addolorati occhi “verdi”sono qui, solo per un attimo, il tempo di un ricordo. Povera patria, i c.s.i, Eddie Vedder, i giochi di parole,il silenzio, il freddo. Poi via. Buona notte piccolo Davide.
Mi ricordo che una volta c’era stata una nevicata fortissima e il monte cuccio era tutto bianco e io e i miei amici lo chiamavamo monte cuji!
sempre magnifico, davidù
Il senso della neve
a te e ai tuoi occhi verdi, davide, aguro ancora tanti fiocchi di neve, fiocchi di serenità, fiocchi di dolcezza, fiocchi di serenità.
ancora una volta, grazie
neve e palermo… mi ricordose n una partita del palermo di notte che c’era tutto lo stadio pieno di neve… non mi ricordo però la partita… contro chi abbiamo giocato? 0 a 0 finì…
Tu scrivi, Davide, e noi sogniamo.
La neve, la gioia, e l’emozione di incontrarti. Almeno una volta, per dirti grazie e poi abbracciarti.
immensamente grande, davide.
grazie.
“Con grazia getto lontano il cappello
e piano lascio cadere il mantello
mentre sguaino dal fodero la spada
per colpirti laddove più m’aggrada.
Guardami bene: sono più leggero
di Scaramouche nell’arte dello stocco.
Perciò ti avverto, povero guerriero:
QUANDO FINISCE LA BALLATA, IO TOCCO”
Cyrano de Bergerac.
ecco… questo fai.
Anch’io ho gli occhi verdi…
Anch’io ricordo e desidero la neve a Palermo…
Ma ho paura che il lago del cuore possa diventare ghiacciato…
Grazie.
caffè(o forst agghiacciata) pagato per questa e le altre
Sei emozioni allo stato puro.
Non dico grazie perche’ tu scrivi principalmente per te stesso, per sentirti vivo, com’e’ giusto che sia.
Pero’ ti dico che mi hai fatto complice.
Cordialmente
Giullare
Mi sento come quando ero adolescente, che aspettavo l’uscita di FRIGIDAIRE in edicola per sconvolgermi, ridere, pensare… ogni giorno clicco su rosalio più e più volte per trovare i tuoi nuovi post. Poi ti leggo ed è come se leggo di nuovo FRIGIDAIRE. E questo è impagabile. Ed è pure aggratis…
forse perchè non è abitudine vederla ma la neve mi ha sempre dato l’idea di meraviglia, ed è vero, è un pò che non ci pensavo, ma è tanto che non nevica a Palermo…
appena ti conoscerò, ci berremo un rhum scuro…
ciao, occhi verdi
una volta Rembò segnò un gol bellissimo all’incrocio che la neve che stava sulla traversa caddè giù sulla faccia del portiere trafitto…
In alto i cappelli. Tutta la mia sincera ammirazione
non so come fai Davide a trovare sempre il modo per dipingere scene quotidiane, semplici e naturali con una tale delicatezza!
anche a Napoli una volta ha nevicato… e anche io avevo 11 anni!! e quell’immagine mi è tornata adesso in mente dopo tanto tempo!!!
io non l’ho mai vista Palermo, neanche senza neve… ma conosco un palermitano speciale, che mi ha fatto conoscere te e questo sito dove posso trovare un po’ del calore meridionale che mi manca tanto nel freddo (morale e fisico) che sento qui al nord
sei grande!!
aspetto il prossimo racconto…
C’era la neve e c’era Palermo-Juve Stabia. Una noia mortale. La cosa più divertente fu quando i tifosi iniziarono a tirare pallettate di neve ai raccattapalle…
Grande Davidù, e chi ci pensava più che a Palermo la neve talvolta arriva… non è solo la primavera che si aspetta
Corona d’Alloro, Messer Davide…
e Gesù sedendo sulla spiaggia accanto al tram numero 1 sorseggiava mojito alla tua salute. e anche alla mia.
Ah, la neve, intesa come neve…
Ah, le macchie di umidità che scrivono storie, intese come personaggi che anzicché moririe nuotano…
Ah, le palpebre sugli occhi, intese che poi incomincia il bello…
pensa se la neve fosse stata la coca, l’umidità un crollo di intonaco e il bacio sugli occhi un modo carino per dirti che questa sera non se ne fa niente, ho mal di testa, buonanotte…
dove sarebbe la poesia? In che mondo sgangherato viviamo?
Palermo- Juve Stabia! Ecco!… grazie stop and go
“impaziente” e “stop and go” ricordate quel palermo-juve stabia a quale anno risale? A me viene in mente una partita di qualche anno fa, vista allo stadio tutti in piedi perchè i sediolini erano coperti di neve. Credo fosse in serie C, ma non ci giurerei… Parliamo della stessa partita?
Grazie. Grazie per aver regalato a chiunque voglia leggere queste tue righe un’emozione che riscalda il cuore in un mese che, di solito, è freddo e umido e che sporadicamente regala anche qualche fiocco di neve.
Le parole, le stesse che possono usarsi in contesti diversissimi, hanno un loro potere, una forza che riesce a sciogliere il mare ghiacciato che, a volte, si forma dentro di noi.
GRAZIE.
Palermo – Juve Stabia del 1-2-1999
Compà, sei micidiale come lu rìd!
Bellissimo,come ammirare “la curva in volo della rondineimprovvisa,inattesa”
Grande fabietto… allora i miei calcoli erano giusti!
Non lo so se era quando ci fu questa nevicata a palermo – ma ci fu? – se fosse così dovrei avere avuto dieci anni, ma a milano un inverno la mia scuola elementare di viale romagna rimase chiusa per neve. per neve! a me sembrava una motivazione fantastica, una roba incredibile dico, che la natura, anche in città avesse questo potere, di dire: fermi tutti. che io il massimo di natura che vedevo erano le aiuole cacatoio per i cani, e non so manco un nome di albero o una stagione per coltivare. Ma tu Davide, le storie d’amore proprio non le sai raccontare?
cara Luci,
se vuoi una storia d’amore, chiamami…
che bello!
Caro impaziente, porca vacca, se non mi dai il tuo numero come min*hia faccio a chiamarti. Però se lo metti qui accessibile a tutti, magari poi ti chiamano pure tutte queste donzelle che sbavicchiano per davidù l’eccelso, il che magari per te potrebbe non essere male…
evviva le storie d’amore!
Luci, hai Liala per le storie d’amore,
o casalinghe disperate.
torno a scriverLe perché Lei riesce sempre a farmi emozionare. Ho quasi cinquantanni e non mi vergogno di dirLe, come già qualcuno ha scritto, che attendo i Suoi nuovi articoli.
Bravo! Ad Maiora!
Me la ricordo perché era un lunedì e tornavo da casa. La 702 non riuscì a passare.
Né la 702 né la 102. A piedi. Di fronte monte cuji innevato e alle orecchie delicate sound of thunder. Da via Notarbartotlo all’estrema periferia sud di Borgo Nuovo.
Arrivai coi piedi che se gli fosse caduto sopra qualcosa si sarebbero frantumati in mille gocce di cristallo.
Assabbenedica sig. Enia.
che sciocchezza. algoritmo perché svilisci l’amore? che ti piglia? ah, forse il nome che ti sei dato potrebbe essere un indizio…
e meno male che, in giorni come questi, si puonno leggere ‘sti cuosi… mizza, fratè, sei scioccante…
cos’è che dovevo scrivere? …AH…min*hia Ddavide!!
Davidù…ho delle domande da farti.
La prima, la più importante, ma anche la più stupida e inutile: come fai? come fai ad insertarci sempre? Perchè tu, caro mio, c’inserti sempre, fattelo dì.
La seconda: ce la farete tu e il tuo Palermo ad eguagliare quello che abbiamo fatto noi domenica scorsa con la Roma?:-)(e qui mi rispondo pure: spero proprio di si!)
La terza domanda: ce lo fai un regalo di Natale? un audiopost. Ascoltare le tue parole dalla tua voce sarebbe il dono più bello!
Chissà se la cosa è fattibile…
Un forte abbraccio.
quando torni a scrivere, maestro?
SPETTACOLO||||