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martedì 23 apr
  • Transgender

    Il clamore mediatico suscitato dalle vicende di cronaca che hanno coinvolto personaggi politici e transessuali, mi ha richiamato, per associazione di idee, la confusione di genere, in atto in Sicilia, nel mondo delle persone giuridiche. Mi riferisco alle società di diritto privato (persone giuridiche) costituite da persone giuridiche pubbliche (es. Regione o Comune). Sino a qualche anno fa, era ad esempio pacifico che un Comune, per offrire un servizio quale lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani oppure il trasporto pubblico, si dotasse di un braccio operativo di natura pubblicistica (impresa organo) comunemente detto “municipalizzata”. In seguito, in concomitanza con l’affermazione sociale, negli anni ’80, della cultura del mercato e della Borsa, si affermò l’idea che l’uso di forme societarie privatistiche, ancorché controllate dalla mano pubblica, avrebbe garantito all’utenza maggiore efficienza. Alla luce dei fatti, temo che dietro la retorica dell’efficienza si sia celata soprattutto la grammatica del calcolo politico di corto raggio: faccio degli esempi.

    Se una municipalizzata del trasporto pubblico, vincolata all’evidenza pubblica di gare e concorsi per selezionare rispettivamente fornitori e personale, doveva, ad esempio, assumere degli autisti di autobus, ne avrebbe mai potuto assumere senza idonea patente di guida?

    L’autonomia patrimoniale di una società di capitali – è un caposaldo del diritto commerciale – viene meno in caso di azionista unico, a tutela dei creditori e a determinate condizioni di pubblicità. Eppure, oggi assistiamo allo sconfortante spettacolo di aziende comunali di servizi travestite con abiti privatistici quando si tratta di assumere senza concorso o altri criteri meritocratici tipici del diritto pubblico, ma che scoprono invece l’anima pubblicistica quanto intendono sottrarsi al fallimento, sanzione capitale infamante tipica del diritto commerciale, con l’acrobatico conforto del parere pro-veritate di insigni giuristi.

    Quando si decide che una società di capitali debba essere liquidata, a meno che non si tratti di grandi aziende con centinaia di dipendenti e quindi con potenziali problemi di ordine sociale, lo si comunica a dipendenti e fornitori e tutti se ne fanno una ragione, normalmente, con sacrificio personale. Quando la Regione decide una cura dimagrante delle sue partecipazioni, stranamente, ci si pone anche il problema di come ricollocare (tra l’altro, parenti e affini di politici) assunti senza bando pubblico: ma erano dipendenti pubblici o privati?

    La selezione dei manager di società private di rilevanti dimensioni oppure di quelle quotate è appannaggio delle società di cacciatori di teste. Non mi sembra però che i cacciatori di teste sgomitino per contendersi i manager di aziende comunali o regionali pur pagati fino a € 1.500 al giorno! Magari mi sbaglio: anche i manager di società quotate del settore delle utilities (rete gas, acquedotti, ecc.) proverranno dall’ordine dei dentisti!

    Che dire poi delle società miste, a capitale pubblico-privato, dove al socio privato di minoranza compete però la gestione? Non sono, molto spesso, la soluzione che meglio sostanzia il desiderio più inconfessabile di un certo capitalismo italiano: socializzare le perdite e privatizzare i profitti?

    Come si vede dagli esempi citati, a proposito di cose inconfessabili, l’abitudine di andare a trans non riguarda solo la condotta ambigua però privata di una certa classe politica, ma anche quella pubblica.

    Palermo
  • 3 commenti a “Transgender”

    1. Stupefacente esempio di trasposizione del fenomeno trans alle vicende e politiche gestionali gestionali delle locali pubbliche istituzioni.
      Da pubblicare sui più autorevoli quotidiani economico-finanziari del mondo.
      E da scriverci un libro, file under: “antieconomia & gestione transgender delle utilities”.

    2. Ottimo intervento, Donato, come sempre.
      Ma sei arrivato secondo. Lo stile di porre domande che non riceveranno mai risposta l’ha inventato Repubblica… 😉

    3. Caro Didonna,
      pero’ non dimentichiamoci anche gli esempi positivi di ASM e AEM (ora A2A)… insomma, il problema non sta nella forma giuridica quanto nella mancanza di accountability degli amministratori (in primis il “sindaco” di Palermo, Diego Cammarata). non sono cosi’ disposto a gettare la spugna sul “mercato”, anche se le public utilities sono argomento di una speciale letteratura, lungi dagli strali pro mercato della Chicago School…

      @Marcodisalvo,
      considerato che il massimo esponente della economia italiana (mi viene da ridere scrivendo!), il ministro Giulio Tremonti, afferma che “l’Italia ha sorpassato la Gran Bretagna come PIL nel 2009”, vedi
      http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/La_baggianata_del_sorpasso_della_Gran_Bretagna

      ritengo che ormai agli economisti italiani sia stata conferita de facto la licenza poetica! 😉

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