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giovedì 25 apr
  • “Bridge and tunnel” a Manhattan

    I residenti di Manhattan chiamano, con un pizzico di sufficienza, “bridge and tunnel” i forestieri, i visitatori, i pendolari, coloro insomma che vengono da fuori, necessariamente attraverso i ponti e i tunnel che collegano l’isola alla terraferma. Nel mio recente viaggio a New York ne ho incontrati alcuni di origine italiana, a diverso titolo affermatisi negli USA.

    Il primo, a dire il vero, era appena sbarcato a New York da par suo: con un’imbarcazione a vela capitanata nientemeno che da Soldini! Parlo ovviamente dell’imprenditore Oscar Farinetti il cui store Eataly, aperto sulla 5th Avenue all’altezza del Flatiron Building, rappresenta uno dei (pochi) motivi di vanto ed orgoglio per un italiano oggi a New York, imperante B.

    Avevo avuto l’onore di conoscerlo in Italia già qualche anno fa e il suo visionario progetto di grandi magazzini dell’eccellenza della gastronomia italiana, dei prodotti stagionali e del territorio (americano, nel caso di specie) non ha certo bisogno delle mie lodi, ma di una sola raccomandazione: andate a visitare Eataly a Torino o nelle altre città in cui è presente per comprendere, attraverso l’opera di un imprenditore, che selezionare cibo di qualità è non solo un atto di politica economica (come direbbe Carlo Petrini), ma anche di made in Italy di successo.

    Il secondo è un ex collega, chief executive officer, della controllata americana di una grande banca italiana. Da lui ricevo solo conferme. Il ruolo delle istituzioni finanziarie italiane nel financial district permane irrilevante mentre il made in Italy continua a farsi notare sempre e solo per le quattro “F”: food, fashion, Ferrari, furniture. Per l’innovazione restiamo a zero!

    Ma è il terzo bridge and tunnel che mi ha colpito di più: uno studente fuoriclasse palermitano che ha avuto l’opportunità di frequentare una università della Ivy league e che ora ha un solo sogno. Quale? Lavorare negli USA, ovvio! Ecco, messe in fila, alcune perle apprese da lui: «L’università USA di eccellenza si preoccupa più di formare il modo con cui pensare (indipendent thinking) che ciò che di pratico devi sapere (e che impari dove poi vai a lavorare). Servono persone sveglie, più che “secchioni”, capaci di fare networking, motivo per cui i temibili studenti di origine asiatica, pur eccellenti nello studio, raramente ricoprono funzioni di leadership per le minori attitudini relazionali. I migliori studenti italiani sognano il dottorato mentre i colleghi USA vogliono fare gli imprenditori. Non esistono i “fuoricorso”: le scadenze sono rigide. Le risorse per l’università non andrebbero spalmate per accontentare tutti, ma utilizzate per formare al meglio i migliori, i più motivati: il pezzo di carta non deve avere alcun valore legale. È brutto da dire, ma studiare non è un diritto per tutti, negli USA non lo è neanche la sanità. Il capitale umano è tutto per una società moderna. Gli studenti francesi hanno più chance perché studiano più matematica e sono più preparati ad affrontare temi astratti. Il sistema scolastico pubblico francese autoseleziona (esame competitivo) gli studenti allocandoli nelle scuole migliori per criteri di merito analogamente a quanto fa quello privato americano per ragioni di efficienza: poche università, ma buone e si studia sempre fuori perché contribuisce alla formazione. In Italia abbiamo sono la Normale di Pisa e la scuola Sant’Anna. La convivenza con la diversità culturale e sociale è un valore per una società multiculturale e multietnica che consente movimenti verso l’alto, ma anche verso il basso nel segno delle pari opportunità: per questo ci sono università che utilizzano più borse di studio a fondo perduto che forme di prestito d’onore. Gli studenti hanno timore dell’autorità accademica, ma se ne sentono anche protetti. L’autorità va rispettata, comunque, perché è tenuta a difendere la sua credibilità, fino a prova contraria. Esiste persino una polizia interna universitaria che, generalmente, arriva prima di quella statale in caso di comportamenti trasgressivi tipici degli ambienti giovanili: l’unica cosa che non si può trasgredire è l’honor code violato il quale si è fuori dal sistema Ivy league. Spesso su accusa degli stessi studenti che non tollerano in assoluto furberie. La classe dirigente italiana non è abituata ad utilizzare gli incentivi economici per ottenere gli esiti sperati. Qualunque opinione sembra avere pari diritto di tribuna senza che, ad esempio, un Tremonti debba affrontare in un pubblico dibattito un economista come Boldrin. Obama è stato recentemente criticato perché ha pubblicato il patrimonio personale da cui traspariva un peso marginale del corporate America: il che vuol dire che o sa gestire male il futuro suo e quello degli studi delle figlie (mentre dovrebbe gestire quello di tutti gli americani) oppure che ha poca fiducia nell’economia americana. Gli americani potranno pure sembrarci sempliciotti americanocentrici, ma sono davvero pratici e responsabili».

    Sarà per tutto questo che noi, come classe dirigente, dobbiamo accontentarci di “responsabili” alla Scilipoti?

    (in collaborazione con il Fatto Quotidiano)

    Palermo, Sicilia
  • 7 commenti a ““Bridge and tunnel” a Manhattan”

    1. solo non darei per scontato che sia un bel modello quello di un posto nel quale non sia previsto per tutti il diritto allo studio ed alla salute, indipendentemente dal censo.

    2. Giovanni,
      perchè mai negli USA il diritto allo studio è negato? Se sei un poveraccio hai possibilità di concorrere per borse di studio vere, che coprono sia le fees di ingresso (decine di migliaia di euro) che le spese per mantenersi, ovviamente sotto condizione che tu sia abbastanza in gamba. In Italia invece il sistema di educazione universitario utilizza le tasse di tutti, anche dei più poveri, per sovvenzionare l’università dei più ricchi: la quota di studenti provenienti dal 25% più ricco del paese è nettamente superiore rispetto agli studenti provenienti dal 25% più povero, cioè i figli di papà vanno più all’università dei più poveri, e pagano pochissimo per la loro educazione: 1000 euro massimo a fronte di un costo per la collettività che varia da 4.000 a 14.000 euro, a secondo della facoltà (cfr. “L’università truccata” di Roberto Perotti). La santa pubblica università italiana invece di tutelare il diritto allo studio perpetua la casta. Sulla sanità so poco del sistema americano, dunque non mi pronuncio.

    3. Caro Donato, alle due citate italiane, aggiungerei la Cattolica relativamente ai due college, l’Augustinianum e il Marianum. Per mantenere il posto nei predetti college e’ necessario essere in regola don gli esami ed avere la media del 27

    4. Condivido qusi tutto quello che ha scritto Donato. Non sono del tutto convinto che il modello americano sia da imitare in toto. Sicuramente le università americane sono selettive e non danno alcuna possibilità a chi non ha le capacità, evita cioè di investire su chi, probabilmente, sarà un investimento a fondo perduto. Ma tra un sistema così estremo ed il nostro, uno degli ultimi al mondo per una serie di cause che più o meno conosciamo tutti e che non vale la pena commentare, e quello americano, ci sono sistemi che coniugano il diritto allo studio con il diritto sacrosanto dello stato di non buttare i soldi della collettività. Quali? Lo sappiamo…quello Francese, Tedesco, Svedese, Austriaco…quasi tutta l’europa. Guardiamo a quei modelli invece che a quello americamo. In effetti, uno stato che non garantisce la sanità a tutti ma solo a chi può permettersela, per me è uno stato incompiuto!

    5. @luciano
      Non ho abbastanza informazioni per contestare le tue affermazioni. Se è come tu dici sono d’accordo con te.
      Credo (ma appunto per sentito dire) che il blocco avviene prima dell’univesità, riducendo enormemente il numero di pocveri che possano accedere all’istruzione primaria e seocndaria.

    6. @Giovanni, ti consiglio, e consiglio a tutti quanti, la lettura di questo libro. Chiaro e illuminante, rigoroso (come qualsiasi lavoro del prof. Perotti, Phd Economics al MIT,) e serio. Purtroppo sono tante le leggende che circolano in Italia, molte sostenute anche dai politici per cercare di giustificare rendite di posizione da potersi poi spartire fra i loro amici..

    7. Sono pienamente d’accordo con Luciano. L’affermazione dello studente citato va così corretta: “studiare è un diritto SOLO per chi se lo merita”. In Italia siamo troppo abituati al “paga Pantalone” e ad un buonismo che serve solo alle clientele politiche. Tanto per cominciare, basterebe far pagare poco a chi è in regola (finanziando gli studi dei più meritevoli e meno abbienti con borse di studio) e, viceversa, molto ai fuoricorso.

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