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sabato 20 apr
  • Quaderno di Palermo 17

    Adesso che siamo alla fine del periodo più cospicuo dell’anno rispetto a tutto quello che riguardano i tanto attesi e desiderati e sognati saldi, adesso – ma anche molto prima – ho capito che i saldi sono comunque fasulli. In verità, dopo le solite mie passeggiate lungo le strade di Palermo, ma questa volta cercando di non lasciare sfuggire i prezzi che mostravano, diciamo con sfacciataggine, le vetrine di tutti i negozi di abbigliamento che incontravo nel mio svagato deambulare – non direi che le sbirciavo con noncuranza ma sì con certa apprensione -, dopo queste camminate cittadine sono certo che i prezzi variati sono rimasti quasi invariati e cambiati solo nella forma e non nel contenuto nella maggior parte dei negozi. Ma adesso che ho visto come dal primo giorno che è partita questa finta gara dei saldi, tutti i palermitani si sono riversati nelle strade alla ricerca della loro pretesa pepita d’oro, adesso e ancora per l’ennesima volta mi dico che abito in una città dove tutto si sa che è un’autentica finta commedia. Un’opera buffa dove i suoi commedianti agiscono come se, invece di trovarsi sul palcoscenico di un grande teatro alla maniera di grandi attori professionali, recitassero nella realtà della vita quotidiana la loro parte da macchiette che non possono fare a meno di credere ciecamente nella loro pessima performance (non a caso ognuno ripete le stesse battute con gli stessi gesti perché in fin dei conti questi sono gli unici veri e possibili davanti a tutti e innanzitutto a sé stessi).
    Ma con questo non sto facendo riferimento all’atteggiamento scontato che può avere il palermitano rispetto ai saldi, poiché ormai nel nostro mondo globalizzato e consumistico ogni modo di comportarsi in qualsiasi parte del mondo è ripetuto e replicato. No. Quello che mi colpisce sono questi prezzi schernevoli che passano come veri agli occhi e alla mente di tutti quanti. E chi dice prezzi, fa riferimento al sudore dei soldi, allo stipendio di un lavoratore, all’economia di una famiglia. Voglio dire che sia i negozianti che i clienti, tutti sono complici di una finzione che, come negli spettacoli che per anni non chiudono i battenti, si protrae forse da tempo immemorabile. «Non è questo uno dei tanti esempi, delle tante facce di una mentalità che non mette mai in questione non solo l’altro ma, come è stato detto sopra, in particolare sé stessa?». Non posso evitare di chiedermelo. E non si tratta della vacua retorica di uno straniero che è di passaggio per una città che non è la sua. Sono ormai passati più di tre anni da quando sono arrivato in questo posto, sia per scelta professionale che per amore (al luogo), e non riesco ad accettare del tutto questo comportamento che in fondo ha a che vedere con una maniera di essere, la cui profondità mi sfugge dal pensiero e anche da questo mio sguardo che nonostante tutto è quello di un innamorato non ricambiato ma almeno consapevole. Forse senza saperlo sto in questo stesso momento scoprendo il mio vero rapporto, voglio dire che sta emergendo il mio sentimento per l’estraneo spazio isolano. Sì, estraneo a tutti quelli che dalla terra ferma, e sospinti da quell’audacia che non teme né l’affronto né i rischi né l’avvenire, hanno osato attraversare il mare per arrivare a una lunga sponda circolare – un’isola è anche o innanzitutto quello – che a modo di una ermetica barriera corallina, impedisce l’accesso a coscienze diverse da quelle dei suoi abitanti.

    Illusione.

    Ospiti
  • Un commento a “Quaderno di Palermo 17”

    1. E’ un amore giovane e insofferente il tuo per questa città. Come quando, in una relazione sentimentale, passata l’infatuazione iniziale, subentra una sorta di insofferenza che nasce dalla scoperta dei difetti, o solo delle differenze dell’altro, che ancora pensiamo di poter cambiare secondo come vorremmo che fosse. Poi, se l’amore dura, ( ma non sempre succede) diventi più paziente e tollerante. Capisci che l’amore è un legame irrazionale che prescinde dalle qualità dei protagonisti e ti impegni, per farlo durare, a valorizzare sopratutto quello che ti lega, accettando tutto il resto come un prezzo necessario.

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