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e-mail: palermoefimmina@libero.it

Biografia: Maria Cubito è nata il 14 dicembre del 1970 in provincia di Catania, città nella quale ha vissuto, per la cronaca, solo per i primi 3 mesi della sua esistenza, poi dopo varie peregrinazioni per l'Italia si è stabilita a Palermo nel '76...pertanto è più palermitana di quel che sembra! Laureata in lettere classiche insegna da 14 anni, conciliando il lavoro "ufficiale" con l'"hobby" della radio. Conduce infatti su Radio Time (ormai non si ricorda più nemmeno lei da quanti anni...) Volevo essere bionda dalle 3:00 alle 5:00 del pomeriggio. Sue grandi passioni: la pizza, i libri, il vino rosso, il mare e l'Inghilterra!

Maria Cubito
  • Malelingue

    «‘Ssa benedica».
    «Sant’ e ricca».
    Rispose quasi automaticamente. E se la trovò davanti all’improvviso.
    Era entrata prendendola un poco di sorpresa. A quell’ora del dopo pranzo, solo sua sorella di solito passava a trovarla. Si bevevano un caffè d’orzo ed erano capaci di stare mute anche per due ore, sospirando di tanto in tanto fino a che non si faceva l’ora che Tina diceva sta scurannu, ti saluto. E invece, quel giorno, era una che lei non aveva visto mai.
    Dritta ca pareva un manicu di scupa, poteva avere trent’anni, vestita di città, i capelli ricci e due occhi che le pareva di avere già visto. Occhi che le avevano già parlato prima di allora. Occhi che stavano continuando a parlarle mentre le si incollavano di sopra. Ma ‘sta furistera Maria non l’aveva vista mai prima. Che ci era venuta a fare a casa sua? Le aveva poggiato una scatola bianca sulla tavola e così com’era entrata se n’era uscita. Aveva solo aggiunto: «tanto, ormai per quello che vale». Continua »

    Sicilia
  • Tragediatori

    Non lo so se è peculiarità dei maschi siculi. Altrove ho parlato sia della differenza tra uomini e donne, sia di malattie, medici e compagnia bella. Ma tornando a descrivere le gioie della convivenza, dopo un po’ ci può stare che uno accusa un qualche malessere. Io, per esempio, un giorno sì e un giorno no, ho mal di testa. Ma è lo stress, dice. Ora mi chiedevo se è tipico di tutti gli uomini o solo di quelli nostrani essere un po’ drama kings. Che poi è la versione maschile della più famosa drama queen. Detto di donna che, dicono gli americani, ha una “overreaction”. Ma se vogliamo finirla di fare gli anglofoni tutti i costi il termine esatto, in siciliano, ci sarebbe: tragediatore.
    In genere il tragediatore è uno che ha reazioni esagerate per ogni minchiata. Sono fortunata: il “mio” è tragediatore solo nelle questioni di salute. Per il resto se ne fotte. Intendiamoci, no non è ipocondriaco. Quella parte la recito io, lasciandomi cogliere dal panico per ogni giramento di testa e ingurgitando quintali di medicine per ogni occasione. Vanto un’esperienza lunga di anni, ma non mi lamento quasi mai. All’apparire di quello che per me è il primo sintomo, mi inchiummo una pasticca e continuo a fare quello che stavo facendo. E nemmeno (tocchiamo ferro) ha chissà quali patologie da combattere. Solo possiede una soglia di sopportazione del dolore, a mio parere, bassissima.
    Non è che voglio essere severa a tutti i costi, ma ringrazio il cielo di avere la sindrome della crocerossina. Vera però, non metaforica.
    Andiamo nel dettaglio. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Le gioie della convivenza

    Ora non è che lo faccio per lamentarmi pure quando sto benone. Ma mi andava di riflettere su alcuni aspetti della vita, diciamo, “in condivisione”, di trovarci il lato comico. E mi chiedevo se solo a me succedono certe cose. Nel senso che ti può capitare che fai prove di “convivenza”.
    Calma. Vanto un passato da single. E pure in carriera, per quanto di carriera si possa parlare a Palermo.
    Lavoro 12 ore al giorno, come i milanesi, ma abito in Sicilia. Ecco. Se si uniscono, ad un’età che non è più quella della pubertà, due singletudini palermitane, possono esserci meravigliosi e inaspettati effetti collaterali. Oltre a tutto il resto, si capisce.
    Lo so, lo so. L’avevo detto manco cinque mesi fa: single si nasce. Ma che faccio? Per coerenza rifiuto?
    Abituata a vivere di panza, mi butto senza pensarci (Su questo “senza pensarci” ci sarebbe un lato romantico che preferisco tenere per me. Anzi per noi.).
    Il punto è che giunti quasi a 40 anni, certe cose te le puoi accollare solo con chi è abituato a vivere come te. Che lavora pure lui 12 ore al giorno. Quale potrebbe essere la definizione? Single pentiti? Attummuliati tardivi? Fatto sta che i problemi sono inversi a quelli delle coppie diciamo “giovani” che vivendo con le famiglie d’origine devono partire proprio da zero.
    Vediamoli nel dettaglio. Continua »

    Palermo
  • Gino

    Gino aveva una borsa “da lavoro” un poco sgangherata e tutta lisa. Era legata con un luppu perché lui ci teneva assai a portarsela appresso, anche se si era rotta quasi subito. Pure se non c’era niente dentro. Ci teneva assai, soprattutto, a non sembrare uno di strada. Perché la strada gli era capitata. Non l’aveva scelta. C’era caduto. Non chiedeva elemosine. Solo, se qualcuno gli dava qualcosa, un panino, una giacca, una coperta, lui se lo prendeva e ringraziava dicendo grazie molto gentile. Per il resto non parlava mai con nessuno. Non aveva fatto amicizia con gli altri che stavano là. Parlava da solo. O almeno gli altri erano convinti che parlasse da solo. Parlava col vento lui.
    Prima aveva avuto un lavoro. Serviva ai tavoli in un bel ristorante, vicino al mare. Si vedeva la muntagna e lui si sentiva tutto contento quando, finita la serata, si fumava una bella sigaretta (se ne poteva comprare due al giorno sfuse, a 5 lire l’una, ma se le faceva bastare) affacciato al belvedere con la muntagna che fumava pure lei, come lui, affacciata sul mare.
    Poi gli capitò che cadde innamorato. Proprio così. Truppicò nell’amore. Gli piaceva come lo diceva lei, mentre rideva: sono caduta nell’ammore, gli suonava come una musica, gli pareva una fatalità. Che ci traseva lui? Era caduto nell’amore. E ci era rimasto, come un fissa, per tutta un’estate a zappare i suoi sogni di cameriere che cade nell’amore per una ragazza bianca bianca e sicca sicca, piena di lentiggini e furastera. Ma era cadutoContinua »

    Sicilia
  • Scusando i presenti

    Che fa? Prima di Natale vogliamo negarci un paio di riflessioni sulle espressioni sicule? Tanto lo so che se scrivessi un post sull’importanza di trovare la pace nel mondo sotto l’albero, pensereste che non l’ho scritto io. Infatti non l’ho scritto. Non lo so fare.
    Invece osservo i miei concittadini, li ascolto mentre parlano e mi scopro pure mentre mi produco in espressioni che poi mi fanno rimproverare da sola ed esclamare “ma non eri professoressa di italiano tu?”. Perché il rischio di contagio è altissimo. Uno assimila e poi ripete.
    Ci sono espressioni, sbagliate, ma allegramente usate da tutti. Pure da chi ha la pretesa di sentirsi più o meno “purista”.
    Cominciamo dall’ambito cucina. In Sicilia amiamo i sottintesi. Non specifichiamo, diamo per scontato che l’interlocutore ci capisca. Se è siciliano anche lui ci capisce certo. Altrimenti…
    Partiamo dalla mattina. Tutti facciamo il caffè. Il siciliano, dopo averla montata (termine che mi ricorda, da un lato, un mobile in kit di Ikea e dall’altro la “monta” degli animali e quest’ultima immagine ha un non so che di inquietante) mette la caffettiera sopra. Ma sopra esattamente cosa? Il fornello è ovvio. Certo. Ovvio per noi. Provate a dirlo a un Milanese. Ho messo il caffè sopra. E dopo un po’ di minuti aggiungete pure: il caffè è salito, scendi la caffettiera. Se è dotato di un po’ di logica dovrebbe rispondervi: ma come non era già sopra? Dove sale ulteriormente? E perché la caffettiera ora scende? Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Buon viaggio

    Non so se la parola giusta da usare sia coraggio. Ma non ne trovo una più pertinente. Lo so che non sei in fuga, anche se tu pensi che stai scappando. Che ti senti troppu fuorti che stai mandando a ‘fanculo Palermo. Finalmente. Ma lo vedo che ti brucia. Hai il sorriso di traverso. Ti viene una smorfia. È un sorriso un poco storto. Sei siddiàto.
    Sei siddiàto perché ti scanti e non lo puoi dire, hai il sorriso storto, confuso per le idee che hai affuddate nella testa e se tieni ferme le gambe, ti trema lo stesso il culo. Lo so. Ma, tu lo sai pure. Io mastico le lacrime, ma sazio non te ne do. Ti dico buon viaggio e ‘u Signuri t’accumpagna. Fino a Milano. Tanto Lui lo sa quello che deve fare. Conosce la strada. Pure la tua. Pure se quarant’anni già li hai fatti. Lo so che ti viene di sbatterti la testa nel muro. Di chiedere perché a questa città dove sei nato. Ma gliel’hai chiesto tante volte e non t’ha risposto mai. E io, invece di fermarti ho preparato due valigie.
    La mia e la tua. Continua »

    Palermo
  • Professore’ (atto terzo)

    Mica ho cambiato mestiere. Faccio ancora la professore’. Per fortuna. Alcuni colleghi credo che stiano pensando di cambiare lavoro sul serio. E non perché non lo vogliono fare. Perché li hanno mandati a casa. Alcuni anche dopo dieci anni. Altri hanno fatto le loro truscettine e se ne sono andati al Nord. Almeno hanno avuto questa opportunità. Nelle città in cui c’è ancora posto. Dove ancora ci vogliono. A noi del sud che studiamo.
    Scrivo ancora di scuola perché occupa gran parte della mia vita e perché sono fortunata visto che faccio quello che volevo fare. Magari non alle condizioni in cui lo faccio. Sognavo di insegnare perché ho avuto grandi insegnanti. Merito loro. O colpa loro.
    Mica lo sapevo che mi sarebbe finita così. Ci hanno tagliato i posti. Lo sanno tutti. Anche se nessuno fa niente. Da poco è spuntato un decreto “salva – precari”. Fa ridere. Un contrattino in cui ti danno qualche soldo, 13 ore e il punteggio assicurato. Per fare cose che dicono “loro”, progetti forse, non è molto chiaro. Ci stanno mettendo l’ennesima pezza (oltre a quelle che abbiamo al culo) e una mano sulla bocca. Così stiamo muti. Del resto non è che ci distinguiamo per compattezza di categoria. Una guerra tra poveri. Lo sanno tutti. Un mio alunno mi disse una volta professore’ lo sanno tutti che i prufussura vuscanu picca. Gli risposi che non è un mestiere che puoi fare per soldi. Continua »

    Palermo
  • Quando mi arrivò la proposta

    Quando mi arrivò la proposta, ormai tre anni fa, di scrivere per Rosalio, manco sapevo cos’era un blog. Né avevo mai scritto niente prima, se non per me. Non avevo idea di dove tutto questo mi avrebbe portato. Le cose migliori della mia vita sono state a “scattìo”, come questo libro.

    Maria Cubito - “Palermo è fimmina...con rispetto parlando”

    Ieri ho avuto la prima copia in mano e sono stata intronata ad annusarlo, muta. Poi l’ho aperto e l’ho riconosciuto. Evito ogni retorica perché non mi si addice. Però nei ringraziamenti alla fine, cito tutti i commentatori di Rosalio a cui dico grazie, sia a quelli che mi stimano, sia a quelli che, criticandomi, mi hanno fatto mettere in discussione.
    Lo faccio di nuovo anche qui. Grazie. Che fa, vi aspetto al Kalhesa, mercoledì 4 novembre alle 18:30?

    Palermo, Rosalio
  • Tornare indietro

    Se potesse tornare indietro non si addormenterebbe più. Prenderebbe quella coperta a quadretti rossi e neri e la lancerebbe fuori dal finestrino della macchina. Per buttarla in mezzo alla strada. Perché in mezzo alla strada ci devono stare le cose fituse e vecchie. E invece lei si addormentava sempre, là dietro. Perché si fidava. Perché i bambini si fidano. Le pareva di essere al sicuro mentre le luci e i palazzi correvano veloci, più veloci dei suoi occhi. Ci provava a contarle quelle luci e le seguiva ma non ce la faceva a resistere e allora, con una mano sulla faccia e un’altra ad arricciarsi i capelli, le sembrava di essere dentro l’acqua, con le onde a dondolarla e il freschetto sulla faccia, mentre tu cantavi guidando una canzone che parlava di rose rosse. E certi sogni che faceva. Di voi due su un campo tutto giallo a sprofondarci la testa. Col sole forte forte da fare chiudere gli occhi per non farli piangere… Continua »

    Palermo
  • Single si nasce

    Tempo fa scrissi un post dal titolo Single in carriera a Palermo. Abbandonato lo status di fidanzata che mi sono portata appresso per un po’ (è stato divertente ma ci bastò) ci ritorno.
    Mi convinco sempre più che single si nasce. Certo, ribadisco ancora una volta che ‘sta cosa della carriera a Palermo non funziona; non ci somiglia per niente a quella dei film, ambientati a Manhattan…tutta vernissage e cene di beneficienza… Sarà che Palermo proprio Manhattan non è, tutti ‘sti vernissage non li ho visti mai. O forse non mi invitano. Perché sono single. Facendo una citazione colta ne Il diavolo veste Prada, la protagonista, sempre più assorbita dal lavoro e in crisi con il fidanzato dice «La mia vita privata è appesa a un filo…», si sente rispondere: «Benvenuta nel club, è quello che succede quando cominci a funzionare sul lavoro, tesoro… Fammi sapere quando la tua vita va completamente all’aria, vuol dire che è l’ora della promozione». Continua »

    Palermo
  • Te lo giuro

    Gli avevano giurato che sarebbe tornata a riprenderselo.
    Lui ai giuramenti ci credeva assai. Perché ogni volta che gli era capitato che qualcuno giurasse poi puntualmente il fatto era successo. Come quella volta che aveva sentito sua madre gridare dietro la tendina te lo giuro, sopra a Saro, se mi tocchi di nuovo non mi trovi più. E infatti, vero era stato, il giorno dopo, l’aveva preso e se ne erano partiti di corsa. Era mattina presto, faceva ancora buio e l’aria fresca dell’alba gli pungeva le guance. Forse voleva piovere pensò.
    Non si era lavato, né aveva potuto pettinarsi i capelli per la premura, che se non se li sistemava la mattina con un poco d’acqua gli restavano dritti sulla testa. ‘U chicchiriddu è, perché sei tosto, gli diceva lei. Però senza rimprovero nella voce, anzi lo abbracciava e rideva. Le voleva bene Saro a questa madre un poco distratta e strafalaria, come la chiamava sua nonna. Lo faceva ridere quella parola, però non gli piaceva il tono di voce roco di sua nonna. Non gli piaceva proprio lei. Sapeva di pomodoro acido. Continua »

    Palermo
  • Agostino

    Io mi chiamo Agostino, pure se sono nato a novembre. E sono nato a Palermo nel 1989 quindi ho 20 anni. Però dico che ne ho 25 così mi fanno lavorare forse. Questo del lavoro è il mio problema. Perché a scuola non ci sono voluto andare manco scannato e non mi sono preso le scuole medie. Quindi pure se ho lasciato i miei nominativi al supermercato vicino al tribunale lo so che non mi prendono perché ci vuole la scuola media. Ma io a quella serale non ci voglio andare, perchè mi sento accupato a stare chiuso tre ore ogni sera. E perciò mi devo accontentare di quello che mi fa fare il signor Biagio che mi conosce da quando ero nico e mi fa lavorare. Cioè, lui fa i servizi di ristorante e io ci vado, lo aiuto tipo dalle 5:00 all’una di notte e mi dà 25 euro. Buono è. Non è che faccio niente. Sto all’impiedi e faccio i piatti ai signori della festa. Tanto non ho chiffare.
    Quello mi ha buttato fuori. Meglio è. Mi sento sollevato. Che non ne potevo più di sopportare le cose che mi rinfacciava. Mi pigliò che avevo 16 anni. Non è che le capivo bene bene le cose, manco ora se è per questo. Però ora l’ho capito. Prima no. Io, lo voglio dire, lo odio. Lo odio mille volte di più di quanto gli ho voluto bene. Solo che non l’avevo capito. Ora si però. Se ne approfittò perché ero carne fresca…lo schifoso. Lui già aveva 35 anni. Io 16. Continua »

    Palermo
  • Riflessioni linguistiche

    Forse sarà l’estate, o forse lo stato di semi vacanza in cui verso…o forse sarà che sono proprio fissata con le indagini linguistiche, ma nei lenti pomeriggi di luglio non faccio niente e penso. E penso che il palermitano non finirà mai di stupirmi. Ogni giorno, ogni conversazione si rivela spunto di riflessione su quanto meravigliosa sia la lingua siciliana. O meglio le traduzioni dal siciliano all’italiano.
    Iniziamo dall’uso della proposizione finale. Il palermitano fa un mix tra quella implicita (per o di + infinito e omissione del soggetto, es. “per prendere”) e quella esplicita (affinché + soggetto + il congiuntivo es. “affinché tu prenda”).
    Esempio: “Ti ho comprato la coca cola zero per TU fare la dieta“. Oppure, allo zoo “mamma perché c’è il laghetto?”, risposta: “Per LORO (gli animali) bere, ‘a mamma”. Quest’ultimo intercalare varia, naturalmente per ogni grado di parentela : ‘a mamma, ‘o papa, ‘a nonna, ‘o nonno, ‘o zio e via discorrendo. Certe volte si può pure fare l’italianizzazione. Mia zia una volta per consolarmi mi disse: “non fare così, la zia, è inutile che ti disperi”. Continua »

    Palermo, Sicilia
  • Selezioni pubblico impiego

    Poi dice che uno si lamenta sempre di tutto e che non gli va mai bene niente…che i siciliani sono così: lamintusi e quasi quasi ci traggono piacere nel lastimarsi. Allora, se così è, io sono siciliana. E mi lamento. Mi lamento e mi chiedo: la selezione per i posti del pubblico impiego come la fanno (se la fanno)? Quali sono i criteri di selezione (se ci sono dei criteri di selezione)? No, perché io, costretta mio malgrado, un’idea me la sono fatta. Potrebbero essere i seguenti:

    • essere sciarriati con la gentilezza;
    • non sorridere mai;
    • urlare quando viene richiesta un’informazione, che, di norma, è a discrezione personale dare;
    • fare tante pause caffè; anche due in un’ora

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    Palermo, Sicilia
  • L’attesa

    Tu mi avevi detto aspettami e io ti ho aspettato. Ubbidiente. Ho detto sempre sì nella mia vita, nemmeno ci pensavo che potevo pure dire no.
    Ti ho aspettato nelle notti in cui il silenzio mi abitava la testa e mi sconzava i pensieri.
    Ti ho aspettato quando mi girava la testa ‘mbriaca del tuo odore di zagara, ma non c’era manco un fiore vicino a me. Io sola volevo sentire il profumo.
    Ti ho aspettato quando l’unica musica che sentivo era un rintocco dentro le orecchie, con le mani poggiate a spegnere un tac tac che non voleva stare muto, come un orolologio incantato fermo alla stessa ora.
    Ti ho aspettato quando non capivo cosa fosse quel buio denso fitto e nero che mi abbracciava. Non ho avuto paura. Ti stavo aspettando e cantavo piano piano una filastrocca antica che mi dava coraggio:
    Angilu battangilu
    Pigghia lu iattu e mungilu
    mungilu ‘nt’o bicchieri
    e Angilu cavaleri
    .
    Continua »

    Sicilia
  • Fissa e scairti

    M’abbuttò. Esordisco così alla palermitana, perchè, anche se non lo nacqui, tale mi sento e l’ho dimostrato molte volte. M’abbuttò vero. E non è un lamento a matula. Somiglia più a una sorta di rassegnazione. Non parlo dei cumuli di munnizza strada strada, no. Parlo dei comportamenti spiccioli, quotidiani. Abbiamo un bel vantarci che abbiamo il sole, abbiamo il mare, abbiamo ‘u panino c’a meusa. Spesso ci vantiamo pure di avere tra gli antenati arabi e normanni. Fossi un arabo o un normanno non mi sentirei così priato. Oggi, guidando, ho capito, dopo 30 anni che ci vivo, che i palermitani si distinguono in due grandissime categorie. Che non c’entrano coi tasci, coi fighetti e così via. Sono due categorie trasversali. Cioè puoi appartenere all’una o all’altra indipendentemente dal ceto sociale, dal grado di istruzione e dal lavoro che fai. Continua »

    Palermo
  • Vinnirina

    Il paese era quello che era e Mariannina l’aveva capito subito, l’autunno in cui diventò picciotta. C’era un solo bar, un barbiere (che quando serviva era capace pure di cavare i denti, con certe tenaglie grosse e lorde) e la culonna, una specie di fontanella (senza l’acqua) attorno alla quale nelle sere d’estate si riunivano due o tre vecchi a fumare e scambiarsi ricordi di quando partirono soldati o, più spesso, a stare muti e a murmuriarsi tra i denti. Poi, sempre nell’unica strada del paese, c’era una putìa che vendeva sale, zucchero, sigarette sfuse, marche da bollo ed era di proprietà di donna Rusina che era pure la mammana del paese. Tutti i carusi nati negli ultimi vent’anni erano passati dalle sue mani. Pure Mariannina aveva aiutato a nascere. Era un venerdì e il commento laconico del padre, dopo che sua moglie aveva trascorso tutta la notte a lastimarsi sudando e pregando Sant’Anna, mentre la muntagna tremava che pareva dovesse partorire lei, era stato il solito “nuttata persa e figghia fimmina” e se ne era andato a lavorare in campagna. L’avevano chiamata Marianna coi nomi di tutte due le nonne e la mammana aveva esclamato sollevandola “sì vinnirina, niente ti può succedere”. E infatti niente, le successe ma non nel senso che spirdi e lupi mannari non la potevano nuocere, come si dice per tutti quelli nati di venerdì. Continua »

    Sicilia
  • Totini, Manfredi e Nelli (aggiornamento 2009)

    È primavera e c’è la crisi. Dall’ultima volta che ho parlato di maschi palermitani è passato un bel po’ di tempo. Non era primavera e non c’era la crisi. Per il resto io e le mie compagne di merenda siamo allo stesso punto di prima, con qualche ruga in più e una disillusione collezionata in tasca. Abbiamo visto il film Sex & the city, ripassato Harry ti presento Sally, ci siamo concesse storie e storielle più o meno serie. Adesso facciamo il punto della situazione. Mizzica cambiano le cose, non so se in meglio, ma cambiano. Sarà colpa della primavera e del balletto degli ormoni. Accantonate le categorie Totini, Manfredi, Nelli, Alessandri e Gaetani, di recente abbiamo “schedato” altri due prototipi. Continua »

    Palermo
  • Il cassetto delle neglie

    Ce l’aveva mia madre, oggi ce l’ho io…lei ora è diventata ordinatissima (tzé…traumi pure questi sono, di colpo la madre, dopo 38 anni, ti diventa ordinata. Da un po’ stira pure le pezze da spolverare a cui fa l’orlo!) poi dice che non sono cose ereditarie…Mio fratello pure più d’uno mi ha confidato…chissà se è prerogativa sicula. Insomma di noi che siamo abituati ad arrangiarci e a non buttare mai niente…o magari è proprio di tutti quelli un po’ incunnati come me…ci sto arrivando. Sto parlando di un cassetto, anzi DEL cassetto. Il cassetto delle neglieAva’ confessate, l’avete pure voi, vero? Il mio è in cucina. Il primo. Gli altri, quelli sotto sono più o meno ordinati. Ma questo proprio pare una dimensione parallela, anzi no. Un buco nero. Perché a testa mia ci metto dentro oggetti che voglio tenere a portata di mano. Mai che trovassi qualcosa! Ci provo a mettere ordine, poi mi arrendo. Nel senso che arrivo a casa, piena di buoni propositi, lo apro, rovisto un po’ e ci levo mano. Una volta ci provò una signora delle pulizie. Mi offesi moltissimo. Nonostante tenesse in ordine pure l’armadio e la biancheria, IL cassetto NO! Lo sento come una cosa intima…se ne lamentava pure un mio ex pignolo…ho sempre glissato. Il cassetto delle neglie è annigghiato e così deve stare. Continua »

    Palermo
  • La meglio parola

    Fino a che si cunta è niente. Si dice così, perciò…parliamone! Certo, ci vorrebbe una premessa sull’amore “questo sconosciuto” e sul fatto che non si impara mai, che niente è definitivo e bla bla bla. Non me la sento di fare sta premessa. Lo confesso, un poco m’abbuttò. Voglio prendere la parte divertente che c’è dietro ogni lasciatina in Sicilia (e mi sa nel resto del mondo, ma meno colorita). Intanto l’imbarazzo che coglie il/la diretto/a interessato/a (lasciato/a o “lasciante/a” poco importa) nell’atto della comunicazione ufficiale. Che di solito avviene perché ti chiedono “Ma Bastiano/a come sta?” e tu sospiri e balbetti “ehm…veramente non lo so…”. Tutti, (naturalmente amici veri a parte, che sono quelli già giunti in tuo soccorso nella fase UNO che è la più drammatica, quella in cui dichiari che mai e poi mai avrai accanto qualcun altro/a e che ti attende un futuro di solitudine, disperazione e vita grama) ma proprio tutti i conoscenti (nella fase DUE che è quella del “devo pur lavorare e uscire di casa”) si sentono in dovere di consigliarti qualcosa. Non sanno niente, non siete mai usciti insieme, sapevano solo che stavi con qualcuno ma le reazioni sono molteplici e i tentativi di aiutarti ammirevoli, come bella tradizione sicula prescrive. Continua »

    Palermo, Sicilia
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