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e-mail: palermoefimmina@libero.it

Biografia: Maria Cubito è nata il 14 dicembre del 1970 in provincia di Catania, città nella quale ha vissuto, per la cronaca, solo per i primi 3 mesi della sua esistenza, poi dopo varie peregrinazioni per l'Italia si è stabilita a Palermo nel '76...pertanto è più palermitana di quel che sembra! Laureata in lettere classiche insegna da 14 anni, conciliando il lavoro "ufficiale" con l'"hobby" della radio. Conduce infatti su Radio Time (ormai non si ricorda più nemmeno lei da quanti anni...) Volevo essere bionda dalle 3:00 alle 5:00 del pomeriggio. Sue grandi passioni: la pizza, i libri, il vino rosso, il mare e l'Inghilterra!

Maria Cubito
  • Primi

    Una delle specialità in cui i palermitani riescono meglio è un principio che sembra stare alla base della nostra vita: arrivare primi e fottere il prossimo. Ci alziamo cu ‘stu pinzieru. Ci sentiamo disonorati, nel senso di “senza onore” ad arrivare secondi, ‘nza mai ultimi! Schifo della terra, si dice in questi casi. Per forza di onore dovrà trattarsi, perché non è che abbiamo tutto questo chiffare, ma noi quando dobbiamo fare una cosa, dobbiamo farla subito, perché ci dobbiamo levare il pensiero.

    È parte del nostro corredo genetico proprio.

    Non so se vi è mai capitato di osservare dei bambini di scuola elementare uscire dalla classe e mettersi in fila.

    Nel resto del mondo, il primo che esce va davanti e via via tutti gli altri dietro. A Palermo no. Il primo esce, si mette davanti e man mano che prosegue la fila, ognuno che esce si mette davanti, cosicché il primo sarà l’ultimo. Pure religiosi siamo: infatti gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi. Continua »

    Palermo
  • Brutti, sporchi e cattivi

    Abito in un quartiere popolare, molto popolare. Anni fa, quando acquistai la casa ero tutta contenta, ci fu un’ondata di gente che comprò casa in zone considerate popolari all’epoca. C’era una sorta di compiacimento snobistico, la verità. «Io non ho pregiudizi, abito al Borgo (ma anche a Ballarò, alla Noce, alla Kalsa), siamo una grande famiglia, ci aiutiamo, se abbiamo bisogno». Io bisogno non ne ho avuto mai. Anche perché non c’ero mai a casa. Uscivo alle 7:30 e rientravo alle 21:30. Sarà che da un paio d’anni trascorro molto tempo a casa o sarà che stiamo peggiorando, fatto sta che soffro. Assai, faccio bile, anzi abbili, mi inturciunio le budella per cose che sembrano storte solo a me, perché quelli che le fanno sembrano perfettamente a loro agio e io paro una fuoddi. Mi pare di stare dentro un film. Vagamente neorealista, o post neorealista o non lo so. Così come non so se è il peggiore quartiere di Palermo o se queste cose succedono solo qua, ma ecco un breve elenco di cose che, quotidianamente accadono vicino, sotto e di fronte casa mia. Continua »

    Palermo
  • Cu niesci arriniesci

    Cu niesci arriniesci. Recita così un nostro proverbio che, di sicuro, sarà nato negli anni in cui l’emigrazione dalla Sicilia era vissuta come la certezza di un cambiamento totale della propria vita e spesso era vista come l’unica alternativa alla terra da zappare. Le aspettative erano altissime, chi era “nisciuto” scriveva di paesi pulitissimi e strade larghe, di ordine e di città in cui c’era posto per tutti. Certo ci voleva coraggio (forse più di adesso, in fondo basta solo un volo low cost), ma chi se ne andava lo faceva per sempre. Mio zio emigrò in Australia negli anni ’60. Con la nave. Si portò la famiglia e il corredo e pure, sistemati dentro un baule, i servizi di piatti e bicchieri, che arrivarono a destinazione ridotti in mille pezzi. Ma arriniscì, ancora là è. Anche perché sapeva che era per sempre.

    Oggi c’è la famosa fuga di cervelli. Tutti parlano dello scandaloso esodo di menti eccelse che l’Italia forma e che poi vanno ad applicare i frutti di questa formazione all’estero. Certo ce ne sono assai. Di cervelli in fuga dico. Ma non è che tutti quelli che partono e lasciano la Sicilia vanno a lavorare ad Oxford. C’è chi va per restare, c’è chi torna, c’è chi non lo sa che deve fare. Che in un’epoca (non è più un periodo, l’abbiamo capito tutti) di crisi, non solo di coscienze ci può anche stare. Continua »

    Palermo
  • “Santa Palermo”

    Maria Cubito - “Santa Palermo”

    Nel corso di questi anni, molti mi hanno chiesto se ci sarebbe stato un seguito a Palermo è fimmina…con rispetto parlando. In realtà non so se definirlo un seguito sia corretto. Dico che Santa Palermo si può leggere anche a prescindere dal precedente. O prima questo e poi il primo. Sono sempre i miei pensieri, raccolti in capitoli e divisi per categorie. Ci sono le immancabili riflessioni sulla lingua sicula in continua evoluzione, i costumi forse discutibili dei siciliani ma certamente unici. C’è il cambiamento che ha investito la mia vita e c’è l’abbandono alla nostalgia della memoria, con echi dei luoghi dell’anima dove sono nata che riaffiorano, spesso sottovoce, spesso urlando, e io provo a dar loro voce quando vengono a tuppuliarmi. E come sempre, prepotente e imprescindibile c’è Palermo che diventa Santa. Leggetelo come meglio vi viene il titolo. Come un’imprecazione “Santa Palermo!” quando vi scappa la pazienza. O come la martire che rischia di diventare, se non la finiamo di prenderla a calci.

    Palermo, Rosalio
  • ‘Nciurie

    Presumo che in ogni città d’Italia ci sia l’abitudine di appioppare soprannomi, nomignoli anche spregiativi, ma la Sicilia vanta una fantasia sconfinata nell’applicazione di quello che da noi non è un semplice soprannome. Intanto ha una denominazione ben precisa: ’nciuria. Ingiuria, con una connotazione non esattamente positiva. In secondo luogo, si trasmette di padre in figlio, quindi può attraversare generazioni e poi, ho scoperto, che non è esclusivo appannaggio dei paesi, ma vige anche in certi quartieri di Palermo. Mi sono chiesta quale fosse l’esigenza di nominare degli individui con nomi diversi da quelli propri. Forse per evitare omonimie tra membri della stessa famiglia. I greci lo facevano perché il cognome non esisteva e di solito erano epiteti esornativi, come quelli dei poemi omerici, sottolineavano cioè qualità positive (tipo Achille pie’ veloce o l’aurora dalle dita di rosa). Nella letteratura italiana, le novelle e i romanzi di Verga sono pieni di ‘nciurie. Da “I Malavoglia” alla “lupa”. Nei paesi della Sicilia, (anche la mafia li usa Bernardo Provenzano era noto come Binnu – diminuitivo di Bernardo – ‘u tratturi. Un nostro noto politico era soprannominato Totò vasa vasa, perché baciava tutti, due volte sulle guance) spesso le ‘nciurie hanno a che fare con i mestieri svolti da chi li “indossa” (zappuni, liccasarda, scorciascecchi, ruccheddu) oppure prendono in giro certe abitudini del soggetto in questione; esiste (sarà ancora vivo?) un Giovanni fadetta, detto così perché aveva l’abitudine di portare i pantaloni sciarriati con le scarpe, tanto che sembrava indossasse un vestito (fadetta appunto) poi c’è don Pino ‘ntontulo (non particolarmente dotato di acume) e conosco molti che hanno l’aria non esattamente furbissima chiamati lampamusca o ammuccalapuni. I miei nonni paterno e materno avevano rispettivamente come ‘nciurie Bittuni e Ballanu. Origine e significato misteriosi, nessuno della mia famiglia ne sa niente. Ho capito solo che io sarei Maria Bittuni. Originale quanto meno. Ma tralasciando la piega scientifico-filologica che sta prendendo quest’analisi, è sulle ‘nciurie palermitane che vorrei soffermarmi. Hanno come caratteristica la denigrazione di un difetto fisico. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Lettera a…

    Ho nel cuore un desiderio. Una speranza anzi.

    Spero che tu ti alzi di nuovo e ricominci a camminare. Ma non ti fa male restare così? A terra?

    Spero che la trovi la forza per farlo. Io non ce la faccio più a sorreggerti. Mi consuma, mi inghiotte e mi fanno male le spalle. Mi bruciano. Per tenere a tia cado io, prima o poi. Ci hai pensato mai?

    Spero che ti potrò ancora guardare dritto negli occhi senza sentire un dolore sordo alla bocca dello stomaco che mi costringa a voltare la faccia. Sempre. Dove guardi tu?

    Spero che abbracciandoti io non senta più quest’odore di terra lorda, fitusa, he non è il tuo, questo mi fa acchianare lo stomaco. Dov’è finito il tuo ciauro? Che ne è stato dei gelsomini? Non li sento più. Chi mi conforta? Continua »

    Palermo
  • Il “telefoneddu”

    Senza avere la presunzione di dire niente di nuovo, pensavo che il ‘900 è stato il secolo dell’accelerata. Nel senso che, nel campo della tecnologia, sono stati fatti passi in avanti esagerati. E ci pensavo in rapporto alla tecnologia e agli “anziani”. Ora non me ne vogliano quelli che sono sui 70 anni, perché li chiamo “anziani”. È solo per comodità e sono davvero da ammirare. Noi siamo nati (quasi) con il telecomando in mano. O meglio, alcuni hanno fatto da telecomando vivente, quando ancora non c’era: «Giuseppe, alzati e cambia canale, ‘o papà». Io mi ricordo l’acquisto della prima tv a colori, a metà degli anni ’70. Loro sono passati dalla campagna (pure quelli che abitavano a Palermo che, appunto, era tutta campagna) al vortice della città, dell’urbanizzazione selvaggia e alla necessità di adeguarsi al mondo che corre corre, va velocissimo tra pc e cellulari e se uno non si adatta rischia di restare tagliato fuori. A volte penso che sarebbe molto meglio. Esserne tagliati fuori dico. Ma ormai il vortice ci ha più o meno inghiottiti tutti. Loro si ricordano del telefono fisso come una magia, oggi devono strumentiare con cellulari & Co. I miei figli, a quasi un anno, sono generazione 2.0. quando hanno un telefono in mano con i tasti lo buttano via e cercano il touch screen. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Lessico siciliano quater

    Proprio quando mi convinco di avere già letto (e scritto) tutto sulla lingua sicula, il suo lessico, la sua fonetica e le sue evoluzioni (o involuzioni), vengo puntualmente smentita da nuove “scoperte”. Basta ascoltare anche solo il dirimpettaio per accorgersi che non si può mettere un punto all’argomento. Solo puntini di sospensione. Eccomi, quindi, pronta ad un aggiornamento. Palermitanissimo, se mi si concede il superlativo. E va bene che siamo impastati con il latino, (oggellannu per esempio deriva dall’espressione latina “hodie est annus”) e va bene che di dominazioni ne abbiamo subite fin troppe, ma alcuni fenomeni linguistici restano, per me, inspiegabili.

    Voglio iniziare dalla fonetica. E inizio con una domanda: come può essere che un gruppo consonantico, al momento della pronuncia, muti totalmente suono, discostandosi dal grafema? Per dirla più facile, faccio un esempio, alla domanda «lei ha un’e-mail?», posta da un impiegato di un ufficio pubblico ad un signore che stava davanti a me, lui ha risposto: «Non sono vecchio, ho quarantaquazz anni, zanquillo, me ne sento di elezzonica”. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Sala d’attesa

    Prima d’ora mi è già capitato di parlare di sanità, medici (fiscali, anzi friscali) e malattie. Ma un aggiornamento ci sta. Uno perché gli acciacchi non mancano (e l’ipocondria manco babbìa, lo so) e due perché il siculo, col passare del tempo, non è che migliori. Anzi, si specializza sempre più in consigli miracolosi e diagnosi accuratissime sui più disparati problemi di salute. Durante l’attesa (estenuante) in un ambulatorio medico, non posso non constatare che la privacy non esiste. Siccome nella sanità pubblica è già assai se c’è l’ambulatorio con quattro sedie, mancando le riviste, uno che fa, botte di tre ore? Cerca di attaccare bottone.

    A questo punto vale la pena elencare le varie tipologie di personaggi che si possono incontrare in Sicilia. Continua »

    Palermo
  • Siminzina

    «Te ne devi andareeee! Come te lo devo dire che qua non ci devi venire? Pezzo di cane infame, schifiato, tu e tutti quelli come a tia! Vatinni! Vatinniiiii!» e mentre gridava, con gli occhi spirdati, le tremavano le mani. Le tremava pure la faccia, una specie di ticchio, vicino all’occhio destro. «Ancora qua è?! Niente! Non mi serve niente. Voglio restare qua. È tua la strada? Dimmelo, avanti. T’accattasti pure la strada? Va-ti-nni». E girate le spalle, stava a riprendere respiro, con la testa calata e i pugni chiusi. Imprecando dentro di sé che tornasse regolare, perché non le piaceva farsi vedere senza controllo. Avrebbe potuto pregare. Ma non ce la faceva. Non ci poteva credere più. Troppe volte era rimasta ad aspettare, troppe volte aveva sperato che la Madonnina e Gesù la venivano ad aiutare, ma mai si erano visti e manco sentiti. Sua nonna dice che ci parlava. Ma a lei non la sentivano. Allora aveva smesso di tuppuliare pure a quella porta. Ora, che cosa voleva quello? Impalato, fermo a taliarla, con la faccia che sorrideva e il suo vestito nivuro. Che ci rideva? Sicuro qualche cosa voleva. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • La bella gente

    Ho smesso di fare la cosiddetta vita mondana da qualche anno, un po’ per sopraggiunti impegni familiari e un po’ per stanchezza dovuta all’età che avanza. Ammettiamolo: vent’anni buoni di sbrio ci bastano. Uno comincia intorno ai diciott’anni e giunto a quaranta un poco si deve siddiare di fare le stesse cose. Ai miei tempi (non c’è niente da fare, mi viene di dirlo “ai miei tempi”) dai sedici ai trent’anni, si usciva il sabato e c’erano le pizzerie, poi sopraggiunsero le paninerie, poi i pub con la musica dal vivo. Un cinema ogni tanto. La discoteca. Le feste. Le benedettissime feste private a cui si scoppava portati da amici di amici. Dai trenta ai quaranta arrivò l’epoca dell’aperitivo, dei ristoranti un po’ più ricercati (che la singletudine ci faceva permettere…). Ora non pretendendo di avere scoperto l’acqua calda, mi pare di avere notato un fenomeno che sicuramente non appartiene solo a Palermo, ma che a Palermo sembra essere legge non scritta. Ora vengo e mi spiego. Anzi no, già sono qua. Quindi mi spiego e basta.

    Nei succitati venti e passa anni di sbrio, ogni tanto, distrattamente, come capita quando vivi le cose e ci sei dentro, mi ponevo qualche domanda sul perché ovunque andassi, incontrassi sempre le stesse persone. Può essere mai? Mi chiedevo? E mi rispondevo pure, è che Palermo pare grande. Ma è un pirtuso. MaiMaria. Niente di più falso. Ci sono persone che non si incontreranno mai. Perché Palermo è divisa in caste. Come quelle dell’India. Sissignori, pensiamoci. Continua »

    Palermo
  • La maternità a Palermo, le prugne assassine e la gatta ‘mbriaca

    Dato per scontato che la maternità è un fatto eccezionale a qualunque latitudine, che la gravidanza è uno stato di grazia che accomuna tutte le donne del mondo (anche se qualcosina da obiettare ce l’avrei), a Palermo e in Sicilia tale periodo si riveste di un’atmosfera speciale. Intanto perché alla donna che “aspetta” si concedono trattamenti di favore e complimenti e poi perché, come nel caso dei malanni, c’è sempre qualcuno disposto a darti un consiglio, pure se non ne sa niente. Perché il palermitano è così: deve parlare, non ce la fa a tenersi chiuso nemmeno quando un argomento non è di sua pertinenza. Quindi ecco le categorie nelle quali mi sono imbattuta, dopo la nascita dei miei gemellini.

    QUELLI CHE NON VEDEVANO L’ORA: sono amici, ma anche parenti priati. Ma non dell’evento in sé. No. Loro ci sentono prio che ci stai passando pure tu. Racconti loro che non dormi la notte? «Eh caro mio! Minimo minimo sono i primi tre mesi, ma mio figlio non ha dormito per 15 mesi…quindi!». E ancora: «Certo per tornare in forma dopo il cesareo, per lo meno tre anni ci vogliono!». «Ah hanno pianto tutta la notte per le colichette? Ancora niente hai visto!». Del resto durante la gravidanza (che essendo gemellare mi ha regalato oltre 20 kg., dico oltre perché poi ho smesso di pesarmi!) le pacchione più pacchione che conosco (con rispetto parlando, ci mancherebbe altro), ogni volta che mi vedevano esclamavano compiaciute «mi quantu si’ fatta!». Sì, ma almeno io sono incinta!. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Senza pane

    Scrivere di palermitani e cibo non è cosa semplice e, di certo, non mi accingo a trattare l’argomento in modo scientifico, né, tanto meno, esaustivo. Mi limiterò ad esaminare alcuni aspetti legati all’approccio, unico al mondo, che il palermitano ha con il cibo. Anzi con il mangiare. Da noi così si chiama: il mangiare. Verbo all’infinito presente…e già l’infinito dà un’idea vaga di quanto importante sia questo gesto che, se per altri è legato solo al nutrimento, per noi racchiude una infinità, appunto, di significati.
    Siccome non è possibile trattare del menu giornaliero del perfetto palermitano, senza sprecare i famosi fiumi d’inchiostro, osserviamo più da vicino la colazione. I nutrizionisti affermano che sia il pasto più importante della giornata. E noi li ascoltiamo. Magari troppo, la verità.
    Ho un esempio di palermitano a casa. La mattina prende un caffè al volo e giusto un paio di biscotti. Solo che verso le 11:00 reclama la “seconda colazione” (come la chiama lui) o richiamino (come il vaccino). Giustamente. E qua si apre un mondo. Anzi due. Quello dei tifosi del salato e quelli dei tifosi del dolce.
    Perché se c’è chi, come mio marito, assume una brioche, anzi una broscia senza niente o, al limite un cornetto (croissant per il resto del mondo) e un caffè, c’è chi ha un ben altro concetto della colazione al bar. Continua »

    Palermo
  • San Valentino a Palermo

    Non amando molto le feste, chiamiamole “commerciali”, sono portata ad ignorarle, storcendo un po’ il naso pure. Sarà snobismo, sarà allergia, sarà grevianza ma, oltre alla festa delle donne, pure San Valentino mi sta sommamente sulla panza. Sarà circa una settimana che rifiuto inviti su facebook a ‘ste benedettissime cene dell’amore con annessi e connessi. Camurria vero va’. A meno che non si sia minorenni non trovo scusanti per festeggiare, fuori a cena, San Valentino.
    Magari una fuga romantica. Ma c’è la crisi e viaggiare costa. Però anche restare costa. Ma siccome ogni scusa è buona per celebrare, al solito, chi festeggia davvero è chi organizza e vusca piccioli. Continua »

    Palermo
  • Lessico siciliano ter

    Torno dopo una lunga pausa per un aggiornamento sul lessico siciliano sempre in continua evoluzione e, in taluni casi, rivoluzione.
    È in rivoluzione l’italiano, perchè non dovrebbero esserlo pure i dialetti? Con dolore ho scoperto che tra le parole entrate nel nuovo Zingarelli 2011, ce n’è una che mi sta sommamente sulle scatole perchè suona finta, spocchiosa e me la immagino già pronunciata con la e aperta: l’apericena. Anzi l’aperiSceana. Si capisce, in tempi di crisi, fai finta che fai l’aperitivo e invece ceni a sbafo. Ma che bisogno c’è di chiamarla così? Vorrei sapere a chi è venuto in mente. A qualcuno che, secondo me, festeggia pure il comple – mese con la fidanzata. E come funziona? All’apericena vanno gli aperifighi, con le aperiauto e le aperiamiche? Ogni apericalcio nel culo che gli darei…Organizziamo sfincionate e meusate se ce la fidiamo. Perché fino a che uno sbaglia perché è ignorante passi. Ma che si debba inventare una parola dal niente per sembrare più cool proprio non mi cala. Suona tascio e sempre con le vocali aperte. «Ciao Ale, ci vieni all’aperiSceana stasara? C’è bella geante». Aperigeante direi. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Quando sposi? (parte seconda)

    L’ABITO: hanno un bel lamentarsi i maschietti che noi andiamo scollacciate alle cerimonie, mentre loro devono infagottarsi con giacca e cravatta (alcuni al limite aggiungono il gilet che dà quel tocco di finezza in più), ma che ne sanno della fatica di dovere scegliere l’abito da sposa? Delle aspettative degli altri sul tuo abito. Gli abiti maschili sono tutti uguali! Certo al mio matrimonio ho potuto apprezzare delle simpatiche varianti in raso dal colore cangiante dal nero al viola, o dal grigio al salmone, ma il modello bene o male sempre quello è. Tant’è che mio papà ci provò a dire che avrebbe indossato quello del matrimonio di non so chi, ma ci fu un repentino cambio di idea al sibilo di mia madre (seguito al fulmine scagliato con lo sguardo) di «si sposa tua figlia» (sottinteso ringrazia il Signore che non c’era messo, statti muto e comprati l’ennesimo vestito uguale). Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Quando sposi? (parte prima)

    Magari alcuni si saranno chiesti che fine avessi fatto. O magari no. Anzi molti si staranno chiedendo perché sono tornata. Ad ogni modo sono stata un po’ impegnata a preparare un matrimonio. Il mio. E lo so.
    Avevo dichiarato che single si nasce ed ero pure convinta. Niente, tutta chiacchiere e distintivo sono. Bello fu il periodo di singletudine, ma ci bastò. Del resto se non mi fossi sposata non sarei mai entrata nel fantastico mondo del matrimonio a Palermo. Perché sposarsi a Palermo, in Sicilia in genere, non è come sposarsi altrove.
    La prima cosa che ho scoperto è che tanto più il matrimonio è semplice tanto meno sei cool. Un po’ di tempo fa Palermo fu definita la città, addirittura, più cool d’Italia. Quindi pure i matrimoni devono essere cool. Invece l’aggettivo “semplice” in Sicilia non si accorda con il sostantivo “matrimonio”. Ma, per fortuna, abbiamo insistito. Niente limousine, niente cavalli, niente colombe (per carità bella immagine, ma ho sempre pensato che i poveri animali costretti in gabbia per un paio d’ore potessero “lasciarsi andare” e diciamo che con quanto costano gli abiti non mi sentivo di rischiare una cacata di palumma prima del ricevimento). Niente fotografo di grido che ti assicuta, ti aggiusta il vestito e il velo e ti porta alla Marina a farti le foto in cui gli sposi guardano un punto lontano dell’orizzonte e pare che non si conoscono.
    E poi, cool o no, checché ne dicano le dirette interessate le mamme e le nonne (se ci arrivano al matrimonio sempre più tardivo delle nipoti), in Sicilia, preparano l’evento dalla nascita della figlia femmina, la quale, come la sottoscritta, è più o meno ignara di ciò che la aspetta. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Lessico siciliano bis

    Da sempre la passione per la lingua sicula e i suoi costrutti un po’ streusi (concedetemi il termine catanese) mi appassiona. Chi mi conosce bene lo sa. Sono capace di passare serate intere a discutere di derivazioni improbabili e, quindi, quello che segue è il resoconto di un dopo cena passato a stupitiare.
    Cominciamo col dire che a ora di sottintesi ed espressioni ermetiche non abbiamo uguali.
    Per esempio quando vogliamo dire che nonostante tutto qualcosa non va come vorremmo usiamo un costrutto che resta in sospeso, per esempio no, sto bene, per mangiare mangio. Dovrebbe seguire eppure continuo a dimagrire, ma chi parla sa che l’interlocutore ha già capito. Oppure per dormire dormo, sottinteso ma sono sempre stanco. Gli esempi sono, ovviamente, infiniti, l’aereo per partire parte, mi disse una volta una hostess, solo che non si sapeva a che ora sarebbe partito, ma lei non ritenne opportuno aggiungere la seconda parte della frase. Oppure no il bambino per leggere, legge. E certo per quale altro motivo dovrebbe farlo? Chiedo aiuto agli esperti, se dovessimo fare l’analisi logica potrebbe essere un complemento di limitazione, ma sento ciavuru di influenza francese. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Alfio

    Avia ‘nu sciaccareddu, ma veru sapuritu, a mia mi l’ammazzaru, poveru sceccu miu. Chi bedda vuci avia, paria nu gran tenuri, sciccareddu di lu me cori, comu io t’haiu ‘a scurdari. E quannu cantava facia iho, iho, iho, sciccareddu di lu me cori, comu io t’haiu ‘a scurdari.

    Provava a farsi forza cantando sempre più forte, ma sentiva che se si fosse fermato anche solo un minuto il groppo che aveva in gola e che teneva fermo cantando si sarebbe sciolto e avrebbe pianto ancora. Cantava per non piangere e per non sentire le campane nella testa. Ma non finiscono mai le lacrime si domandava mai? Come può essere? E allora smesso un ritornello ne attaccava subito un altro. Haiu nu cappidduzzu, ch’è veru sapuritu. Quannu ti l’hai a mettiri ? Quannu mi fazzu zitu. E scinnu di lu Cassiru, scinnu cu dui banneri, e tutti mi salutanu: bongiornu, cavaleri! Alla parola zitu le prime lacrime avevano cominciato a scendere e Alfio aveva ceduto di nuovo. Affossava la testa nelle spalle e si abbandonava a un singhiozzo che manco pareva provenire da lui. La sera si buttava nel letto, vestito, con dei calzonacci di velluto suciti e ogni tanto gli calava il sonno ma si ‘nzunnava sempre a Ancilina sua. Certe volte gli pareva di sentirla trafficare ancora in cucina, sentiva i rumori, si svegliava di soprassalto e ricominciava a piangere. Continua »

    Sicilia
  • Lessico siciliano

    Torno a scrivere di lessico siciliano perché mi risulta impossibile non notare costrutti che solo in Sicilia hanno un senso e sembrano far parte di un codice linguistico condiviso e compreso da tutti.
    Iniziamo dall’immancabile colazione al bar.
    Intanto da noi l’orario di punta va dalle 8:00 (prima colazione) alle 11:00 (seconda colazione, o richiamino, come il vaccino). Quanto a mangiare non ci fotte nessuno.
    La frase di cortesia del banconista (ma anche del macellaio o del salumiere di quartiere), al momento della consegna di quanto ordinato, sia esso caffè o tre chili di capoliato è la seguente: io, l’ho favorita. Già, perché noi non serviamo, facciamo “favori”.
    Mi sono più volte interrogata sulla incapacità del siciliano di fare la fila e, finalmente, dopo anni ormai di riflessioni e travasi di bile, sono giunta alla conclusione che è un problema congenito. Niente. ‘Sta cosa nel dna quando nasciamo non c’è. E siccome ci viene naturale, non ci facciamo manco caso. Continua »

    Palermo, Sicilia
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