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venerdì 29 mar
  • Tarapia tapioco, prematurato il “selfie” o scherziamo?

    Le nuove sfide linguistiche del nostro tempo colpiscono le parti più profonde dell’animo dei cittadini palermitani. Ormai è risaputa già da qualche mese, la dilagante moda del “selfie”, intendendola come qualcosa che in realtà, trova le sue radici profonde da ben più di un secolo. È facile cadere, in questi casi, nella trappola che definirei “tendenza linguistica”, intesa come moda, allontanando l’individuo dal concetto di “riflessione” accompagnato dalla chiarezza espressiva sia nella comunicazione verbale che non. La motivazione di questa poca comprensione legate alle terminologie “semplicemente inglesi” introdotti nella lingua italiana, appunto come “selfie”, si vedono come qualcosa di tremendamente estraneo, confusionario e a volte, matrice di imbarazzo. Ma chiarendo meglio il concetto per tutti i palermitani: cos’è di fondo, il “selfie” o definendolo più terra terra nel suo corrispettivo italiano “autoscatto”? È una semplice foto che viene fatta attraverso l’ausilio di una macchina fotografica o dello smartphone e, in genere, la si fa da soli oppure in compagnia. Come avrete notato, in fondo, non ci sarebbe nulla di più semplice da capire, ma purtroppo, gli anglismi pongono il palermitano in una condizione di sfida alla comprensione abbastanza ardua. Ciò è dimostrabile dalla terenezza con la quale ci si può avvicinare al Palemmitanu e lo si invita ad un selfie, con una frase tanto ambigua quanto chiara e non sporca: «Vuoi fare un selfie con me?». Non appena si pronuncia tale frase, una buona fetta di nostri concittadini, inconsciamente, provano a ricostruire il significato della parola “selfie”, non riuscendo nell’impresa e falliscono dopo pochi secondi. Da tale spunto, si potrebbe affermare senza ombra di dubbio, che il “selfie” a Palermo, è come l’intramontabile supercazzola del Conte Lello Mascetti, personaggio principale del film Amici Miei del grande regista Mario Monicelli. Il corrispettivo inglese di “autoscatto”, quindi “selfie”, rappresenta per il palermitano medio/basso, un continuo interpretare o addirittura non significa proprio niente…(antani, scappellamenti a destra o a sinistra)… Si sa, le interpretazioni palermitane sono nella maggior parte dei casi a carattere puramente sessuale quando non si riesce a trovare altra spiegazione. È tanto bizzarro vedere reazioni e risposte: «No, ma che fa babbìi?», oppure ancora, «Ma non ci penso neanche!». I più fantasiosi si dilettano nei processi di significazione più fantasiosi rispondendo così: «Chi ddicisti, ‘u serfie? No ‘unnifazzu serf» intendendo lo sport fatto con la tavola per cavalcare le onde del mare. Questa potrebbe essere la lampante dimostrazione di quanto, nell’era della comunicazione, si ricerchino delle metodologie semplici ed efficaci, ma nel contenmpo, l’uso dell’inglese specie in certi contesti, crea delle nuove e profondi significati “nascosti” che non collimano con le convenzioni sociali attuali. La domanda, arrivati a tali ragionamenti, è chiara: Problemi di comunicazione oppure, più semplicemente, un migliore uso della lingua…?? e quale? Se dicessimo «Facemunni l’autoscatto», il palermitano direbbe “autosgatto” ma comunque comprenderebbe ad impatto il significato della frase. Nel frattempo, lasciandovi nella riflessione sull’uso della lingua con i nostri concittadini, vi posso dire che…

    È una supercazzola con scappellamento a destra e il palermitano è come se fosse antani!

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